Rivista "IBC" VIII, 2000, 3

musei e beni culturali / immagini

Gli spazi, le luci, le forme e i colori di un mondo a parte, raccontati da Vasco Ascolini e da Luigi Ghirri.
I Musei secondo Ascolini e Ghirri
Le immagini di questo numero sono dedicate interamente al tema dei musei: un tema unico raccontato in modo diverso dal bianco nero di Vasco Ascolini e dal colore di Luigi Ghirri. Del primo abbiamo scelto alcune delle foto scattate durante i viaggi in Italia e nel mondo. Del secondo proponiamo una selezione della ricerca condotta fino al 1985 sui musei della nostra regione e destinata al volume Emilia-Romagna del Touring club italiano, che insieme a Paola Ghirri ed alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia ringraziamo; si tratta delle stesse fotografie inserite nel repertorio dei musei regionali pubblicato nel marzo scorso dall'IBC.
Vasco Ascolini vive e lavora a Reggio Emilia, dove è nato nel 1937. Tra i suoi maestri ci sono, tra gli altri, Stanislao Farri, Giuliano Menozzi, Arturo Carlo Quintavalle e Massimo Mussini. Tra gli anni Sessanta e gli Ottanta è stato il fotografo ufficiale del Teatro municipale di Reggio Emilia. Nel corso del tempo il suo sguardo si è allargato all'ambito dei beni culturali tout court, fotografati in giro per il mondo. Oggi riconosce come sua seconda "patria" fotografica la Francia, che nello scorso maggio lo ha insignito dell'Ordine delle arti e delle lettere. Ad ottobre il Museo del Louvre ospiterà il suo lavoro nel contesto di una grande esposizione collettiva. Ernst H. Gombrich ha paragonato le fotografie di Ascolini alle pitture di De Chirico, per il loro carattere "metafisico", per la capacità di trascendere l'aspetto puramente fisico di un oggetto, alludendo a una realtà seconda e segreta:
"Come può ottenere che esso parli con accenti così insoliti? Come può farlo apparire così strano e misterioso? [...] Egli si serve della più essenziale caratteristica della fotografia: la sua capacità di fissare ed isolare. Guardando un edificio nella vita quotidiana i nostri occhi quasi mai stanno fermi, anche quando noi non ci muoviamo. D'altronde noi percepiamo l'architettura nel contesto della vita, la vita per la quale è stata costruita: il tetto è pensato per dar riparo, le finestre aprono spazi, i gradini offrono l'accesso. I nostri occhi possono sempre girovagare per confermare la nostra lettura mentre l'isolamento può mettere in pericolo questa rassicurante certezza".
Luigi Ghirri è nato a Scandiano (Reggio Emilia) nel 1943. Inizia a fotografare nel 1969, sviluppando una ricerca sul potere delle immagini intese come filtro tra il mondo e l'esperienza. Nascono così i primi lavori: "Kodachrome" (1970), "Paesaggi di cartone" (1971), "Colazione sull'erba" (1972-1974), "Atlante" (1973). Nel 1978, insieme a Giovanni Chiaramonte e alla moglie Paola Bergonzoni, fonda la casa editrice Punto e virgola, che pubblica monografie, saggi e libri di storia della fotografia. Nel 1979, con la mostra "Iconicittà", inizia anche un'intensa attività di promozione e organizzazione di progetti espositivi, tra cui: "Penisola" (1983), "Viaggio in Italia" (1984), "Esplorazioni sulla via Emilia" (1986). Dal 1983 lavora principalmente a progetti sull'architettura ed il paesaggio italiano, su commissione di "Lotus International", Aldo Rossi, Paolo Portoghesi, la "Biennale" di Venezia, la "Triennale" di Milano, il Touring club italiano. È morto nel 1992, lasciando un archivio di centomila immagini alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Le sue opere sono conservate nelle maggiori collezioni private e pubbliche del mondo: viene considerato uno dei maestri della fotografia italiana. Di tutte le parole che sono state scritte sulla fotografia di Ghirri, quelle forse più adatte ad introdurre le foto che abbiamo scelto le ha scritte lui stesso, presentando nel 1987 una ricerca su Cesena realizzata in collaborazione con l'IBC:
"Sembra quasi che la visione si divida in due categorie incomunicabili e inconciliabili: da una parte la conoscenza e dall'altra la poetica. Quello che mi interessa è invece di rendere possibile un equilibrio tra questi due estremi. Come ha scritto qualcuno: fotografare non è altro che rendere visibile la percezione che una persona ha del mondo: e questo è vero, ma è altrettanto vero che le nostre percezioni non sono riconducibili a rigide categorie, e soprattutto a dicotomie tra professionalità e artisticità. Così il lavoro che svolgo si articola in maniera diversa da una semplice schedatura o da una visione di poetica, ma procede in modalità articolate nel tempo e nello spazio, assumendo frammenti e annotazioni: dal movimento della luce al colore delle superfici, dall'esplorazione della magia di uno spazio al fascino di un momento in cui la luce misteriosamente disegna e rivela forme mai viste prima, per potere alla fine costruire una narrazione possibile".

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