Rivista "IBC" VIII, 2000, 4

biblioteche e archivi / itinerari

Le biblioteche del deserto

Marina Zappi
[responsabile del Settore cultura e biblioteca del Comune di Ostellato (Ferrara)]
Nino Romano
[fotografo]

All'estremità occidentale del Sahara, dentro i confini geografici della Mauritania - fatti di linee rette, segno della ripartizione coloniale francese - quattro piccole oasi minacciate dalla sabbia del deserto conservano preziosi manoscritti medievali, che le famiglie nobili si sono trasmesse di generazione in generazione. Sono Chinguetti, Oudane, Tichitt e Oulata: scoperte dall'esploratore francese Théodhore Monod negli anni Trenta e poi riscoperte dall'UNESCO negli anni Ottanta, sono oggi mèta di studiosi di ogni parte del mondo.

Seimila chilometri di strade e piste, sabbia e deserto separano Ferrara dalla Mauritania che, grande tre volte l'Italia e con due milioni e mezzo di abitanti, è definita "La Repubblica delle Sabbie". Noi l'abbiamo raggiunta, per conoscere le sue biblioteche e raccontarvele.

 

Stato cuscinetto fra il Maghreb e il Sudan, la Mauritania ha rivestito storicamente l'importante ruolo di paese cerniera fra l'Africa araba e l'Africa nera. Per secoli le carovane transahariane hanno attraversato le sue piste portando dal Nord armi, stoffe, cereali, libri e dal Sud sale, gomma arabica, schiavi, oro ed avorio. Le sue oasi erano importanti soste per le carovane ed una in particolare, Chinguetti, settima città Santa dell'Islam, era famosa come oasi di cultura per le sue undici moschee, le sue scuole religiose ed i gustosi datteri dei suoi immensi palmeti. Sostavano lì religiosi e savants (i sapienti), mentre andavano in pellegrinaggio verso la Mecca. Ma quando la politica coloniale trasformò radicalmente l'economia - spostando i poli del commercio sulla costa, là dove i venti dell'Oceano, gli alisei, rinfrescavano le giornate torride e i trasporti marittimi divennero più facili e redditizi - le oasi decaddero, fagocitate dalla sabbia. E quando la siccità, nei decenni successivi, si è mostrata tanto crudele da arrivare a decimare il novanta per cento del bestiame e a portare al suicidio i proprietari di grandi mandrie, la Mauritania si è piegata di fronte alla fame e alla desertificazione e tutto il mondo ha conosciuto il dramma del Sahel. I rigidi confini tracciati dal colonialismo si sono stretti come una morsa attorno agli abitanti affamati e terrorizzati che, ormai incapaci di coltivare piccole oasi o allevare pochi capi di bestiame, si sono riversati nella capitale Nouakchott, che si è gonfiata a dismisura. Oggi la Mauritania è un paese in lotta con la desertificazione, in bilico fra il cambiamento e il forte sentimento delle proprie tradizioni millenarie

La disastrosa siccità degli anni '69 e '73 soffocò anche l'oasi di Chinguetti, causando la morte di oltre metà delle palme e la decadenza della città. La sabbia invase cortili e case. Gran parte di esse rimasero mezze sepolte: sbarrate le antiche porte di legno molti abitanti si misero in fuga per accamparsi vicino alla capitale, andando a vivere fra i rottami e le baracche di lamiera che brillano a specchio nelle giornate infuocate e lasciano passare la sabbie nei giorni di tempesta. Oggi una distesa di sabbia dell'ampiezza di quasi mezzo chilometro divide la nuova dalla vecchia Chinguetti, che pian piano sta tornando a vivere. Avvolta in un morbido abbraccio di dorate dune colore albicocca, nel silenzio del Sahara sembra una "città invisibile" uscita dalle pagine di Italo Calvino.

Qui, nel regno delle sabbie e dei silenzi, dove è impossibile lasciare impronte e l'orma del piede viene rapidamente cancellata dal vento, luogo dove l'oblio dovrebbe essere più forte che altrove, proprio qui si scopre invece che la memoria è fortissima e che esistono biblioteche antichissime. E allora si scopre davvero che, come aveva sostenuto Milan Kundera, c'è un legame segreto fra lentezza e memoria. Migliaia di manoscritti in pergamena di gazzella, decorati da magnifiche miniature, sono alla mercé delle termiti e della sabbia, nei bauli delle biblioteche private che le grandi famiglie si tramandano gelosamente di padre in figlio. Testi di algebra, medicina, astronomia, grammatica, poesia, diritto e Corani ricopiati con grande cura: sono i tesori da salvare di questa oasi sahariana. La ricchezza delle sue scuole e le undici moschee avevano trasformato la città, tra il XVI-XVIII secolo, in una sorta di Sorbona del deserto, e la sua celebrità era tale che la Mauritania era conosciuta come Bilad Scinquit, il Paese di Chinguetti.

"La conoscenza è una fortuna che non impoverisce chi ne offre": è un motto della saggezza africana che riprende le parole del saggio di Bandiagara, Amadou Ampâté Bâ. Così sta scritto sopra la Biblioteca Ehl Ahmed Mahmoud, dove il bibliotecario si chiama Sidi. A Chinguetti sono dodici le biblioteche private che lo Stato aveva intenzione di raccogliere vicino alla moschea. Tuttavia il progetto va a rilento. "D'altra parte" - sottolinea Sidi con un sorriso ironico - "sono stati i francesi ad insegnarci che `L'Africa è la tomba dei progetti'. In realtà sono circa trenta le biblioteche nell'oasi, ma quando le famiglie vanno via portano con sé le loro raccolte senza rendersi conto che quei libri perdono valore e Chinguetti muore".

La biblioteca Mahmoud è stata aperta al pubblico nel maggio del '99, dopo aver riunito cinque fondi familiari collezionati in circa tre secoli, e ha riordinato mille libri stampati e trecento manoscritti secondo le tecniche dettate dall'UNESCO. Tra i pezzi più rari conserva un manoscritto del X secolo e una copia del Corano su pergamena. Poco oltre, dall'altra parte della vecchia cittadella, apre i suoi pesanti portoni la biblioteca più importante dell'oasi, quella della famiglia Habot dei L-Aghâl, che conta milletrecento libri manoscritti, risalenti fino al III secolo dell'Egira (800 d.C.). Merita una visita anche la Biblioteca Ehel Hamoni, un'edificio di quattordici stanze con annesso un museo molto ricco. Possiede circa quattrocentocinquanta manoscritti, di cui una parte è in attesa di restauro. Emoziona non poco l'apertura di un baule ricolmo di canne di bambù del XIII e XIV secolo utilizzate per inviare le lettere di famiglia, come quella scritta nel XVII secolo su pelle di gazzella, spedita da una famiglia di Guelmin. Magnifiche e raffinate le miniature e le scritte non lineari: splendido il blu ricavato dall'indaco, il nero dal carbone di legna, il rosso dall'ossido di ferro, tutti mischiati con gomma per fissare il colore. In fase di sistemazione anche la Biblioteca di famiglia di Ahmed Ould Wenane.

Più in là, a ottanta chilometri di sabbia verso nordest, sta Oudane, l'antica città delle carovane dell'oro, definita la capitale dei libri e dei datteri. Ma il panorama è inatteso: dell'oasi "della Ricchezza e della Conoscenza" rimane solo una città distrutta. Oltre il palmeto, da dove s'innalzano i khottara, i tradizionali pozzi a bilanciere del Sahara, spiccano alte le sue possenti mura, una volta contornate dalle ricche dimore patrizie. Fondata nel 356 dell'Egira, il 1141 dopo Cristo, Oudane appariva già nei portolani europei del XII secolo, in quanto era venuta a conoscenza dei navigatori portoghesi dai racconti dei pescatori. Alvise Ca' da Mosto, al servizio del re del Portogallo, precisava: "A Oudane si scambiano sete lavorate di Granada e di Tunisi con l'oro, ma si commerciano tante altre cose che vengono dal Sudan, dal Niger, dalla Sicilia". I portoghesi nel 1487 vi avevano creato un primo emporio coloniale per sfruttare il commercio dell'oro e degli schiavi. Ma le lotte intestine fecero tramontare il suo mito e già due secoli fa Oudane era in rovina.

Oggi nell'oasi sono conservati circa quattromilacinquecento manoscritti, ma anche qui l'obiettivo di costituire un fondo comune tarda a realizzarsi, perché la diffidenza dei proprietari non è stata superata dall'importanza di tutelate il loro patrimonio. Nella biblioteca di Ould Khetta si trovano circa ottanta volumi medievali, che raccolgono tutto lo scibile umano, tra cui un famoso trattato di storia e geografia del XII secolo, importante fonte d'informazione dei commerci sahariani. Nella corte della moschea, l'Imam conserva gelosamente una decina di manoscritti, tra i quali tre di diritto coranico scritti da donne.

Dopo duecento interminabili chilometri in un mare di sabbia si arriva a Tichitt, la testimonianza più logora dei tempi d'oro delle carovane. Inventata sfruttando una falda sotterranea, nel suo palmeto c'erano ventimila alberi e "tanti pozzi quanti ce ne sono in un anno". Poi, verso la fine del XIX secolo, guerre, epidemie e siccità causarono la sua rovina. I pozzi si prosciugarono e il terribile vento di Baten, carico di sabbia e sale, si depositò sulle palme e queste non riuscirono mai ad invecchiare. L'arrivo dei francesi e l'apertura di nuovi poli commerciali ne decretarono la fine. Oggi la città sta scivolando lentamente nell'oblio. Le millecinquecento persone che l'abitano vivono di sussidi e di quanto inviano i parenti emigrati, nella solitaria attesa dei mezzi carichi di provviste alimentari. Tappa fondamentale nel Medioevo per le carovane provenienti dal Marocco, viveva del commercio del sale e fu contesa tra Peul, Soninke, Berberi e Arabi. Oggi giace tra le sabbie semi abbandonata in un'oasi arida, e il faticoso viaggio trova un vuoto sgomento. Definita il più dell'esempio di architettura in pietra del Sahara, le sue case sono state costruite con pietre di gres su cui poggiano lunghe lastre orizzontali di scisto verde e, curiosamente, i muri che danno sulla la strada principale sono ciechi mentre le strade sono disegnate secondo un disegno urbanistico logico ed equilibrato.

Oulata era conosciuta un tempo come la "riva dell'eternità" ma anche, come aveva riferito il Marco Polo islamico Ibn Battuta, per il carisma delle donne. E ancora oggi le donne sono depositarie di un'affascinante arte muraria. Costruita su diversi piani, sulla scogliera del Dhar, Oulata è caratterizzata da case decorate con pitture murali, uniche nel loro genere. Sui muri, articolati attorno ad un cortile interno, e lungo le cornici di porte e finestre, corrono preziose decorazioni. Le case, intonacate all'esterno di una terra rosso bruno, colore della sabbia, o lucenti di una argilla bianca abbagliante, hanno rosoni di gesso in rilievo, posti lateralmente ai lignei portoni d'ingresso, che vengono incisi con un bulino e poi riempiti di vivaci colori. Note di colore giallo, ritocchi di blù indaco spiccano sull'argilla bianca e tracciano motivi misteriosi. All'interno invece, nei cortili al riparo da occhi stranieri, finissimi arabeschi ricamano intricati merletti sugli intonaci colorati. Affidate alla fantasia delle donne, le decorazioni sono simili agli arabeschi della filigrana che tanto ricordano le rotondità femminili. Quando l'occupazione coloniale modificò i traffici carovanieri anche Oulata conobbe un rapido declino e Nema prese il suo posto. Oggi la vita continua nelle case ancora ricche di decori, attorno alla moschea salvata dalle sabbie per conto dell'UNESCO dall'architetto italiano Enzo Fazzino, e attorno alla biblioteca che conserva volumi e libri preziosi, come un manoscritto dell'800 d.C. raffigurante le impronte del Profeta

 

Per aiutare Chinguetti e le sue biblioteche, abbiamo costituito in Italia una sezione italiana dell'associazione mauritana ADC (Association pour le devellopement de Chinguetti) Les Amis Italiens e collaboriamo ai progetti di Africa 70 che, nata nel 1971 come movimento civile e culturale di aiuto alle lotte di liberazione dei paesi africani colonizzati, si è trasformata in ONG (organizzazione non governativa) e da anni opera in Mauritania con un'importante azione di sensibilizzazione per la salvaguardia delle biblioteche.

"Noi mauritani contiamo molto sull'Italia anche per far sì che il nostro patrimonio storico e archeologico non vada perduto. Le nostre antiche città di Oudane, Chinguetti, Tichitt e Oulata stanno crollando e sono invase dalla sabbia. Un popolo come quello italiano, che ha per capitale Roma e che ha conservato intatte alla posterità Firenze e Venezia, non può negare un contributo per salvare la civiltà mauritana". Con queste le parole nel 1985 il colonnello Maaouya Ould Sidí Ahmed Taya, capo di stato della Mauritania, ha depositato un accorato appello ricevendo il giornalista Attilio Gaudio.

Oggetto di controversie politiche, il recupero delle "biblioteche del deserto" è difficoltoso non solo perché va a sfiorare i conflitti ancora in atto fra le tribù e perché le famiglie non si fidano del potere centrale, ma anche perché lo stesso Stato non porta avanti con solerzia il progetto per riunirle, nonostante abbia emanato nel 1972 un'apposita legge. Quando le carovane di diecimila e più cammelli percorrevano quel fantastico ponte chiamato Sahara - un ponte fra l'Africa del Nord, il Mediterraneo e l'Africa del Sud - nelle scuole delle tende beduine, le mahadras, circolavano idee e scambi culturali. Sui dromedari venivano caricati enormi quantità di libri, oggetto di scambio con oro e sale, poi raccolti nelle biblioteche pubbliche e private del paese.

Oggi queste biblioteche accolgono circa quarantamila manoscritti e molti ritengono che l'esame di questi testi potrebbe apportare elementi innovativi per la conoscenza della cultura e della storia dell'Islam. Il viaggio era una dimensione essenziale per la cultura araba e le scuole teologiche e di diritto si svolgevano conversando di fronte a tazze di tè, sotto i palmeti, nelle abitazioni dei professori e nei cortili delle moschee. All'inizio del secolo in Mauritania esistevano ancora sessanta università del deserto. In questi due ultimi decenni l'impegno dell'UNESCO è stato censire le numerose biblioteche private e impostare programmi di restauro.

 

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