Rivista "IBC" XI, 2003, 4

Dossier: L'IBC per l'Europa

musei e beni culturali, dossier / media

Tecnologia dell'informazione e beni culturali

Franco Niccolucci
[Dipartimento di urbanistica dell'Università di Firenze]

L'uso dell'informatica riveste ormai un'importanza indiscussa per la ricerca, la gestione e comunicazione dei beni culturali, ma proprio quest'ampia diffusione delle tecnologie dell'informazione impone una riflessione che investa sia la correttezza del loro utilizzo che l'efficienza delle procedure, riflessione ancor più necessaria quando si pensi che queste tecnologie nascono in contesti e con finalità affatto estranee al mondo della cultura. Occorre dunque ripensare il modello complessivo (il cosiddetto business model) e le singole applicazioni per superarne i limiti, migliorarne l'efficacia, inserirle a pieno titolo nella metodologia dei beni culturali e creare un nuovo paradigma che sappia fondere le regole e i metodi propri della tecnologia, utilizzando tempestivamente il meglio di quanto viene proposto in questo campo, con quelli della cultura, salvaguardandone i valori. Una parte non trascurabile di questo impegno va dedicata alla formazione, sia universitaria che vocazionale, la quale, oltre a risentire della generale carenza a livello metodologico sopra descritta, è gravemente danneggiata, in Italia, dall'inadeguatezza del nostro sistema universitario, in questo settore ormai sempre più autoreferenziale.

Anche le iniziative di punta nel campo delle applicazioni della tecnologia ai beni culturali come i progetti di ricerca finanziati dalla Commissione Europea nell'ambito dei Programmi Quadro di ricerca e sviluppo, pur costituendo notevoli esempi di brillante e innovativo impiego di tecnologie avanzate nel campo del Cultural Heritage (nelle quali, fra l'altro, il contributo italiano è stato fra i più significativi), non sono state esenti da limiti, per ovviare i quali la stessa Commissione ha introdotto nel VI Programma Quadro alcuni correttivi. A questo proposito la parola chiave è "frammentazione". Si tratta di un problema che l'Unione Europea ha individuato come prioritario per tutta la ricerca e che proprio nel settore delle applicazioni culturali si esplica in misura maggiore.

Prima di tutto frammentazione significa mancanza di massa critica: i partenariati che hanno realizzato i progetti europei erano piccoli gruppi altamente specializzati, di durata circoscritta nel tempo, focalizzati su un obiettivo altamente specializzato e con poca attenzione alle "condizioni al contorno", con una disseminazione dei risultati relativamente ristretta. Se da un lato ciò ha assicurato prodotti di grande qualità, e quindi i relativi strumenti di finanziamento devono essere mantenuti, dall'altro si è manifestata la necessità, per superare i limiti suddetti, di introdurne di nuovi, come la "rete di eccellenza". Si tratta di una forma di finanziamento introdotta nel VI Programma Quadro e - secondo quanto dichiarato dagli stessi uffici della Commissione - ancora non pienamente sfruttata in tutte le sue potenzialità. L'obiettivo di tale strumento è di costituire una rete transnazionale di soggetti di elevata (e complementare) competenza che operino per un periodo di tempo sufficientemente lungo in vista di una progressiva e durevole integrazione, implementando un programma di ricerca congiunto, attivando meccanismi di mobilità di ricercatori e di formazione di giovani e garantendo un'ampia diffusione dei risultati. Dunque, se il tradizionale progetto (ora presente anche nella forma più efficace del "progetto integrato") può essere considerato come un'iniziativa "verticale", mirata al problema, la rete di eccellenza costituisce un intervento "orizzontale", mirato alla costruzione di un'infrastruttura. È perciò necessario parteciparvi con una filosofia nuova, più attenta all'"esserci" che al "fare".

Nel campo delle applicazioni ai beni culturali, alla frammentazione sopra descritta se ne aggiungono altre, specifiche e per così dire intrinseche. Un ulteriore elemento di frammentarietà è determinato a questo proposito dall'esigenza, non sempre rispettata, di un approccio interdisciplinare. Tale termine, spesso abusato, significa talvolta il mero affiancamento di esperti di settori diversi, qualche volta neppure contigui, l'ambito disciplinare di ciascuno dei quali si ferma dove inizia quello dell'altro: è invece nelle zone di confine che occorre operare, per allargare le sovrapposizioni delle competenze come spazi comuni di lavoro ed eliminare, appunto, la frammentazione.

Un ulteriore elemento di frammentazione nasce dalla "filiera" produttiva della comunicazione culturale. Questo processo inizia con la raccolta dei dati dalle fonti (materiali, storiche, archivistiche, orali, bibliografiche), la loro organizzazione e analisi, l'archiviazione e la conservazione, e si sviluppa attraverso l'interpretazione, la ricostruzione, la narrazione e infine la comunicazione. Ogni stadio è stato ed è oggetto di ricerche e di applicazioni della tecnologia dell'informazione, che però hanno mirato a risolverne le esigenze specifiche senza interfacciarsi con le fasi precedenti e successive, limite che può essere superato solo con una visione olistica dell'intero processo.

Un ultimo, ma non meno importante, elemento di frammentazione è infine rappresentato dalla formazione. In tutta Europa mancano iniziative interdisciplinari tanto a livello nazionale che transnazionale, ad eccezione della Gran Bretagna, dove moltissime università hanno corsi e diplomi interdisciplinari, e di altre iniziative isolate e sporadiche, occasionalmente presenti anche in Italia. I giovani ricercatori, per soddisfare la loro richiesta di formazione, sono costretti, novelli clerici vagantes, a cercarne un pezzo qua e un pezzo là. C'è dunque un grande bisogno di proposte coordinate, interdisciplinari, transnazionali, ma che salvaguardino la diversità delle culture, che altrimenti rischiano di essere assorbite dal primato della formazione anglosassone, già avvantaggiata dall'universalità dell'inglese come lingua di lavoro.

Dall'analisi sopra esposta nasce l'idea di "EPOCH", la rete europea che unisce cento istituzioni culturali da tutta Europa con lo scopo di migliorare la qualità e l'efficacia dell'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per i beni culturali. La rete nasce da una serie di rapporti di collaborazione scientifica preesistenti, molti dei quali cresciuti nell'ambito della "CAA" ("Computer Applications and Quantitative Methods in Archaeology", l'associazione internazionale organizzatrice dell'omonimo convegno annuale: www.caaconference.org), altri sviluppatisi come partenariati per la realizzazione di progetti europei. Un ampio dibattito durato oltre un anno ha posto le fondamenta del progetto, presentato nell'aprile 2003 al primo bando del VI Programma Quadro come rete di eccellenza. Attraverso un duro processo di selezione e una serie di estenuanti adempimenti amministrativi (in parte ancora in corso) "EPOCH" è stata selezionata come unica rete ammessa al finanziamento nel campo del Cultural Heritage, a fianco di un'altra rete sulle Digital Libraries, alcuni progetti su tematiche specifiche e la rete istituzionale "Minerva".

"EPOCH" è guidata da un gruppo di quattro partner principali: l'Università di Brighton (Regno Unito), il PIN scrl - Servizi didattici e scientifici per l'Università di Firenze, l'Ename Center (Expertisecentrum voor Erfgoedontsluiting) belga e l'Università di Leuven (Belgio), con l'Università di Brighton come coordinatore della rete e referente rispetto alla Commissione. L'organismo è diretto da un Board of Directors, in cui è presente, fra gli altri, un rappresentante dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC). I partner comprendono centri di ricerca, dipartimenti universitari, istituzioni museali, agenzie pubbliche nazionali o regionali sui beni culturali come l'IBC. La proporzione fra centri ad indirizzo tecnologico, con esperienza di applicazioni ai beni culturali, e quelli di provenienza umanistica, che già utilizzano tecnologie informatiche, è ben bilanciata. L'attività di rete sarà finanziata per quattro anni a partire dall'inizio del 2004, ma c'è l'impegno comune a garantire la sostenibilità dell'azione anche dopo la conclusione del finanziamento.

Un primo incontro fra i partner successivo all'approvazione del progetto si è tenuto a Brighton dal 5 al 7 novembre 2003 durante il Convegno internazionale "VAST2003" (www.eg.org/events/workshops/vast2003/). Queste conferenze, iniziate in Italia nel 2000 e aventi come tema l'"archeologia virtuale" e le applicazioni di Computer Graphics in campo archeologico, sono state scelte come sede ufficiale per il bilancio annuale delle attività della rete e quindi l'incontro si ripeterà alla fine di ogni anno. Un incontro a metà periodo si terrà annualmente in una sessione "EPOCH" della Conferenza "CAA" già ricordata, che nel 2004 si svolgerà per la prima volta in Italia (Prato, 13-17 aprile: www.caa2004.org) e che, molto probabilmente, costituirà il convegno di lancio della rete.

Il programma di attività di "EPOCH" è complesso e articolato, e ne diamo di seguito una breve sintesi, seguendo il piano di lavoro articolato in workpackages. Il primo di questi (Management) riguarda la gestione della rete ed è affidato all'Università di Brighton nella persona del professor David Arnold. Comprende tutte le attività necessarie per il buon funzionamento del sistema, quindi per la rendicontazione, il reporting, le policies e le procedure amministrative. All'interno del modulo è prevista la costituzione di un Review College, cioè un collegio di esperti chiamati a individuare le priorità di ricerca (la cosiddetta Research Agenda) e a segnalarle al Board.

Il secondo workpackage è affidato all'Ename Center, Ir. Daniel Pletinckx, e riguarda l'interazione delle attività (Integrating Activities). È concentrato sulle attività tendenti a integrare il lavoro dei partner e ad assecondare e controllare gli input esterni verso la rete. In particolare, i partecipanti si preoccuperanno di determinare le esigenze espresse dagli "attori" (stakeholders) culturali in tutta la filiera della produzione della comunicazione culturale, integrandole in un osservatorio orizzontale sul mercato delle tecnologie per valutare l'importanza e l'impatto potenziale di nuovi sviluppi tecnologici e di altre attività condotte esternamente alla rete. Nel workpackage ci si occuperà anche dello sviluppo e della realizzazione di showcases, in sostanza dimostrazioni dei risultati ottenibili dall'applicazione di ricerche già disponibili, e del feedback conseguente.

Il terzo workpackage (Jointly Executed Research) coordinato dall'Università di Leuven con il professor Luc Van Gool, è relativo all'attività congiunta di ricerca, a partire dalla definizione iniziale dell'architettura, delle componenti e delle linee guida dell'infrastruttura di ricerca comune per la produzione di versioni digitali di beni culturali materiali. Su questa base esso affiderà poi compiti specifici di ricerca, monitorandoli e valutandone i risultati; si prevede che tale ricerca implicherà un'integrazione di componenti già esistenti con nuovi strumenti atti a riempire le lacune nella filiera produttiva o a eliminare i colli di bottiglia che ne limitano l'efficienza.

Il quarto e ultimo workpackage (Spreading Excellence) è affidato al PIN scrl - Servizi didattici scientifici per l'Università di Firenze sotto la direzione del professor Franco Niccolucci [lo scrivente, ndr] e si occupa della disseminazione, della formazione e degli standard, avendo come obiettivo la condivisione, dentro e fuori della rete, dei risultati da essa ottenuti. In questa prospettiva ne gestirà il sito web, deposito della conoscenza e punto principale di accesso all'attività della rete; svilupperà l'attività formativa e di mobilità, raccogliendo, con un'indagine annuale, la domanda e l'offerta formativa, promuovendo o organizzando direttamente appropriate iniziative in questo campo, gestendo un consistente programma di borse di studio per giovani ricercatori e pubblicando un annuale "Libro bianco sulla formazione in Europa nel settore delle applicazioni informatiche ai beni culturali". Fra le attività del workpackage rientra inoltre la pubblicazione di un "Rapporto sullo Stato dell'Unione" relativo alla ricerca, alle politiche e alle pratiche in questo settore e, infine, la partecipazione e/o l'organizzazione di una serie di eventi culturali oltre ai precedenti già ricordati.

La partecipazione italiana a "EPOCH" è consistente e qualificata e comprende il Politecnico di Milano, l'Università di Genova, l'Università di Bologna con due dipartimenti, il Consiglio nazionale delle ricerche - CNR (Istituto di studi sulle civiltà italiche e del Mediterraneo antico - ISCIMA, Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali - ITABC, Istituto di storia dell'Europa mediterranea - ISEM), l'Università di Firenze tramite il consorzio PIN, l'Università di Napoli - "L'Orientale", e alcune piccole e medie imprese, oltre naturalmente all'IBC, unica istituzione di questo genere presente a livello italiano.

In particolare l'IBC influirà sulla formazione delle strategie e delle scelte operative all'interno del Board, effettiva sede decisionale istituzionale in presenza di un partenariato così ampio. Fornirà, inoltre, un input determinante come interlocutore privilegiato nell'individuazione degli user needs e come portavoce delle esigenze degli operatori culturali. Parteciperà infine all'attività di ricerca nel campo degli standard di valutazione, valorizzando la competenza già acquisita in questo campo. Si tratta dunque di un ruolo di particolare importanza, che potrà crescere anche attraverso la creazione di collegamenti con altri soggetti come "Minerva" con i quali "EPOCH" dovrà coordinare la propria azione.

 

Sito web di riferimento:

L'apertura del sito di "EPOCH" è prevista per i primi mesi del 2004.

 

Referente IBC:

Maria Pia Guermandi

([email protected])

 

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