Rivista "IBC" IX, 2001, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / storie e personaggi

Maestro di segni

Giuseppe Gherpelli
[direttore amministrativo della Soprintendenza archeologica di Pompei]
Una lunga consuetudine di impegni e di iniziative ha permesso a Giuseppe Gherpelli, prima in qualità di presidente dell'IBC, poi come direttore di AICER, di frequentare e conoscere il professor Giancarlo Susini che dell'uno e dell'altro organismo è stato consigliere. Una collaborazione proficua nel corso della quale ha avuto modo di cogliere la profondità intellettuale ed umana dell'insigne studioso che in questo ricordo nitidamente si compone.

Qualche mese prima di lasciarci mi aveva chiesto di raccontare ai giovani direttori dei musei rumeni, che già avevano visitato gli Scavi di Pompei, le tappe dell'esperimento che affida autonomia scientifica, amministrativa, finanziaria ed organizzativa a quella Soprintendenza archeologica. Mi aveva scrupolosamente elencato i punti che avrei potuto trattare nelle aule romagnole in cui avrei dovuto tenere le lezioni. Sono felice di avere raccolto subito, e di buon grado, l'ultimo invito che mi aveva fatto, e non solo perché i giovani direttori dei musei rumeni erano felici di apprendere e di discutere, ma anche perché quell'invito è stata l'ultima occasione che ho avuto di parlare con lui.
Ho conosciuto Giancarlo Susini in alcune delle sue performance, e poiché è noto che la vastità dei suoi interessi era pari almeno alla varietà dei campi cui si è applicato, posso solo offrire una piccola, commossa testimonianza di alcuni aspetti della sua personalità.
È stato un narratore, di storia e di storie, di viaggi e di ricerche. I suoi articoli, quelli sul "Resto del Carlino" per esempio, alcune sue conferenze, quelle meno preparate (e perciò rarissime), taluni interventi improvvisati (e spesso provocati dalla sua generosa idea di contribuire a risolvere problemi anche assai diversi da quelli cui era abituato) erano il frutto di una padronanza linguistica e di una felicità espositiva davvero straordinarie. È sufficiente, d'altra parte, per chi non abbia avuto la fortuna di ascoltarlo con frequenza, leggere due prove narrative che Giancarlo Susini aveva affidato all'editore Mario Lapucci - Edizioni del Girasole, per rendersene conto. Nella Corteccia del gatto e ne Le radici dei giorni, infatti, sono mirabilmente fuse la sapienza e l'esperienza dell'infaticabile ricercatore con la gioia della scrittura.
L'ho visto all'opera, in giorni intensi, quando aveva accettato di collaborare, senza timori di sorta, al tentativo di dare vita ad una impresa difficile, quella di costituire una società per azioni, la prima in Italia a capitale misto (pubblico e privato), destinata ad organizzare attività culturali in modo professionalmente elevato. Aveva compreso che l'esperimento aveva in sé il germe della novità, e l'aveva assecondato con idee feconde, che avrebbero portato gli esiti di importanti ricognizioni scientifiche al confronto con la realtà internazionale. La piccola, meravigliosa mostra che aveva inventato per l'Expo di Siviglia del 1992 resta un modello difficilmente superabile di metodo e di misura. Nelle decisioni più importanti dell'AICER, l'Agenzia di iniziative culturali dell'Emilia-Romagna, fino a che ne è stato autorevole consigliere d'amministrazione, non è mai accaduto che Giancarlo Susini abbia fatto mancare la propria riflessione e le proprie intuizioni, che condivideva volentieri con gli imprenditori che gli sedevano accanto in quel consesso.
Negli anni, tanti, trascorsi insieme negli organi direttivi dell'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali dell'Emilia-Romagna, con lo scrupolo che lo contraddistingueva, aveva profuso la sua sapienza in molteplici direzioni, senza risparmio di tempo ed energie. Le sue origini ben ferme come punto di riferimento ("nato a Bologna, figlio di un ferroviere, di famiglia originaria della Corsica"), aveva perfettamente inteso il disegno illuminato e coraggioso che Andrea Emiliani, con l'ausilio, fra gli altri, di Lucio Gambi, di Pierluigi Cervellati, di Ezio Raimondi, di Giuseppe Guglielmi, aveva presentato alla Regione Emilia-Romagna, e in particolare al suo presidente, Guido Fanti, che ebbe la forza e l'intelligenza politica di condurlo a concreta realizzazione istituzionale.
Giancarlo Susini, con la medesima attenzione ai percorsi formativi dei giovani che si avvicinavano al mondo dei beni culturali e agli sviluppi considerevoli dei nuovi approcci ai temi della tutela che in quel laboratorio andavano quotidianamente formandosi, confrontandosi e consolidandosi, aveva piena consapevolezza del ruolo strategico che quell'Istituto avrebbe potuto avere, e agevolò, da par suo, soprattutto nelle discipline che gli erano più congeniali, la crescita e lo sviluppo di quell'esperienza. Averlo avuto accanto in quegli anni non è stato solo un sollievo, un motivo di conforto. È stato anche un piacere, perché non ricordo momenti in cui le sue parole non abbiano portato, o provato a portare, soluzioni positive ai problemi, nel pieno rispetto delle idee di tutti, ma con la lucida intenzione di produrre risultati, di verificare ipotesi, di scommettere sempre sul futuro, senza lasciarsi mai andare a scoramenti inutili, anche quando ve ne era motivo. Infaticabile, operosissimo, non trascurava mai di incoraggiare i giovani, anche quando li vedeva errare.
Stanno a documentare i suoi sforzi in quegli anni gli Sguardi di memoria, il bel quaderno che raccoglie i suoi scritti per l'IBC, che gliene fece giusto omaggio in occasione del suo settantesimo compleanno. Volle partecipare, per comprendere e trasferire l'esperienza in corso, alla realizzazione degli strumenti informativi che l'Istituto andava creando, non lesinando consigli e studi, che si trattasse di un audiovisivo, della rivista "IBC" o de "L'Ippogrifo", realizzata insieme al Mulino.
Purtroppo non scritta, e comunque ben viva in chi, come me, ha avuto la fortuna di ascoltarla, è la "lezione" che settimanalmente Giancarlo Susini, con modestia e senza eccessi, "svolgeva" nei suoi interventi nel Consiglio direttivo dell'IBC e, poi, nel Consiglio di amministrazione dell'AICER. Il semplice resoconto delle sue esplorazioni, le impressioni di viaggio, la segnalazione di idee, libri, fatti, il frutto del suo lavoro, veniva travasato con naturalezza, quasi per caso, nelle parentesi di un intervento, nei risvolti di una opinione espressa sottovoce. L'Albania vista dall'alto, i musei di New York, le isole dell'Egeo, il campo di Annibale al Trasimeno, le biblioteche di Berlino, Sarsina e Innsbruck, Trieste e Montpellier, il Mar Nero e l'Irlanda "servivano" sempre a capire, a far capire qualcosa di più di quel che si doveva o poteva fare, in via Farini, o in Strada Maggiore a Bologna.
È stato un ottimo costruttore di eventi espositivi, Giancarlo Susini, e a Rimini ha fatto scuola anche in questa direzione. È stato un uomo attento ai segni degli uomini, passati e presenti. La Storia dell'antichità aveva pochi segreti per lui, ma Giancarlo Susini non aveva segreti per i suoi allievi, ai quali trasferiva il sapere accumulato con la convinzione che ha chi ben conosce e apprezza il valore della costruzione dell'uomo del domani. L'ho visto, giovane e anche aspro professore, quando l'epigrafia, che voleva conosciuta con la applicazione sistematica che gli era nota, diventava, alla metà degli anni Sessanta nell'Università di Bologna, una formidabile occasione, eccezionalmente attuale, di semiologia dell'antico.
Quel maestro che sapeva di antico, che leggeva i segni e non solo le pietre, ci ha insegnato che quel poco che apprendiamo abbiamo il dovere di trasmetterlo, criticamente, ma con tenacia.

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