Rivista "IBC" VIII, 2000, 3

corrispondenze, mostre e rassegne

Italiani in America /1

Gianni Zauli
[collaboratore dell'associazione "VACA Vari cervelli associati"]

Queste note "eccessive" provengono dal diario di viaggio dei giovani romagnoli riuniti nell'associazione "VACA vari cervelli associati", che nella scorsa primavera hanno girato per l'America con i propri prodotti culturali: il film Tanabèss (formato 35 mm, durata 81') e la mostra di libri manufatti "Libri mai mai visti", giunta al sesto anno di vita a Russi di Ravenna. Tanabèss è stato proiettato in alcuni festival negli USA e in sale pubbliche a Chicago e Los Angeles: non ha potuto godere di una distribuzione più ampia, nonostante le offerte, in quanto l'ufficio italiano addetto alla bisogna non aveva né soldi né tempo "per così piccola cosa". La mostra dei libri è stata invece presentata alla Casa italiana della cultura Zerilli-Marimò della New York University grazie alla sponsorizzazione di privati, del Comune di Russi e della Regione Emilia-Romagna.

Girovagando per New York attaccati al gran carro di "Libri mai mai visti" si finisce al ventitreesimo piano del grattacielo dove abitano Cindy Crawford, David Copperfield e Claudia Schiffer: troppa grazia, vero? Invece è andata proprio così, solo che ad accoglierci c'era una grande mortadella e decine di imprenditori emiliani che presentavano ai manager della comunità italoamericana i loro prodotti "made in Emilia-Romagna".

Dal buffet al caffè tutto era "nostro", ma tremendamente nostro era anche un clima non propriamente all'altezza del luogo e dell'immagine che si vorrebbe fosse data della nostra terra. La stessa cosa però era accaduta appena la sera prima al Consolato italiano dove si presentava un consorzio italiano di produttori, imprenditori, ecc. Insomma è proprio difficile mettere in sintonia l'Italia e la comunità italoamericana, vuoi nelle sue manifestazioni artistiche, nella presentazione dei suoi prodotti industriali o nei servizi. Spesso salta qualcosa e, per essere più precisi o per dire il nostro punto di vista, salta la messa in evidenza della qualità: tutto va giù giù verso uno standard che non appare adeguato alla situazione italiana, sulla quale siamo sempre tanto pessimisti o vanagloriosi senza, a quanto sembra, riuscire mai a trovare il giusto mezzo.

Un discorso a parte merita la Casa italiana Zerilli-Marimò della New York University, dove sono attrezzati psicologicamente e culturalmente per mediare il contatto tra l'Italia che lì va a presentarsi e la Comunità che li riceve e prepara il "lancio". Prima di tutto viene fatta una selezione "a monte". Si deve insomma dimostrare che veramente ciò che si va a presentare, a esporre e documentare è degno di rilievo. Poi si prepara il lancio pubblicitario dell'evento, selezionando con cura dalla mailing list ospiti e visitatori; altrettanta cura viene prestata al materiale che verrà inviato ai singoli, alle associazioni, alla stampa e a tutto l'apparato mediatico. La sera dell'evento la Casa italiana sfoggia, oltre ad una sede degna di un'ambasciata, uno staff di notevole impatto culturale e contemporaneamente adeguato sul piano dell'immagine. Dal direttore Stefano Albertini alla baronessa Marimò in prima persona, la Casa si gioca il tutto per tutto in difesa dell'evento che presenta.

Niente del genere al Consolato o altrove... Le colpe saranno da addossare a chi deve rappresentarci all'estero? Niente sembra poter incidere sull'imperturbabile indifferenza degli addetti ai lavori nelle varie ambasciate o consolati italiani sparsi nel mondo talché, laddove si registrano felici eccezioni - e ce ne sono fortunatamente - si grida al miracolo. Eppure l'esempio della Casa italiana della New York University è lì a dimostrare che se si volesse, con poca spesa, un po' d'ingegno e obiettivi precisi, si potrebbe fare in America e altrove molto ma molto di più, sia per la cultura che per i giovani.

In sostanza, ci si chiede prima di un evento, come reagiranno qui in America? E in particolare a New York , la più diversa delle città americane, come amano sottolineare i newyorkesi (anche se a Boston dicono la stessa cosa, per non parlare di Dallas o Los Angeles). Dov'è, se c'è, la differenza e quali sono le affinità con il nostro mondo?

Per non fare la figura di quelli che andavano quindici giorni in Cina e poi scrivevano un libro sulla Cina, è bene precisare che la VACA in America ha fatto due tournée: nel '99 ha organizzato per la New York University "Romagna; memoria e nuovi interpreti", con la presentazione del lungometraggio Tanabèss, un concerto d'organetti del maestro Giampiero Medri col suo allievo Umberto Giovannini e la presentazione della conferenza spettacolarizzata "La Garzoneide", dedicata al grande poligrafo del cinquecento Thomaso Garzoni da Bagnacavallo. La seconda volta, quest'anno, si è fatta la grande mostra di "Libri mai mai visti". Tra l'uno e l'altro evento ci sono state diverse proiezioni del film e altri interessanti contatti con gallerie per l'esposizione di lavori realizzati dalla VACA. A farla breve: un paio d'anni d'intensi contatti giustificano qualche considerazione.

Il pubblico che abbiamo incontrato noi non era mai supponente, altezzoso o annoiato; sembra che un americano se va ad un evento culturale ci vada sul serio e non per fare piacere a qualcuno o perché non sa dove sbattere la noia. Tutto l'opposto di ciò che ciascuno di noi può toccare con mano anche troppo spesso qui in Italia. Sono complementari a questo spirito di partecipazione la curiosità, la sete di sapere, le domande a pioggia. Insomma, si avverte un altro clima; e sì che vanno sempre di corsa e uno penserebbe subito che non abbiano tempo per approfondire niente. Gli italoamericani poi s'intrippano da matti appena una storia italiana li prende e spesso succedono cose buffe o comunque simpatiche con scambio d'indirizzi e, a volte, anche di genealogie.

Durante le proiezioni negli USA di Tanabèss la prima cosa che abbiamo sperimentato è stato il diverso atteggiamento "etico" della critica. Se inviti un critico americano a vedere il tuo film, e parliamo di critici che scrivono su giornali con tirature stratosferiche, quello viene o se non viene ti telefona per motivare la sua assenza e si può spingere sino al punto di scriverti personalmente. Siamo ad una nota di costume e quindi c'è poco margine per recriminare rispetto a quanto succede in Italia, dove un critico non si sognerebbe mai di andare ad una proiezione di sconosciuti e tantomeno di scusarsi o di scrivere.

La seconda esperienza straordinaria è quella delle reazioni che un pubblico, a volte di addetti ai lavori, può avere davanti al tuo film. Il fatto che molti vengano a cercarti alla fine della proiezione per chiederti motivazioni, credo artistico e storia personale trasforma una semplice proiezione in un contatto ricco di scambi, come se si fosse ad un festival. È vero che parliamo di New York o Los Angeles o Chicago, ma è anche altrettanto vero che parliamo di luoghi dove si proiettano centinaia di film al giorno.

È questo interesse, questa tendenza a sviscerare il tuo modo di fare cinema che ti fa capire perché il cinema da loro funziona eccome, e perché l'industria cinetelevisiva è diventata la prima per fatturato. Abbiamo capito che aria tirava quando la Miramax, a quindici giorni dall'invio della videocassetta di Tanabèss, ci ha contattato chiedendo un incontro con i registi per dir loro impressioni, suggerimenti e possibilità per il futuro. Basti pensare che in Italia si aspettano mesi per avere il parere di un qualsiasi distributore. Altro che piangersi addosso: gambe in spalla e sogni nella valigia! Il ciclo dell'emigrazione culturale è destinato ad ingrossarsi.

Se la Miramax può sembrare un esempio troppo commerciale allora vogliamo raccontare l'episodio che riguarda Carla Sanders. In qualità di presidente dell'American Film Institute (un colosso che annovera tra i suoi soci da Spielberg a Heston), ella ha ricevuto la cassetta di Tanabèss e si è peritata di telefonare dopo un mese per scusarsi del ritardo, inviando successivamente una lunga lettera con le sue osservazioni (tra l'altro entusiastiche). Alla proiezione di Los Angeles, un anno dopo, ha voluto essere presente e complimentarsi di persona.

Toni molto diversi per quanto riguarda la mostra "Libri mai mai visti": chissà, forse il motivo è da ricercarsi nel fatto che l'oggetto libro ha in Italia, nonostante tutto, una formidabile tradizione culturale e in America uno straordinario pubblico di lettori e cultori, dal cui seno è uscita una splendida generazione di book-artist. Resta tuttavia un dato di fatto riscontrato di persona: gli ammiratori delle opere si equivalevano per interesse e attenzione. Abbiamo visto transitare nelle sale della Casa italiana della New York University un pubblico ansioso di guardare e toccare (la peculiarità della mostra è quella di poter toccare le opere esposte), così come era successo a Russi durante le cinque edizioni scorse. E sarà interessante confrontare tutto ciò con la reazione del sofisticato pubblico del Beaubourg, visto il recente interesse manifestato da questa istituzione.

Ma questa è un'altra storia e speriamo di poterla raccontare in questa rivista il prossimo anno.

 

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