Rivista "IBC" XIII, 2005, 1

musei e beni culturali / pubblicazioni

V. Curzi, Bene culturale e pubblica utilità. Politiche di tutela a Roma tra Ancien Régime e Restaurazione, Bologna, Minerva Edizioni, 2004.
Dal pane al Pantheon

Stefano Luppi
[storico dell'arte, collaboratore della Biblioteca civica "Poletti" di Modena]

Ascoltando Federico Zeri prima, o Vittorio Sgarbi oggi, tuonare contro coloro che non pongono la tutela dei monumenti e dell'arte tra le priorità dell'amministrazione - insieme a molti altri studiosi che ne hanno fatto una ragione di vita, come Ragghianti, Volpe, Causa, Gnudi, Wittgens - qualcuno potrebbe credere che l'attenzione a favore della salvaguardia del patrimonio artistico e paesaggistico, vera unicità italiana, sia una sensibilità maturata nel corso del Novecento. Magari a seguito delle leggi di tutela volute dal ministro Giuseppe Bottai nel 1939 (n. 1089 e n. 1497). Niente di più sbagliato: quei nobili provvedimenti nati in anni difficili della storia d'Italia, nel 2004 confluiti nel codice dei beni culturali e del paesaggio voluto dall'attuale ministro Giuliano Urbani, hanno le loro solide radici nell'attività legislativa preunitaria dello Stato Pontificio. Le vicende sono molto complesse ma allo stesso tempo avvincenti, come è possibile appurare leggendo l'importante testo di Valter Curzi Bene culturale e pubblica utilità. Politiche di tutela a Roma tra Ancien Régime e Restaurazione, pubblicato lo scorso anno da Minerva edizioni con introduzione di Andrea Emiliani.

I nostri sono tempi particolari per la tutela e la valorizzazione delle opere d'arte: altri soggetti sono infatti entrati in punta di diritto nel settore poiché, se la tutela resta sempre allo Stato, la valorizzazione, in seguito alla riforma Bassanini sul federalismo amministrativo e a numerosi interventi legislativi ulteriori, è ora anche di competenza di Regioni ed enti locali, che possono collaborare in queste materie con il potere centrale (l'articolo 9 della Costituzione, del resto, parla di beni culturali come patrimonio della "Repubblica", termine giuridicamente "largo"). Ma la coscienza tra storia culturale e identità in Italia è sempre stata molto forte, appunto fin dagli stati preunitari. Basta pensare alla collezione dei Borboni o a quella dei Medici-Lorena legata per sempre a Firenze, o ancora, per venire al tema del volume di Curzi, ben documentato e ben scritto, alle leggi della Chiesa volute dal cardinal Pacca.

Tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, in età napoleonica tra Rivoluzione e Restaurazione, molti intellettuali come Quatremère de Quincy si batterono per il patrimonio italiano contro la razzia delle opere d'arte. I tentativi di salvaguardia saranno poi sviluppati nel 1802 dal chirografo di papa Pio VII Chiaramonti redatto dall'abate Carlo Fea - che richiamò una tradizione legislativa secolare recuperando quanto i papi avevano ordinato in materia dal XV secolo - e dall'editto del camerlengo Bartolomeo Pacca nel 1820. Non basterà, naturalmente, tanto che Antonio Canova, nominato proprio nel 1802 ispettore alle antichità e belle arti della Chiesa, nel ruolo che ebbe anche Raffaello, dovette spendere la sua credibilità internazionale per recuperare capolavori usciti dall'Italia con le requisizioni francesi. Le pagine di Curzi, docente universitario di storia della legislazione di tutela, raccontano della "modernità" delle norme romane in merito alla politica di tutela, normative talmente all'avanguardia che costituirono l'ossatura della regolamentazione generale che la monarchia volle varare nel 1902 e che poi porteranno alle leggi del 1939.

Curzi racconta anche delle battaglie che un personaggio come Fea dovette intraprendere, ad esempio, per far abbattere una bottega da barbiere addossata alla colonna di Marco Aurelio o, nel 1805, il "forno della Palombella" addossato al Pantheon. L'abate rischiò anche l'incolumità fisica per la rabbia dei proprietari di queste costruzioni lesive del monumento, i quali lo additavano come "eccessivamente invaghito di scoprire in ogni angolo di Roma qualunque antico Sasso". Per la cronaca: per quanto riguarda il Pantheon Fea non ce la fece e bisognerà attendere il 1881 per veder scomparire il forno insieme alle due torri campanarie della facciata, realizzate da Gian Lorenzo Bernini. Da un estremo all'altro.

 

V. Curzi, Bene culturale e pubblica utilità. Politiche di tutela a Roma tra Ancien Régime e Restaurazione, Bologna, Minerva Edizioni, 2004, 254 p., _ 20,00.

 

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