Rivista "IBC" XI, 2003, 2

Dossier: Non solo film

biblioteche e archivi, dossier / inchieste e interviste

Intervista a Renzo Renzi

Antonella Campagna
[IBC]
Isabella Fabbri
[IBC]

Giornalista, scrittore, regista e critico cinematografico, protagonista da oltre cinquant'anni della vita culturale bolognese, Renzo Renzi ha compiuto quest'anno il suo ottantatreesimo compleanno. La Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna e la Cineteca del Comune di Bologna hanno di recente acquisito e catalogato il suo prezioso archivio. L'intervista che segue, già in parte pubblicata nel numero 1-2003 di "IBC" (con un approfondimento particolare sui rapporti con la storia locale), si concentra sugli aspetti della sua attività più legati alla storia del cinema.

 

L'occasione di questa intervista è la cessione del suo archivio, della sua biblioteca e della sua raccolta fotografica alla Cineteca di Bologna. Vuol dirci le ragioni di questa scelta?

Sono molto affezionato alla Cineteca di Bologna anche perché sono stato uno dei suoi promotori. D'altra parte ho sempre pensato che i miei libri e il mio archivio dovevano alla fine essere lasciati a qualcuno che se ne occupasse. I fondi privati finiscono spesso in cantina. Molto meglio cederli ad un ente pubblico che ne farà un uso pubblico.

 

Il suo fondo è lo specchio del suo lavoro. Nella biblioteca, nella raccolta fotografica, nei manoscritti, nella corrispondenza emerge come costante il duplice filone della sua attività: critico e autore cinematografico e insieme studioso e cultore di storia locale. Come si intrecciano questi due interessi: hanno una radice comune o si sono sviluppati indipendentemente l'uno dall'altro?

Sicuramente la radice è comune. Come appassionato di cinema e autore di documentari, ho sempre cercato soggetti nella realtà che mi circondava. Da lì è cominciata una frequentazione di temi locali che non ho mai abbandonato.

 

A proposito di cinema, le collane che lei ha curato per l'Editore Cappelli, a cominciare da quella più nota "Dal soggetto al film", hanno costituito una novità assoluta nel campo dell'editoria cinematografica. Vuol parlarci di quell'esperienza?

È vero che "Dal soggetto al film" ma anche le collane successive come "Retrospettiva" e "Inchieste e documenti" hanno costituito un'esperienza inedita che ha subito suscitato interesse anche oltreoceano, anche a Hollywood. Cito Hollywood perché mi viene in mente un episodio ben preciso. A un certo punto mi fu offerto di fare un volume su un film di De Laurentis che si chiamava Barabba. Io non volevo perché mi sembrava uno dei soliti polpettoni storici, ma poi venni a sapere che i dialoghi li stava scrivendo Quasimodo e così andai a Roma a parlarne. De Laurentis mi ricevette in un ufficio in cui troneggiava un grande tavolo vuoto. Di là dal tavolo ci stava lui e io stavo di fronte in una seggiolina come ne Il Grande Dittatore di Chaplin. De Laurentis mi disse che pensava di organizzare a New York una presentazione in anteprima del film e voleva offrire ai duemila invitati il mio libro. A quel punto non potevo non accettare.

La formula ben nota della collana era che il libro doveva uscire prima che fosse realizzato il film e io dovevo avere delle capacità divinatorie per scegliere il film giusto, quello che meritava di essere trattato con una particolare attenzione. Era sempre una scommessa. Ma in genere non mi sbagliavo. Tornando a Barabba, il libro e la presentazione ebbero molto successo ed alcuni editori specializzati si fecero avanti. Così si aprirono per noi le porte del mercato americano e di quello internazionale. La tiratura in Italia era di tremila copie, ma nel resto del mondo era molto più alta. In Spagna ad esempio si partiva da quindicimila copie. Abbiamo avuto edizioni giapponesi, portoghesi, francesi, ungheresi e forse anche sovietiche. Anche se nell'allora Unione Sovietica non tenevano conto del diritto d'autore, con la scusa che il nostro era un sistema capitalista.

 

Il successo della collana sul mercato americano può aver influito anche sul successo dei film e del cinema italiano del periodo?

È chiaro che una qualche influenza c'è stata. I giornali ne parlavamo molto. In una pubblicazione dedicata alla collana ho riportato un giudizio dell'"Hollywood Reporter": diceva che la mia era la più importante collana cinematografica dedicata ai film nel mondo.

 

Dal neorealismo al cinema d'autore, per citare un suo titolo, l'Italia ha avuto una grande stagione di successi anche internazionali. Nel panorama attuale lei vede ancora quella ricchezza e fecondità di contenuti e capacità espressive?

Direi di no. Il successo di un autore come Benigni è legato solo a lui. Oggi esistono casi singoli, anche clamorosi. Allora, per tante ragioni che già sono state dette e scritte, si era creato un movimento. Fellini, Antonioni, Visconti, Rossellini, Zavattini potevano essere tutti collegati in un movimento. Lo stesso processo che subimmo io e Guido Aristarco per la sceneggiatura del film Sagapò rappresentò un tentativo di colpire un certo cinema che si era costituito come movimento e dava fastidio politicamente.

 

La vicenda di Sagapò è nota. Lo scandalo scoppiato a causa del vostro arresto e della vostra detenzione a Peschiera condusse anche ad una modifica legislativa. Ma il film non fu mai realizzato.

Furono fatti dei film sulla scia di quello. Recentemente Salvatores ha fatto Mediterraneo, un film di successo, ben fatto dal punto di vista della commedia. La sceneggiatura mia e di Aristarco mescolava invece commedia e tragedia e il risultato era molto più vero e quindi pericoloso. A questo proposito ci fu anche un piccolo scontro tra me e Salvatores. Avevo letto su "Repubblica" un'intervista in cui lui negava che ci fosse un rapporto con la nostra sceneggiatura. Allora, recensendo il film su "Cinema Nuovo", colsi l'occasione per dire a Salvatores che ci avevano messo vent'anni per fare una commedia e che mi auguravo che tra altri vent'anni fossero finalmente in grado di mostrare anche l'altro aspetto.

 

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