Rivista "IBC" XI, 2003, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / convegni e seminari, media, interventi

Un convegno organizzato dall'IBC e dall'Istituto Gramsci Emilia-Romagna ha fatto il punto sugli incroci tra la comunicazione e l'economia dei beni culturali, discutendo sulle opportunità e sui problemi che ne derivano.
Accesso alla cultura

Gian Mario Anselmi
[direttore dell'Istituto Gramsci Emilia-Romagna, membro del Consiglio direttivo dell'IBC]

"Accesso alla cultura. Comunicazione ed economia dei beni culturali tra pubblico e privato" è il tema su cui il 4 giugno 2003 l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna e l'Istituto Gramsci Emilia-Romagna (con il contributo di Unicredit Banca) hanno chiamato a discutere dodici esperti italiani. Comunicazione ed economia sono due sfere che spesso si integrano nel creare, o nel negare, i supporti necessari alla divulgazione dei beni culturali: per ogni cittadino, infatti, la possibilità di accedervi è legata sia all'informazione che riceve, sia alle risorse impiegate nella creazione di progetti ed eventi. Di qui gli incroci tra il pubblico e il privato, tra le esigenze di mercato e le strategie di comunicazione, con le opportunità e i problemi che ne derivano.

I lavori sono stati introdotti dal professor Gian Mario Anselmi, direttore dell'Istituto Gramsci, del quale, in attesa degli atti, pubblichiamo l'intervento.

 

Perché l'IBC e l'Istituto Gramsci Emilia-Romagna hanno pensato di organizzare questa giornata che ha già riscosso molto interesse, anche fra chi non poteva essere presente e ci ha trasmesso messaggi o adesioni, o comunque volontà di contributi? L'appuntamento è nato da due occasioni che hanno avuto una origine diversa, ma una confluenza comune.

Da un canto il numero 4/2002 della rivista "IBC", all'interno del quale era pubblicato un dossier a cura di Valeria Cicala (che ringrazio anche per il coordinamento organizzativo di questa giornata, assieme a Siriana Suprani e agli altri collaboratori, sia dell'IBC che dell'Istituto Gramsci). Il dossier, intitolato Ben(i) comunicati? e introdotto dal professor Raimondi nell'editoriale della rivista stessa, indagava sulle forme di comunicazione dei beni culturali in Italia, nelle loro varie articolazioni: dagli uffici stampa alla comunicazione attraverso la stampa, ai mass media come televisione e radio.

Il secondo evento che, in qualche modo, ha fatto pensare alla necessità di fare il punto su questo tema, è una ricerca che io stesso, insieme ad alcuni collaboratori dell'Istituto Gramsci, avevo prodotto all'interno di un convegno patrocinato dalla Cassa di risparmio di Imola e coordinato dal professor Angelo Varni, con le relazioni anche del professor Marco Cammelli e del professor Paolo De Castro. Il tema generale del convegno era "Le autonomie fra sistemi locali e reti", la nostra ricerca si intitolava Centri e periferie dei sistemi culturali. Gli eventi e la loro ricezione, e aveva come oggetto una riflessione sui modi di comunicazione dei sistemi culturali.

Da questi due momenti di riflessione è nata l'idea di un incontro con persone addette ai lavori, attente e appassionate a queste tematiche, per affrontare il problema della comunicazione in senso lato, e dell'accesso ai beni culturali in particolare, sia dal punto di vista della comunicazione, appunto, sia dal punto di vista delle forme economiche che possono sorreggerla.

In realtà oggi l'attenzione è catturata da altri elementi che riguardano il problema rilevantissimo delle politiche per la tutela e il restauro dei beni culturali e naturali. Il dibattito si è acceso negli ultimi tempi, da quando è stata varata la cosiddetta "Patrimonio SpA", che ha creato così tante polemiche e preoccupazioni; si è richiamata, anche, una sorta di violazione dell'articolo 9 della Costituzione: penso agli articoli di Salvatore Settis e di altri, alle denunce provenienti da diversi fronti.

È di ieri [del 3 giugno 2003, ndr] un allarmato intervento giornalistico su "Repubblica", che non so fino a che punto coincida con la realtà, ma del quale dobbiamo prendere atto come informazione: riguarda il riassetto delle direzioni generali del Ministero dell'ambiente, con rischi, anche qui ventilati, di ristrutturazioni che possono mettere in crisi il sistema di tutela ambientale. Si aggiungano le decisioni prese sporadicamente da alcune Regioni, che sembrano rilegittimare l'abusivismo, e si avrà un quadro del momento molto complesso e difficile per le questioni fondamentali della tutela e del restauro del nostro patrimonio culturale.

D'altro canto non possiamo dimenticare, credo, la storia delle leggi che dal primo Novecento fino a pochi anni fa hanno via via contribuito a definire e riprecisare compiti e funzioni in questa direzione, come pure la sensibilizzazione ampia che anche a livello di enti locali in molti casi è avvenuta su questo terreno. Per cui oggi sicuramente non possiamo dire che siamo allo stato in cui eravamo anni fa: sistemi di catalogazione, di tutela del patrimonio, enti, privati, associazioni volontarie che di questo si occupano, sono cresciuti e si sono moltiplicati nel tempo. E hanno prodotto un'opera grandissima di valorizzazione del nostro patrimonio artistico.

Ecco quindi questi due elementi contraddittori: da un lato il rischio che il nostro patrimonio sia messo in crisi, che possa essere in un qualche modo depredato e defraudato; dall'altro, invece, l'immenso lavoro che in questi anni tanti operatori coraggiosi, a livello centrale e locale, di singoli e di enti pubblici e privati, hanno fatto per valorizzare questo patrimonio. Una valorizzazione direttamente economica, certo, tale da indurre lo sviluppo turistico di regioni, di città, di siti, e questo peraltro è un fatto spesso positivo. Una valorizzazione però anche, a volte, condotta con intento puramente culturale: penso all'immenso lavoro che è stato fatto e che continua a essere fatto nel campo degli archivi e delle biblioteche. Un lavoro che consente oggi a studiosi di tutto il mondo di poter accedere a beni, a documenti e a siti che in passato era più difficile raggiungere.

Si tratta quindi di una storia complessa, fatta di luci e di ombre. La vicenda della tutela e della valorizzazione dei beni culturali oggi ha sicuramente raggiunto, grazie anche ai nuovi strumenti informatici, un punto alto di elaborazione e di complessità anche in Italia. Forse è ancora troppo poco rispetto a quello che ci sarebbe da fare, ma non è questo il dibattito che qui ci interessa. Le domande da cui oggi partiamo sono altre. Quale possibilità di fruizione e quale "accesso" - di qui il titolo - è dato a questo patrimonio, con gli strumenti attualmente esistenti? Che tipo di comunicazione i beni culturali in senso lato, in tutte le strutture che se ne occupano, riescono a fornire ai fruitori, non solo agli addetti ai lavori ma a un pubblico più ampio? Quali indotti economici questa comunicazione può provocare e quali risorse economiche si possono investire in questa direzione? La parola "economia", quindi, non è stata messa a caso nel sottotitolo.

Rivedendo la ricerca da noi elaborata e il dossier della rivista "IBC", mi sembra che, anche da questo punto di vista, sul ruolo diretto dei media si apra una doppia partita, con esiti a volte contraddittori. Per un verso - come si evince soprattutto dal dossier di "IBC" - vengono denunciate la labilità e la estemporaneità con cui i grandi mezzi di comunicazione - la televisione in primis - hanno svolto opera di diffusione e divulgazione in questo ambito; per un altro verso, invece, si riconosce che, soprattutto quando certi programmi hanno funzionato, sono serviti come volano positivo per coinvolgere un pubblico ampio e per divulgare importanti nozioni e sollecitare riflessioni sui beni culturali.

Quale dinamica ha avuto il ruolo dei giornali, da questo punto di vista? Alcuni giornalisti pensano che vi sia un'attenzione ancora troppo sporadica, casuale, legata al grande evento contenitore, agli avvenimenti drammatici o alla grande mostra, mentre non c'è un'attenzione costante sulla stampa, oltre che sulla televisione o sulla radio. È quindi una cosa che andrebbe oggi verificata: è vero che c'è una scarsa sensibilità di alcune redazioni di giornali importanti? O che si interviene su questo terreno solo quando particolari occasioni, belle o brutte, portano a occuparsi di certi eventi? Prima il terremoto che distrugge la chiesa, per intenderci, poi la grande mostra che riporta alla luce l'opera restaurata. Tutte cose che ovviamente devono avere spazio sulla stampa, ma per dare le informazioni necessarie a tutti coloro che vogliono fruire di questo immenso patrimonio si vorrebbe la continuità.

C'è poi il problema fondamentale della formazione, che certamente non riguarda solo il settore dei beni culturali, ma in questo caso è più che mai un problema primario. Lavorando all'Università ed essendo direttore di un dipartimento molto complesso come quello di Italianistica, penso alle difficoltà che hanno le giovani generazioni nel primo approccio alla biblioteca: spesso non sanno usare direttamente il cartaceo, non sanno cioè consultare la lettera o un catalogo; per quanto si dica, non tutti sono ancora sufficientemente addestrati a usare le esplorazioni via internet, i siti e le banche dati che sono a disposizione. Se questo vale per un patrimonio bibliotecario e archivistico anche di primissima istanza come quello fruito dalla popolazione studentesca universitaria, figuriamoci per quello che riguarda siti e patrimoni più complessi!

Eppure gli strumenti a disposizione, oggi, sono di grandissima portata. Non sono un apologeta acritico delle nuove forme di comunicazione, anche se tutti le dobbiamo usare, ma penso che anche in questo campo abbiano una grande rilevanza. Allora, ecco che l'accesso ai beni culturali, intesi in senso ampio, diventa anche un processo di formazione, a più livelli. Ed ecco altre domande: di quali strumenti si può servire questo accesso? Come si possono valorizzare le potenzialità delle generazioni più giovani, ad esempio attraverso l'accesso costituito dai siti web?

Se anche solo ci chiedessimo in che modo i beni culturali - comunque allogati: dello Stato, degli enti locali, dei privati, di consorzi, di qualunque soggetto ne abbia la responsabilità diretta - sono in grado di comunicarsi adeguatamente, la risposta sarebbe, credo, ancora una volta contraddittoria e difficile da definire in una parola. Vi sono, per esempio, enti locali (Regioni, Province, Comuni) che organizzano dei siti molto belli, molto ben strutturati, su giacimenti artistici, su iniziative culturali collegate a eventi, dando continuità di informazione; e ve ne sono altri che hanno invece trascurato questo terreno e si affidano sporadicamente alle informazioni di volta in volta emergenti.

Ci sono archivi che stanno sottoponendo a scansione elettronica tutto il patrimonio che posseggono e consentono l'accesso a documenti anche di grande pregio, altrimenti difficili da reperire. Penso all'enorme lavoro compiuto all'Istituto bolognese di scienze religiose diretto dal professor Alberigo, dove tutte le carte di Papa Giovanni XXIII sono oggi consultabili direttamente in rete, con determinati accorgimenti. Per parlare di cose che conosco direttamente, penso anche all'esperienza che, molto più in piccolo, abbiamo realizzato all'Istituto Gramsci con la catalogazione e la messa in rete del patrimonio di manifesti politici ivi conservati: dopo essere stati catalogati secondo precisi criteri bibliografici, attraverso un sito appositamente messo a punto sono ora accessibili a un numero altissimo di persone, che altrimenti non potrebbero venirli a consultare direttamente.

Ci sono biblioteche e sistemi bibliotecari molto organizzati, molto raffinati. E non parliamo poi dei siti archeologici, di quelli storico-artistici, dei collegamenti con i musei eccetera. Le risorse, insomma, vengono utilizzate, eppure anche in questo caso vi sono punti di eccellenza e zone di ritardo e non si può dire che vi sia uniformità di programmazione. Il caso delle biblioteche è forse quello più illuminante in questo senso. In questa regione lo sforzo per adeguarsi tecnologicamente da parte di tutte le strutture bibliotecarie, anche di quelle più piccole, è stato molto intenso, ma in altri settori non è avvenuta la stessa cosa, anche perché, probabilmente, a volte i programmi non sono gli stessi.

Anche se questo tipo di accesso oggi sta diventando uno strumento privilegiato - penso agli incroci possibili tra le banche dati esistenti sui beni culturali e le varie forme di didattica a distanza, e a tutte le direttive emanate dal Ministero della pubblica istruzione e dirette all'Università e ad altri enti di formazione per quanto riguarda i corsi a distanza, la cosiddetta "teledidattica" - naturalmente i problemi non riguardano solo questo tipo di accesso. Ve ne sono infatti altri tipi: possono essere aggiornamenti, presentazioni, mostre mirate che, al di là delle grandi esposizioni, servono di volta in volta a valorizzare un certo patrimonio. E ancora, il collegamento tra strutture, tra enti, tra università: le forme con cui si può far avvicinare e comunicare un certo bene sono moltissime. In ogni caso, però, i ritardi effettivamente ci sono, e la disomogeneità è sotto gli occhi di tutti.

Il quadro italiano è complicato poi da un altro processo, che da un lato è indice di ricchezza, ma dall'altro aumenta l'incoerenza. Si tratta - al di là di ogni dibattito astratto sul federalismo o sulla devolution - del venir meno, anche in campo culturale, di un confine netto tra centri e periferie, un confine molto evidente fino a qualche anno fa. Se si esamina una regione campione come la Lombardia appare una articolazione di eventi culturali e di modalità di comunicazione molto sfrangiata: non è Milano il solo punto di riferimento, ci sono importanti città della cosiddetta provincia che non solo svolgono una grandissima attività culturale, ma la sanno anche comunicare molto bene attraverso siti web, informazioni, accesso a banche-dati. E questo vale anche per altre regioni.

Naturalmente vi sono regioni che privilegiano alcuni aspetti, che considerano vocazioni peculiari proprie: ora la musica, ora il teatro, ora i beni archivistici e bibliotecari, e altre che puntano su altri aspetti. Alcune regioni - soprattutto grazie all'accordo con gli sponsor privati - hanno invece una potenzialità di risorse tale che consente di giocare tutte le possibili carte della ricezione.

Il nesso tra la dimensione dell'evento e la portata della comunicazione è evidente in quasi tutto il panorama italiano: è ovvio, in altri termini, che l'occasione per fare luce su un certo patrimonio è data spesso dall'evento singolo, dalla mostra, dalla scoperta di un documento particolare. E non lo dico in senso negativo, credo anzi che una sana economia dei beni culturali sia fortemente connessa alla capacità di poterne dare una comunicazione da cui ottenere una ricezione adeguata: così si mettono in moto nuove professionalità e si creano le premesse per indotti importanti. In alcune regioni il volano del turismo ha consentito di investire, poi, risorse per il restauro e la valorizzazione.

Il meccanismo può essere quindi virtuoso, e non solamente effimero o di poco valore. Si tratta di valutare l'impatto che esso crea, senza trascurare i giacimenti più nascosti a favore di valorizzazioni del tutto estemporanee. Bisogna realizzare una sinergia - come si suol dire oggi con parola alla moda - con strutture private che hanno grande necessità e grande possibilità di investire in questa direzione e di fornire supporti importanti: penso in particolare all'industria telematica e a quella informatica. Penso anche al ruolo delle fondazioni bancarie: in una regione e in una città come le nostre, queste fondazioni svolgono un ruolo quasi monopolistico nella valorizzazione dei beni culturali. E oggi siamo ospiti, non a caso, di una delle più importanti banche italiane, la Unicredit, che ci mette a disposizione la sua sala di rappresentanza. Bisogna dire che se Bologna conosce da molto tempo una grande assenza dei gruppi industriali nel campo della cosiddetta sponsorizzazione, le fondazioni bancarie hanno invece, per tradizione, una grande capacità di intervento. Si tratta ancora una volta di commisurare se, quanto e come, questo intervento metta in moto meccanismi virtuosi. Altri soggetti e altre forme di intervento possono essere indicati, ma questo è il compito che meglio possono svolgere i colleghi e gli amici che partecipano al convegno. Da parte mia credo che queste sinergie possano essere ulteriormente potenziate, così come avviene in altri paesi europei e naturalmente oltreoceano, dove questo legame tra privato e pubblico è molto importante.

Rimane da affrontare una questione piuttosto ingombrante. Qui lo faccio a margine, ma nel dossier di "IBC" se ne discuteva a fondo e probabilmente nel corso del convegno altri ne parleranno più diffusamente. Mi riferisco al problema dei mass media più popolari: la televisione e la radio. Non possiamo certo inserire in questo convegno la discussione sul grande nodo irrisolto dell'informazione televisiva in Italia, perché da solo meriterebbe altri dieci incontri. Ma c'è una domanda particolare che qui ci deve interessare: perché uno strumento ancora così popolare e di largo consumo - in Italia, rispetto agli Stati Uniti o ad altri paesi occidentali, i fruitori di internet sono ancora percentualmente più bassi e quindi, nel bene e nel male, la televisione resta il primo mezzo di divulgazione e informazione - perché, dicevo, questo strumento così potente tende inesorabilmente a ridurre i beni culturali a elemento di folklore e di contorno turistico, anziché - salvo rare e interessanti eccezioni - valorizzare questo ambito?

Se leggiamo nel dossier di "IBC" le testimonianze di alcuni giornalisti che hanno fatto esperienza in televisione, ci rendiamo conto che c'è moltissimo da fare su questo fronte, e che c'è addirittura stato un qualche arretramento rispetto a esperienze passate. Almeno un'indicazione in controtendenza, se non vogliamo dire una speranza, proviene dal sistema radiofonico: qui persino alcune emittenti commerciali e dedicate soprattutto alla musica per i giovani producono informazioni interessanti su eventi e situazioni culturali.

Ho messo sul tappeto molte questioni diverse, anche in modo generico e approssimativo, perché non volevo togliere spazio a interventi di persone ben più competenti e preparate. Ma era per sottolineare, oltre all'importanza di questo dibattito, alcuni punti fondamentali: l'opportunità di abbinare sempre il discorso sulla tutela e sulla valorizzazione dei beni culturali all'analisi dell'informazione su ciò che accade in questo ambito; la capacità che i beni culturali stessi hanno di produrre informazione e comunicazione; e la necessità di reperire forze e organizzare i soggetti coinvolti per agire d'intesa, perché questa comunicazione avvenga nel modo migliore.

 

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