Rivista "IBC" XI, 2003, 4

musei e beni culturali / convegni e seminari, didattica, restauri, pubblicazioni

Chi è, cosa fa, e soprattutto come si diventa un restauratore di beni culturali? Un'indagine regionale condotta dallo IAL Emilia-Romagna - Area di Modena e Reggio Emilia cerca di uscire dal labirinto delle tante variabili di questo settore.
Le vie del restauro

Christian Favarin
[collaboratore dello IAL Emilia-Romagna - Area di Modena e Reggio Emilia]
Francesco Scaringella
[responsabile ricerca e sviluppo dello IAL Emilia-Romagna - Area di Modena e Reggio Emilia]

Il 20 giugno 2003 a Bologna, in un convegno e tavola rotonda dal titolo "La disciplina dell'insegnamento del restauro dei beni culturali: stato dell'arte, proposte operative e percorsi per la regione Emilia-Romagna", alla presenza di numerosi e autorevoli esponenti del mondo del restauro e del sistema formativo,1 sono stati presentati e discussi gli esiti di un'indagine condotta dallo IAL Emilia-Romagna Ente di formazione professionale della Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL) - Area di Modena e Reggio Emilia, e contenuti all'interno della pubblicazione Restauratore di beni culturali: regole, profili di competenza, formazione, lavoro. Strade e dimensioni per uscire dal labirinto [si veda la scheda del volume, ndr]. La ricerca, finanziata nel 2001 dalla Regione Emilia-Romagna nell'ambito del Fondo sociale europeo, ha visto due referenti tecnici: per la formazione, l'Assessorato regionale alla formazione professionale; per il settore del restauro, l'Istituto regionale per i beni culturali (IBC). Entrambi si sono costituiti parte attiva di un comitato tecnico-scientifico allargato a componenti istituzionali diverse, specializzate nei settori distinti della conservazione e della formazione professionale, che hanno monitorato, condiviso e validato gli esiti conseguiti.

L'input che ha dato avvio alla ricerca ha origine dalle prescrizioni definite dallo schema di regolamento 294/2000 del Ministero per i beni e le attività culturali, concernente "l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici". Il decreto si è dimostrato essere una prima e importante tappa di un complesso e spesso controverso iter legislativo teso a regolare l'intero settore del restauro e, in particolare, la disciplina dell'insegnamento del restauro dei beni culturali. Nel corso dell'indagine si è infatti assistito a un certo "movimentismo" da parte del legislatore, che ha portato in primo luogo alle modificazioni e integrazioni normative del Decreto ministeriale 420/2001 e infine, su istanza dei ministri Urbani e Moratti, al Disegno di legge sulla "disciplina dell'insegnamento del restauro dei beni culturali".

Quali sono dunque le domande che la ricerca si è posta? Innanzitutto, chi sia il restauratore di beni culturali, nello specifico del nostro contesto regionale, approfondendo e cercando di riempire di contenuto le definizioni apportate dal variegato quadro normativo. Ciò ha significato chiedersi quali siano le competenze che caratterizzano il profilo professionale del restauratore (o meglio, dei restauratori, posta la possibilità di presupporre - e la ricerca lo ha confermato - che il restauratore di lapidei non abbia le medesime competenze del restauratore di dipinti). Ancora, ci si è chiesti, una volta chiariti i confini e l'essenza della sua (delle loro) professionalità, se sia possibile costruire un percorso formativo "ideale" per il restauratore, in termini sia di contenuti sia di metodologie formative, provando a prefigurare anche il ricorso integrativo di diverse agenzie formative: le università, le scuole ministeriali, le scuole regionali, i centri di formazione professionale, le "botteghe". Infine (ma l'elenco delle domande potrebbe in realtà continuare) la ricerca si è dedicata anche al tema della certificazione delle competenze dei restauratori, ovvero della tutela, dell'accessibilità, del riconoscimento di questa fondamentale professione.

Porsi queste (e altre) domande ha comportato l'ingresso e l'esplorazione di un intricatissimo labirinto, caratterizzato da incroci e intrecci di diversa natura: variabili normative, in relazione alla già accennata regolamentazione e alla disciplina della figura professionale oggetto dello studio; variabili professionali, specie in rapporto alla garanzia di un esercizio qualitativamente elevato del lavoro di restauratore; variabili formative, in ordine agli idonei canali e alle modalità di accesso alla professione, nonché ai relativi percorsi di qualificazione; variabili occupazionali, riferite all'incontro tra domanda e offerta di lavoro e alle diverse richieste di professionalità espresse da parte delle imprese, del patrimonio artistico e culturale, della programmazione pubblica, ecc.; variabili scientifiche, tecnologiche e culturali, da afferirsi al ricco dibattito tuttora in corso sui temi e le problematiche affrontate; variabili politiche e istituzionali, in rapporto al peso di punti di vista e interessi differenti (talvolta conflittuali) riconducibili al restauro dei beni culturali.

Si è parlato di labirinto. La metafora del labirinto ha fatto da filo conduttore della ricerca: in primo luogo il labirinto è evocativo della complessità dell'oggetto della ricerca e della difficoltà di affrontare e provare a sbrogliare il groviglio di variabili, spesso intrecciate e multidimensionali, sopra elencate. Ma la metafora suggerisce anche la possibilità di fronteggiare l'incertezza e la complessità attraverso un metodo, anzi attraverso diversi metodi, sia teorici (quale il ragionamento matematico proposto da Averroè), sia empirici (il famoso "filo di Arianna"): lo studio normativo, l'analisi socio-economica, l'indagine qualitativa, l'indagine "sul campo", l'osservazione del lavoro, la progettazione formativa, ecc. Tutto ciò procedendo nell'esplorazione dei mille angoli e corridoi del labirinto senza la sicurezza dei risultati (l'uscita), ma con precisione, disciplina, e soprattutto trasparenza.

Il labirinto affrontato, ben lontano dall'essere finito, immutabile e dunque facilmente analizzabile, ha consentito comunque alla ricerca di lasciare sul terreno del dibattito in corso alcuni punti fermi e "segni per terra", utilizzabili da chi (altri ricercatori? decisori istituzionali? comunità professionale?) ha interesse in materia di restauro di beni culturali. Tra questi punti fermi si segnalano: la classificazione e descrizione del settore del restauro di beni culturali, con una fotografia più nitida e definita in particolare del contesto regionale; la classificazione e descrizione dei processi lavorativi tipici del lavoro di restauro; la classificazione e la descrizione dei profili di competenza delle diverse tipologie di restauratore individuate; la mappatura "teorica" delle competenze tecnico-professionali dei diversi restauratori, nonché la loro verifica "sul campo" ascoltando la diretta voce degli operatori del settore; la progettazione di percorsi e tracciati formativi.

E al di là di questi "segni" sono state avanzate alcune concrete proposte, rivolte in modo particolare alla nostra regione. Tali proposte ambiscono a essere contributo di riflessione per tentare di sbloccare l'impasse formativa per l'accesso alla professione di restauratore di beni culturali (ricordiamo, ad esempio, che il Disegno di legge è ancora nella sua fase dibattimentale), assicurando chiari percorsi di riconoscimento e spendibilità dei diversi possibili percorsi di qualificazione e delle competenze acquisite. Presentiamo, quindi, un ampio ventaglio di possibilità, indicando in estrema sintesi le condizioni di percorribilità e cantierabilità: in particolare, in ordine alla titolarità, alla natura e all'ambito territoriale dell'azione proposta.

 

 

 

Sistema istituzionale

 

Sistema formativo

 

Sistema del lavoro

 

Azione diretta

Regionale

1) Attivazione della Scuola della Regione (IBC, costituita ad hoc)

 

 

Sovraregionale

2) Decentramento delle Scuole di alta formazione

3) Attivazione di una Scuola tra Regioni

 

Regionale e sovraregionale

6) Accreditamento dell'Agenzia formativa

7) Dialogo e passerelle con Agenzie accreditate

 

Azione organizzata e integrata

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Regionale

4) Organizzazione del Sistema regionale di formazione in materia, attraverso strutture accreditate dalla Regione e dallo Stato

 

Sovraregionale

5) Organizzazione di un Sistema interregionale di formazione in materia, attraverso strutture accreditate dalle Regioni e dallo Stato

 

Regionale e sovraregionale

8) Accreditamento di sistema, ad esempio attraverso un Patto territoriale o tematico

Regionale e sovraregionale

9) Accreditamento di sistema, ad esempio attraverso un Patto territoriale o tematico o la costituzione di Scuole aziendali

 

La prima proposta (1) prefigura l'azione diretta della Regione Emilia-Romagna che, sulla base della riserva operata dalla relazione illustrativa al Disegno di legge "Urbani-Moratti", può scegliere (in quanto soggetto "naturalmente ricompreso" tra quelli accreditati all'insegnamento del restauro) di erogare in prima persona la formazione in materia, previa "attivazione di una scuola ad hoc" (ma composta da chi?) o "attraverso l'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali", organismo che, come ben sappiamo, svolge funzione di supporto tecnico-scientifico, di programmazione regionale e di consulenza degli Enti locali nel settore dei beni culturali.

La seconda proposta (2) coinvolge invece gli organi dello Stato rilevanti per il settore del restauro già presenti in regione (ad esempio le Soprintendenze) o da decentrare ad hoc. La soluzione preferibile, per la qualificazione e la riconoscibilità professionale dei restauratori, in virtù del dispositivo formativo posseduto (si vedano ad esempio le dotazioni strumentali e di laboratorio, i curricula e il valore dei docenti, l'organizzazione dell'insegnamento, ecc.), in virtù dell'esperienza di alta qualità e della chiara previsione di tutte le norme di riferimento, è la soluzione rappresentata dalla "costituzione di agenzie regionali distaccate dalle alte scuole ministeriali dell'Istituto centrale del restauro di Roma e dell'Opificio delle pietre dure di Firenze".

La terza strada ipotizzata (3) costituisce una chance dell'istituzione Regione giocata però in un quadro sovraregionale, cioè in accordo e in collegamento con altre Regioni. È relativa alla "costituzione di una scuola del restauro interregionale", dove almeno due Regioni scelgono di investire direttamente sull'erogazione di formazione e sul relativo riconoscimento dei percorsi implementati, anche attraverso l'attivazione ad hoc di proprie agenzie.

La quarta ipotesi (4), pur denotando un'azione di cui rimane titolare la Regione Emilia-Romagna, prevede il coinvolgimento e l'integrazione con altri soggetti e (meglio) sistemi: in particolare le Province, gli Enti locali, il sistema dell'education (in particolare università, Scuola del restauro di Ravenna, accademie di belle arti, scuole riconosciute di restauro, centri di formazione professionale qualificati, ecc.) e, se possibile, il sistema del lavoro (anche mediato e rappresentato da forme organizzate e/o associative). Abbiamo definito tale proposta come "organizzazione del sistema regionale di formazione in materia di restauro di beni culturali, attraverso strutture accreditate dalla Regione e dallo Stato".

La quinta proposta (5) altro non è che la riproposizione su scala sovraregionale della precedente. La variante per ottenere "l'organizzazione di un sistema interregionale di formazione in materia di restauro di beni culturali, attraverso strutture accreditate dalle Regioni e dallo Stato" è quindi almeno la presenza, alla guida dell'ipotetico progetto presentato, di due Regioni e del coinvolgimento almeno di soggetti, appartenenti a sistemi diversi da quello istituzionale, di più territori regionali.

La sesta strada evidenziata (6) è relativa all'autonoma azione di uno o più attori del sistema formativo che, per potere influire sul tema della formazione (accesso) e qualificazione del profilo di riferimento, deve "necessariamente superare i requisiti di accreditamento che verranno previsti" a seguito dell'approvazione del Disegno di legge (ma quali saranno? che tempi di attuazione avranno? a quali soggetti saranno rivolti? che validità avranno?).

La settima ipotesi (7), per molti motivi simile a quella appena delineata, è stata espressamente prevista per quelle agenzie che non sono e non saranno accreditabili. Ottenere "protocolli di dialogo e riconoscimento, in particolare attraverso la costituzione di passerelle con percorsi formativi erogati da parte delle strutture accreditabili", presenta comunque indubbie difficoltà realizzative, pur mantenendo aperto un limitato spiraglio sul tema.

L'ottava possibilità (8) prevede la titolarità del sistema formativo nella più potente accezione di sistema formativo integrato, con l'importante coinvolgimento del sistema istituzionale e l'auspicata integrazione con il sistema del lavoro (o anche solo con alcune organizzazioni e soggetti interessati). Ciò che con più forza può essere proposto - specie se viene formalizzato l'accordo tra agenzie formative (di diversa natura e tipologia), Regione ed Enti locali, associazioni datoriali e sindacali, imprese - è quindi una sorta di "accreditamento di sistema (bottom-up)", che può avvenire attraverso numerosi strumenti, interagendo con il processo di normazione in fieri (tipicamente top-down).

L'ultima strada (9) rappresenta una sorta di riproposizione della precedente, dal punto di vista del mondo del lavoro. La sola possibilità che infatti crediamo abbiano le istanze professionali e produttive per giocare un ruolo significativo in ambito di accesso e qualificazione della professionalità di restauratore è quella di presentarsi come sistema coinvolgendo necessariamente, attraverso prassi pattizie o di programmazione negoziata, anche gli attori istituzionali e del sistema formativo, nonché esplicitando le regole seguite per la proposta di percorsi legittimi e di alta qualità e, possibilmente, dimostrando il valore aggiunto che deriva dalle esperienze di apprendimento sul lavoro, come nella tradizionale formazione `a bottega'" (ad esempio attraverso l'attivazione di scuole aziendali e cantieri scuola, ecc.).

Lasciamo la valutazione delle proposte appena delineate al lettore e, in particolare, agli stakeholders (i "portatori di interesse") più volte citati. Detto questo, gli scriventi propendono, nella consapevolezza dei rischi e delle incertezze fortemente evidenti, per le ultime due strade trattate. Per il resto, facendo nostro il principio che la vera cartina di tornasole della bontà e della validità dei risultati di una ricerca sia costituita dal grado di utilità degli stessi, ci permettiamo, per il momento e in attesa degli eventi, di sospendere qualsiasi giudizio.

 

Nota

(1) Tra i quali: Marco Barbieri, assessore alla cultura, sport, progetti per i rapporti con i cittadini della Regione Emilia-Romagna; Fabrizia Monti, dirigente del Servizio formazione professionale della Regione Emilia-Romagna; Sergio Palmieri, amministratore delegato dello IAL Emilia-Romagna, Ente di formazione professionale della Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL); Maura Borelli, presidente dell'Associazione restauratori d'Italia; Giorgio Cappi, direttore dell'Area Modena e Reggio Emilia dello IAL Emilia-Romagna; Gianoberto Gallieri, presidente regionale dell'Associazione nazionale artigianato artistico (ASNAART) - Confederazione nazionale dell'artigianato (CNA) Emilia-Romagna; Elio Garzillo, soprintendente regionale per i beni e le attività culturali dell'Emilia-Romagna; Fabio Iemmi, restauratore; Daniela Pinna, direttore del laboratorio scientifico dell'Opificio delle pietre dure di Firenze; Alessandro Zucchini, direttore dell'Istituto per i beni culturali (IBC) della Regione Emilia-Romagna; Vichi Cannada Bartoli, dirigente dell'Osservatorio culturale e reti informative - Direzione generale culture, identità e autonomie della Regione Lombardia.

Scheda bibliografica

Realizzato da Christian Favarin, Cristina Ferrari e Francesco Scaringella, il volume Restauratore di beni culturali: regole, profili di competenza, formazione, lavoro. Strade e dimensioni per uscire dal labirinto si compone di quattro capitoli.

Il capitolo 1 seleziona alcune fonti disponibili (norme e atti di indirizzo del settore restauro, letteratura scientifica e percorsi formativi) di cui è data ampia e trasparente rintracciabilità, e attraverso una analisi comparata delle stesse incentrata sullo studio dei processi lavorativi fondamentali, identifica le competenze tecnico-professionali dei diversi profili specifici (descrittivi della figura professionale) del restauratore di beni culturali, ottenuti sulla base di una classificazione delle professionalità in base al materiale del manufatto del bene da restaurare.

Il capitolo 2 si serve di alcuni colloqui semistrutturati condotti con diversi "testimoni privilegiati" al fine di raccogliere opinioni aggiornate in relazione ad alcune questioni salienti e coerenti con il disegno di ricerca (quadro normativo di riferimento; figura professionale e professionalità del restauratore di beni culturali; formazione del restauratore; aree vocazionali e specificità del settore del restauro regionale; fabbisogni occupazionali e formativi del settore del restauro e in particolare del contesto regionale). Il capitolo ricostruisce inoltre, prima di rilevare il punto di vista degli attori coinvolti sulla materia, l'evoluzione storico-dinamica della regolamentazione della professionalità del restauratore (con particolare riferimento al contesto italiano), sia attraverso gli atti normativi e documentali di riferimento, sia soprattutto proponendo specifici contributi saggistici e di commento alle disposizioni e alle pratiche attuate.

Il capitolo 3 presenta i risultati di una indagine sul campo, svolta attraverso una complessa intervista strutturata, indirizzata ad alcuni specifici profili di restauratori dell'area regionale (di dipinti, metalli e lapidei). L'indagine, che mira a vagliare, con metodologie di campo (field), la bontà della ricostruzione teorica realizzata (soprattutto della mappatura delle competenze professionali) con modalità teoriche e rielaborative (desk) nel capitolo 1, è centrata su alcune diverse sezioni: a) la condizione anagrafica, strutturale e organizzativa dell'azienda di appartenenza dell'intervistato; b) l'esperienza formativa e lavorativa del restauratore intervistato; c) le competenze agite dal restauratore (grado di possesso, internalizzazione/esternalizzazione organizzativa, grado di importanza attribuita, tempo di apprendimento, contesto di apprendimento); d) la consapevolezza e il giudizio del restauratore sui recenti provvedimenti legislativi di regolamentazione professionale; e) la propensione all'assunzione del restauratore intervistato, da parte dell'azienda di appartenenza.

Il capitolo 4 presenta infine alcuni risultati, ovvero possibili "strade e dimensioni" per affrontare l'uscita dal labirinto affrontato dalla ricerca e coerenti con quanto esplorato, che abbiamo suddiviso per maggiore chiarezza in: a) dimensioni teoriche e metodologiche (le Unità di competenza per il settore, una proposta di livelli e "tracciati" formativi rispettosi delle norme vigenti in Unità di competenza, ed esempi di progettazione formativa centrati sulle stesse Unità); b) dimensioni operative, ma ancora da sperimentare (in ordine alla spendibilità e riconoscibilità dei percorsi, al dialogo e alla reciprocità tra le agenzie formative, e alla definizione e sperimentazione di soluzioni per superare alcuni nodi critici); c) specifiche proposte pratiche per la regione Emilia-Romagna.

 

C. Favarin, C. Ferrari, F. Scaringella, Restauratore di beni culturali: regole, profili di competenza, formazione, lavoro. Strade e dimensioni per uscire dal labirinto, collaborazione scientifica di E. Corradini e C. Della Casa, prefazione di M. Bastico e M. Michelucci, Milano, Franco Angeli, 2003 ("Esperienze formative", 24), 528 p., Ç 15,50.

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