Rivista "IBC" XIII, 2005, 4

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, didattica, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni

Dal percorso formativo per orientarsi nella "fabbrica delle immagini", al concorso fotografico per mettere alla prova, nel cuore della città, la forza dello sguardo. È questa la formula di un progetto scolastico presentato nel corso di "Artelibro".
La città mutevole

Maria Pace Marzocchi
[Associazione culturale "Dedalo", Bologna]
Valeria Roncuzzi
[Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Bologna]
Riccardo Vlahov
[IBC]

IL CONCORSO FOTOGRAFICO

Tra i moltissimi eventi collaterali che fin dalla prima edizione del settembre 2004 hanno accompagnato "Artelibro Festival del libro d'arte", l'importante mostra-mercato di libri d'arte con sede a Bologna ma di portata internazionale (www.artelibro.it), vi è anche un progetto riservato alle scuole medie superiori di Bologna e della provincia. Un corso-concorso fotografico promosso dall'Associazione "Artelibro" e dall'Associazione culturale "Dedalo" (www.dedalobo.com) in collaborazione con l'Istituto per i beni culturali (IBC) della Regione Emilia-Romagna, e con il patrocinio del Centro servizi amministrativi (CSA) dell'Ufficio scolastico regionale. Il progetto mira a sensibilizzare gli studenti alla conoscenza del linguaggio dell'immagine nel suo configurarsi storico, indirizzandoli all'uso consapevole del codice espressivo della fotografia, delle sue peculiarità e della sua unicità, nel raccontare e interpretare la realtà.

Tema proposto per l'anno scolastico 2004-2005: "La città mutevole. Le trasformazioni della città dal piano regolatore del 1889 ai nostri giorni". Il progetto didattico si è svolto in varie fasi. La prima è stata quella teorica e propedeutica: una serie di incontri, ospitati nella Sala del Seicento dell'Istituto di cultura germanica, tenuti da Riccardo Vlahov dell'IBC [si veda, più avanti, il suo contributo, ndr]. Non un corso di "tecnica fotografica", ma una proposta per un utilizzo consapevole della fotografia come strumento critico di informazione e conoscenza. Premessa necessaria per un preliminare avviamento alla tecnica della fotografia e successivamente alla produzione delle immagini, una breve storia della fotografia, dalle ottocentesche "camere oscure" ai dagherrotipi alle innovazioni del Novecento alle attuali e sempre più perfettibili camere digitali. Accanto all'evolversi della tecnica fotografica, una parallela riflessione, sorretta da considerazioni di carattere storico, sull'utilizzo dell'indagine fotografica rivolta all'immagine della città e del suo territorio.

Quindi la ricognizione di alcuni "fondi fotografici" relativi alla città, e la conseguente riflessione sulla sua natura di "documento storico": qualità peculiare di ogni archivio, da quello pubblico a quello privato, di famiglia o personale. Un patrimonio che va consultato senza però essere "saccheggiato", come spesso accade anche inconsapevolmente. Dunque anche un avvio alla riflessione sui complessi temi, e problemi, della conservazione, del riuso e della valorizzazione dei patrimoni fotografici storici conservati negli archivi pubblici e privati. Non a caso l'incontro conclusivo del corso si è tenuto presso la Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, dove gli studenti hanno potuto virtualmente "visitare" un importante fondo fotografico attraverso la proiezione di una selezione di immagini appositamente riprodotte, a cura di Valeria Roncuzzi e Cristina Bersani, conservatrici del Gabinetto dei disegni e delle stampe della Biblioteca [si veda anche la scheda realizzata in proposito da Valeria Roncuzzi, ndr].

Poi la fase operativa, con gli studenti sul campo, a documentare gli edifici, le strade della propria città, il loro essere "mutevole", nel tessuto urbano ma anche nel territorio circostante, dal primo piano regolatore (prima dello scadere dell'Ottocento) all'oggi. Secondo il regolamento approntato per il concorso, ciascuna classe ha partecipato scegliendo tra le seguenti tipologie: foto singole, serie di foto, ipertesti/tabelloni, con la possibilità di utilizzare anche riproduzioni di immagini "storiche", per un confronto ieri/oggi. Dopo la disamina della giuria - presidente Giovanna Pesci Enriques (Artelibro), membri: Adriana Grechi (CSA), Virginiangelo Marabini (Fondazione Cassa di risparmio in Bologna), Maria Pace Marzocchi (Dedalo), Piero Orlandi (IBC), Riccardo Vlahov (IBC) - sono stati premiati i primi tre lavori migliori in assoluto.

La cerimonia di premiazione del concorso fotografico, che si è tenuta il 23 maggio 2005 presso la sala Stabat Mater dell'Archiginnasio, ha visto protagoniste la classe II-D del Liceo scientifico "Giordano Bruno" di Budrio, la classe V-I del Liceo "Luigi Galvani" (indirizzo scientifico), le classi I liceo del Liceo classico "Rita Levi Montalcini" e III del Liceo scientifico "Alessandro Manzoni" (che hanno presentato un lavoro in comune). Un encomio speciale è stato conferito alla classe I (A e B) della Scuola media inferiore "Santa Teresa del Bambino Gesù" (unica scuola secondaria di primo grado partecipante al concorso) per l'originalità e l'impegno del lavoro presentato. Alle classi risultate vincitrici sono stati donati importanti volumi sulla storia e l'architettura di Bologna, offerti dalla Fondazione Carisbo e da Unicredit Banca. A tutte le classi è stata consegnata una targa di partecipazione; oltre alle scuole già menzionate, tra quelle che hanno aderito al corso-concorso 2005-2005 vanno citate: il Liceo artistico "Francesco Arcangeli", il Liceo scientifico "Niccolò Copernico", l'Istituto d'arte, l'Istituto tecnico commerciale "Gaetano Salvemini" di Casalecchio di Reno.

I lavori presentati al concorso sono stati oggetto di una mostra fotografica allestita in una delle Sale Rubbiani del Palazzo del Podestà nelle giornate della seconda edizione di "Artelibro" (22-26 settembre 2005). Nella stessa occasione è stato presentato il secondo corso-concorso fotografico, che con analoghe procedure si terrà nell'anno scolastico 2005-2006, sul tema "Dove finisce la città". Questa volta gli allievi delle classi che parteciperanno saranno chiamati ad analizzare criticamente, mediante lo strumento della fotografia, alcuni aspetti del territorio urbano ed extraurbano, di quella marca di confine che si apre tra i margini della città e una "campagna" che ha ormai travisato i suoi connotati tradizionali e la sua fisionomia "storica". Una fisionomia via via sostituita, e quasi prosciugata, da un'espansione edilizia di cui spesso sfuggono i criteri ordinatori: centri commerciali, ipermercati, rotonde disorientanti, agglomerati di edilizia abitativa costruiti accanto ad arterie stradali ad altissima densità di traffico nelle aree fino a un recente passato definite "di rispetto"...

È un tema dalle valenze complesse, che si può estendere ben al di là di una mera connotazione di spazio, e applicare anche a certe zone della "città storica", quando nelle stesse venga meno la loro entità, ben oltre i fisiologici mutamenti attraverso il tempo. Via delle Belle Arti "terra di nessuno", come le nuove periferie, stranianti e globalizzate? Guardarsi intorno per vedere, scegliere, analizzare... E poi restituire attraverso l'occhio dell'obiettivo: diaframma, filtro, lente d'ingrandimento. Una sfida stimolante per gli studenti di oggi, fruitori della città, e cittadini di domani.

[Maria Pace Marzocchi]

IL CORSO DI FORMAZIONE

La prima parte del corso ("La fabbrica delle immagini"), partendo da una panoramica sull'evoluzione della tecnologia fotografica dal 1839 a oggi, ha fornito agli allievi una serie di riflessioni sulle funzioni della fotografia, sulle sue potenzialità espressive, sulle tecniche e i metodi di produzione, per poterla utilizzare consapevolmente come strumento critico di informazione, interpretazione e comunicazione.

Per cominciare è stata presentata una panoramica sull'evoluzione della tecnologia fotografica (materiali sensibili e fotocamere) e delle relative tecniche di ripresa, sviluppo e stampa. È stato successivamente presentato l'impiego della fotografia nel campo della rappresentazione dell'architettura e dell'urbanistica, fino alle campagne di rilevamento (con l'esempio di Paolo Monti) in Emilia e Romagna, al progetto "Archivio dello spazio" realizzato dalla Provincia di Milano e alla campagna fotografica sugli edifici dimessi delle aree soggette a interventi di riqualificazione organizzata dalla Regione Emilia-Romagna (con la collaborazione di Gabriele Basilico).

L'industria fotografica determina una progressiva "massificazione" della fotografia, mettendo questa tecnologia alla portata di tutti. La massiccia commercializzazione di fotocamere compatte a basso costo, dotate di automatismi pressoché totali e la larghissima diffusione di macchinette usa-e-getta portano a un continuo aumento della quantità delle immagini prodotte associato a un progressivo decadimento della qualità. Una corretta e consapevole rappresentazione della realtà si ottiene soltanto riflettendo bene su "che cosa", "perché" e "come" fotografare. Per far comprendere meglio le funzioni e le potenzialità espressive della fotografia e per fornire agli studenti una "guida alla riflessione" sono quindi stati illustrati alcuni punti chiave:

La fotografia come strumento critico di informazione

Percezione visiva e fotografia sono profondamente differenti. Il nostro sistema percettivo è estremamente complesso e si basa sull'acquisizione grezza di porzioni di immagini dinamiche a vari livelli di nitidezza, che verranno riassemblate dal cervello, memorizzate e riutilizzate frequentemente come base di confronto. Nonostante il notevole campo visivo dell'occhio umano, la percezione nitida equivale a un angolo di campo di solo 1°, costringendo l'occhio a un continuo movimento alla ricerca delle zone più interessanti da osservare e il cervello a una continua ricomposizione del mosaico di immagini percepite. L'interesse e la curiosità guidano l'occhio sulle zone ritenute più importanti ai fini della conoscenza e dell'identificazione. La fotografia è, al contrario, solamente un semplice strumento di "riproduzione tecnica" o, per meglio dire, di "registrazione" della realtà visuale.

Le funzioni e le finalità della fotografia sono: descrivere, interpretare, comunicare visivamente gli aspetti della realtà che percepiamo. Le conoscenze, le riflessioni, le opinioni, le intenzioni, proprie di ciascuno di noi, verranno indirettamente "inserite" nell'immagine al momento dello scatto, nell'atto meramente tecnico della registrazione. La fotografia nasce quindi dalla curiosità e dal desiderio di conoscere e di far conoscere. Con la fotografia comunichiamo visivamente le nostre percezioni, conoscenze e interpretazioni, sia alle persone del nostro tempo che a quelle del futuro. Una delle funzioni principali della fotografia è l'informazione. Ciò che maggiormente conta nelle immagini è la presenza di contenuto informativo ben dosato: non troppo, non poco. Le foto che portano contenuti nuovi attirano la nostra attenzione, quelle che ci mostrano ciò che già conosciamo risultano inutili e noiose. Oltre al contenuto, anche l'estetica gioca un ruolo fortemente positivo: rende gradevole e quindi "attraente" l'immagine, ci invita a osservarla con attenzione. Una buona fotografia deve quindi essere accuratamente "progettata", almeno rispetto alle funzioni che è destinata a svolgere.

Suggerimenti operativi

Lo scatto è il momento decisivo, in cui ogni analisi della situazione e ogni scelta riguardante i contenuti dell'immagine e la tecnica di ripresa è stata compiuta. Solo un reporter intelligente e di grande esperienza riesce a realizzare tutto ciò in una frazione di secondo. Chi non ha queste capacità deve poter scegliere con calma, imparando a progettare le proprie fotografie: sarebbe quindi opportuno fissare la propria fotocamera su di un treppiede e studiare i soggetti da fotografare sperimentando le inquadrature più efficaci: la città è ferma davanti a noi e ci lascerà lavorare con la necessaria calma.

Per la produzione di immagini fotografiche efficaci occorre utilizzare sia gli strumenti tecnici (luce, materiali sensibili, fotocamere, obiettivi), sia gli strumenti estetici (impostazioni di ripresa, illuminazione, inquadratura). Nel fotografare la città ha grande importanza la nitidezza dell'immagine: occorre curare attentamente la messa a fuoco e la velocità dell'otturatore (per evitare foto "mosse").

È altrettanto importante scegliere bene l'ora della ripresa, curando che il soggetto scelto sia illuminato nella maniera più opportuna (bussola e cartografia sono quindi accessori indispensabili). Occorre inoltre valutare se è il caso di inquadrare orizzontalmente o verticalmente, cosa inserire e cosa escludere. L'inquadratura va sempre accuratamente rifinita: una corretta "composizione" è di fondamentale importanza per garantire l'efficacia della fotografia, serve a mettere in evidenza il soggetto principale dell'immagine e a renderla più facilmente comprensibile.

Per imparare a fotografare occorre innanzitutto conoscere a fondo tutte le funzioni della propria fotocamera, compresi i suoi limiti tecnici. Il libretto di istruzioni sarà quindi la nostra prima e indispensabile guida. Per ulteriori approfondimenti sulla tecnica e l'estetica della fotografia, ci doteremo anche di un buon manuale, di facile comprensione, ricco di immagini e di esempi, strumento essenziale per imparare a "pensare" e a "progettare" fotografie efficaci.

Gli automatismi delle attuali fotocamere ostacolano l'apprendimento delle tecniche fotografiche. Sarebbe opportuno attivare la fotocamera nella funzione "manuale" o almeno, a seconda delle esigenze, sulle funzioni a "priorità di tempi" o a "priorità di diaframmi". La migliore scuola di fotografia è però la sperimentazione (non si può imparare solo la teoria). La tecnologia digitale offre in questo caso delle ottime occasioni: si può fotografare senza sprecare pellicola facendo vari tentativi, la macchina memorizza i dati dell'esposizione (quindi si può risalire alle cause degli errori); si può infine sperimentare (da soli o meglio in gruppo) l'efficacia e la comprensibilità delle immagini.

La fotocamera digitale non utilizza pellicole, ma complessi sistemi dotati di alcuni milioni di sensori che catturano la luce riflessa dal soggetto della ripresa e la traducono, mediante un processore elettronico incorporato nella macchina, in una sequenza di numeri, cioè in un file, che verrà memorizzato in una scheda estraibile. Ovviamente, per utilizzare bene una fotocamera digitale è necessario avere a disposizione un computer adatto a visualizzare, rielaborare e archiviare le immagini. Ci consentirà di avere in poco spazio, un vero e proprio laboratorio fotografico. Noteremo, ben ingranditi sul monitor, i pregi e soprattutto i difetti delle nostre fotografie: impareremo a correggerli (quando possibile) e soprattutto a evitarli in seguito.

Nel "teatro" della vita quotidiana rappresentato nelle fotografie, la scena sarà quella (vera) urbana o extraurbana, nel suo insieme o nei dettagli. Gli attori (persone, animali, oggetti) saranno le "comparse" inconsapevoli, che troveremo quotidianamente nei nostri territori. L'impianto luci sarà fornito dal sole oppure dalla luce artificiale che illumina la città dopo il tramonto. L'autore del "testo di scena" e il "regista" sarà il fotografo: se avrà lavorato bene, la sua fotografia avrà l'aspetto e soprattutto l'efficacia di un vero spettacolo.

La seconda parte del corso ("La vita delle immagini") ha preso in considerazione le fotografie come memorie e testimonianze visive strettamente legate alla società che le ha prodotte, il loro "diritto alla vita" e quindi l'esigenza della conservazione degli "originali" fotografici, e ha fornito una panoramica sulle più importanti raccolte presenti nella città di Bologna. È stato pure messo in rilievo il ruolo dell'editoria, che rimane ancor oggi uno degli strumenti più efficaci per la diffusione delle immagini e della cultura fotografica.

La vitalità delle fotografie è la loro capacità di comunicare, di "raccontare". L'autore di un'immagine fotografica "progettata" ci presenta la propria personale interpretazione della realtà. Ci suggerisce, mediante l'organizzazione degli elementi compositivi, alcuni percorsi di ricerca sui principali centri d'interesse che egli stesso ha voluto mettere in evidenza. Possiamo percepire un racconto consapevole, che l'autore della fotografia propone alla nostra attenzione. Possiamo percepire anche un racconto inconsapevole: l'immagine offre anche percorsi di analisi e ricerca non progettati o proposti dall'autore, presentando spesso soggetti o situazioni che l'autore non ha colto, o che non ha voluto mettere in evidenza. Anche una foto finalizzata a una specifica funzione può essere utilizzata per funzioni assai diverse.

Anatomia della foto: tecniche di analisi

Come analizzare le fotografie? Spesso ci lasciamo distrarre dai troppi personaggi presenti nella scena dell'immagine, o dalle troppe immagini che troviamo, tutte insieme, davanti ai nostri occhi. Occorrerà quindi fare un po' d'esercizio per riuscire a selezionare le fotografie più interessanti (cioè più significative, più ricche di contenuti, più leggibili, più belle...); poi inizieremo a ricercare in ciascuna di esse (una alla volta) il loro "racconto", individuando dapprima il centro (o i centri) di interesse, poi la struttura compositiva, e infine gli elementi accessori. Incrociando una coppia di squadrette a "L", proviamo a delimitare il centro d'interesse della fotografia, escludendo ciò che appare meno importante. Alla ricerca dei centri di interesse, proviamo ad analizzare, a esempio, qualche fotografia storica del centro di Bologna; poi proviamo a ingrandire con una lente i centri individuati, per cogliere ogni dettaglio. Ne ricaveremo nuove fotografie, e nuovi "racconti".

Le relazioni tra gli elementi che compongono l'immagine possono essere di vario tipo, per esempio: analogia, contrapposizione, ordine di importanza. Un'approfondita analisi dei contenuti dell'immagine servirà quindi a "metterci in comunicazione" con la fotografia e a coglierne efficacemente il significato, o il "racconto". La ricerca e l'analisi dei contenuti presenti in una serie o in una sequenza di immagini prodotta intenzionalmente dall'autore ci permette di cogliere informazioni, significati e "racconti" ancora più profondi e complessi.

La fotografia, fin dalle sue origini, è stata per gli archeologi una fedele compagna di lavoro (lo è tuttora, sia in veste analogica che digitale) tanto durante gli scavi, quanto nelle attività di studio. Quando sondiamo ed esploriamo le fotografie cercando in esse le tracce del passato, diventiamo noi stessi archeologi; dobbiamo quindi adottare i criteri scientifici e le precauzioni che essi adottano nell'affrontare i reperti del passato. Le immagini raccontano la loro storia anche attraverso la tecnologia con la quale sono state prodotte; per poter valutare efficacemente le fotografie dobbiamo innanzitutto conoscere e saper identificare le tecniche adottate nel corso del tempo per la loro produzione.1 Dobbiamo anche essere in grado di datare le fotografie, collegandole al rispettivo contesto storico, senza però lasciarci ingannare da falsi indizi.

Deterioramento e conservazione

Le immagini fotografiche sono "vitali" (sono quindi in grado di comunicare e di "raccontare") solo se sono in buona salute, cioè se sono ben conservate. Un'immagine gravemente deteriorata può raccontare assai poco, se non le ingiurie subìte. Occorrerà quindi sottolineare alcune fondamentali considerazioni sulla conservazione: la fotografia è al tempo stesso "immagine" e "oggetto". L'immagine costituisce una testimonianza della realtà visuale colta in quel luogo e in quel momento, secondo le intenzioni dell'autore. L'oggetto ne costituisce il supporto fisico indispensabile alla propria integrità, e le sue componenti contribuiscono ad accrescere il contenuto informativo fornito dall'immagine (materiali costitutivi, tecniche di produzione, montature, marchi di fabbrica o di studi fotografici, timbri, dediche, segnature, forme di degrado, ecc.). Anche una semplice stampa all'albumina applicata a una "montatura" in cartoncino è, oltre a un'immagine, un oggetto complesso costituito da molteplici strati e supporti, ma può costituire pure un vero e proprio "documento", anche al di là dei contenuti dell'immagine.

Le fotografie sono molto suscettibili a un rapido degrado, per l'intrinseca natura delle immagini (materiali costitutivi), per le piccole dimensioni associate alla grande quantità di contenuti informativi concentrati in esigui spazi, per il frequente utilizzo irrispettoso e irresponsabile, per la presenza di numerosi agenti fisici, chimici e biologici che ne accelerano il deterioramento.2 Le fotografie sono spesso in copia unica: per un utilizzo fuori dall'archivio è indispensabile eseguire e utilizzare delle fedeli riproduzioni (le "controfigure" delle fotografie), mediante le tecniche più opportune per garantire l'integrità fisica degli originali, curando le inquadrature per garantirne anche l'integrità documentaria. I rischi più gravi per la conservazione delle singole fotografie o di intere raccolte e archivi sono l'ignoranza e la sciatteria.

Le "miniere" fotografiche: biblioteche, archivi, musei

Una singola fotografia porta in sé, assieme all'immagine, anche le intenzioni dell'autore (e quindi preziose informazioni sulla sua personalità). Una collezione, una raccolta, un archivio portano con sé ulteriori informazioni assai preziose: quelle sulla sua natura, sulla sua struttura, sulle ragioni e le intenzioni di chi li ha realizzati. La conservazione di queste informazioni dipende da un rigoroso mantenimento dell'assetto strutturale originario, associato a un efficace sistema di catalogazione delle serie e delle singole immagini. Mentre le collezioni e gli archivi pubblici sono, sotto questo aspetto, generalmente tutelati, le raccolte private e gli archivi famigliari sono gravemente esposti al rischio di dispersione o di distruzione. Una ricerca di immagini eseguita in fretta e senza criterio, mossa dal solo impulso della curiosità, porta a un irreversibile sovvertimento della struttura dell'archivio, e cancella inesorabilmente le tracce della sua identità: c'è una precisa ragione per la quale "quella foto" è collocata in "quella busta" o in "quella posizione", e quella busta si trova in quella scatola e non in un'altra. Bisogna sempre analizzare un archivio fotografico con cautela e rispetto.

Un esempio frequente, e alla portata di tutti, di raccolta/archivio di fotografie è l'album. In esso, la selezione e l'organizzazione delle foto "pubblicate", rispecchia sia la personalità del fotografo (per l'efficacia e lo stile delle immagini) che la personalità dell'archivista/editore (per la loro selezione e organizzazione). L'album è un libro di immagini che racconta una storia. Eccone un esempio: una famiglia che si forma e cresce viene spesso rappresentata nella scena della città, che ritroviamo nelle immagini: anche da semplici foto di gruppo o ritratti ambientati si possono ricavare informazioni sulle mutazioni del contesto cittadino e datarle con sufficiente precisione. Poiché l'album è un libro che racconta una storia attraverso sequenze di immagini fotografiche, le foto mancanti (tolte e non ricollocate) diventano lacune incolmabili e interrompono il racconto. Il rispetto per l'integrità degli archivi, vieta di asportare e utilizzare fotografie originali: occorrerà perciò servirsi esclusivamente di fedeli riproduzioni.

Le "foto d'autore", poi, costituiscono degli ottimi modelli di riferimento per i nuovi fotografi: l'imitazione delle immagini prodotte dai "maestri" costituirà una guida efficace nella fase di apprendimento che prelude alla definizione della propria "personalità" fotografica. Anche questa è una chiara dimostrazione della vitalità della fotografia. Le foto dei grandi autori sono pubblicate nei "libri fotografici" disponibili nelle librerie e nelle biblioteche, o sono esposte nelle mostre allestite dai musei: vanno analizzate criticamente e confrontate con le immagini analoghe da noi prodotte. Costituiranno una base fondamentale, sul piano della tecnica, dell'estetica e della comunicazione visiva, per il percorso formativo di ciascuno di noi.

Come le foto originali, anche i "libri fotografici" utilizzano l'efficacia delle fotografie (cioè l'insieme delle qualità progettuali, tecniche ed estetiche), per favorire la "trasmissione" e la "ricezione" (o "comprensione") dei contenuti delle immagini e delle intenzioni dell'autore. La fotografia, quindi, non può essere un prodotto velleitario, una sorta di capriccio o desiderio momentaneo fine a sé stesso, creato solo per il nostro personale divertimento. Le nostre fotografie sono destinate a parlare per noi e di noi ad altre persone (anche a quelle che non conosceremo mai): le fotografie nascono per vivere assai più a lungo di noi e ci chiedono di aiutarle a vivere per poter comunicare i loro contenuti e i loro "messaggi" più a lungo possibile.

Se la qualità e la chiarezza dei contenuti di un'immagine è dovuta alla responsabilità del suo autore, la conservazione di una fotografia o di un archivio fotografico è affidata alla responsabilità dei gestori e degli utenti. Soltanto un'efficace armonizzazione tra le esigenze di conservazione e quelle di utilizzo consentirà di prolungare la vita attiva delle fotografie. Bologna conserva, presso le proprie istituzioni pubbliche e private, un ingente patrimonio fotografico che ben rappresenta la storia della città e del suo territorio fin dalle origini della fotografia. Una decina di anni fa l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con musei, biblioteche e archivi cittadini, realizzò un importante volume sulla rappresentazione di questa città e sulle funzioni della fotografia.3 Il volume è reperibile nelle biblioteche pubbliche e fornisce utili informazioni per la ricerca di immagini storiche del territorio urbano ed extraurbano.

[Riccardo Vlahov]

LA VISITA GUIDATA IN BIBLIOTECA

L'incontro nella Sala dello Stabat Mater della Biblioteca dell'Archiginnasio con le scuole medie superiori che hanno partecipato al concorso "La città mutevole" è stata una stimolante occasione per proporre attraverso un primo approccio con la storia della fotografia a Bologna anche un percorso didattico sulle trasformazioni urbanistiche e architettoniche verificatesi in città tra Ottocento e Novecento.

Una presentazione in formato elettronico di alcune centinaia di immagini, selezionate fra quelle più significative e appartenenti al fondo fotografico storico conservato nel Gabinetto dei disegni e delle stampe dell'Archiginnasio, ha calato direttamente i ragazzi nell'atmosfera della Bologna fin de siècle, partendo da una piazza Maggiore prima dei restauri, gremita di folla fra i banchi del mercato, per passare sotto le Due Torri attorniate ancora dalle consorelle Artemisi e Riccadonna, e procedere poi per strade spesso irriconoscibili fino alle porte esterne e alle mura, ritratte mentre squadre di operai erano intente all'abbattimento. Del resto il ritratto di una Bologna in trasformazione, così come i ragazzi partecipanti al concorso fotografico dovevano produrre, non poteva non passare attraverso la visione di quello che era la città più di un secolo fa.

Molte di queste fotografie hanno grande potenzialità evocativa e si prestano a diverse chiavi di lettura: contribuiscono a una restituzione conoscitiva e storica sia delle preesistenze architettoniche sia degli "aspetti di vita" di questo particolare snodo temporale; sono anche un importante punto di riferimento per la consapevolezza dell'importanza della salvaguardia e della conservazione del centro storico, che i ragazzi conoscono spesso solo in modo assai marginale e unicamente nel suo aspetto attuale.

Lo stile adottato dai fotografi nella riproduzione della città di Bologna, come per le più famose città d'arte nella seconda metà dell'Ottocento, nasce sul solco del vedutismo,4 che influenza i fotografi per esempio nella scelta dei punti di vista delle inquadrature rigorosamente equilibrate, centriche, tali da offrire il massimo d'informazioni sul monumento e spesso prive di personaggi. Tant'è che molti fotografi nascono dalle botteghe dei calcografi e ne ereditano i modelli di rappresentazione: così la riproduzione dei luoghi più importanti della città sovente ripropone temi del vedutismo sette-ottocentesco di incisori come Pio Panfili e Antonio Basoli;5 senza però che l'attenzione verso gli edifici monumentali (chiese e palazzi senatori) si accompagni, come nelle pittoresche acquetinte del Basoli, all'osservazione di altre caratteristiche peculiari dell'architettura "minore" bolognese. Lo spirito medievale che caratterizzava il tessuto urbano viene quasi ignorato, eccezion fatta per edifici simbolo come le Due Torri e le basiliche di San Francesco, Santo Stefano, San Domenico con le tombe dei Glossatori o di San Giacomo Maggiore; mentre l'architettura civile è rappresentata da alcune emergenze cinque-seicentesche, come il palazzo senatorio Sanuti Bevilacqua, il Fantuzzi e il Davia Bargellini.

Il gusto della riproduzione è conforme allo spirito di un'epoca nella quale non si ha ancora coscienza dei valori dell'insediamento storico nel suo complesso, e, dopo l'Unità d'Italia, si ricercano effetti di modernità e decoro sventrando il vecchio centro per aprire nuovi ampi rettilinei. Nelle fotografie che escono dagli studi di maestri come Emilio Anriot (Parigi, 1826-?), del suo allievo Roberto Peli (Bologna, 1840-1920) e di Pietro Poppi (Cento, 1833-1911), si privilegiano i luoghi e i monumenti già celebrati dalla tradizione e descritti nelle guide d'arte, dove questi ultimi rappresentano una permanenza e una continuità nel tempo e fungono da riferimento simbolico dell'identità della città.

Del resto l'addensarsi della memoria collettiva attorno ad alcuni stereotipi visivi è un fatto ben noto, che affonda le sue radici nella tradizione figurativa preesistente, assumendo poi caratteri distintivi e originali. Emblematico è il caso dell'album di grande formato Edifizi, vedute, quadri insigni di Modena, Bologna, Ravenna rappresentati con la fotografia alle altezze Reali i Principi Umberto e Margherita in occasione delle loro nozze (Modena, Nicola Zanichelli, 1868), opera di Anriot, una delle figure di spicco del "vedutismo cittadino", che in queste fotografie - accanto a un "reportage" sulla città che parte da una veduta panoramica dal piazzale di San Michele in Bosco, per calarsi poi sulla piazza Maggiore e sugli edifici circostanti (con alcuni particolari dedicati ai portali di San Petronio) - presenta una scelta di capolavori conservati alla Pinacoteca nazionale, opera di autori già consacrati dalla tradizione vasariana e tosco-romana (Raffaello, il Francia, il Costa, il Domenichino, il Reni e il Parmigianino).

Proprio questa scelta d'immagini, destinata a rappresentare efficacemente presso i Savoia quanto di "più notabile" fosse racchiuso fra le mura della città di Bologna dell'epoca, ci offre un esempio di come la fotografia abbia contribuito a ristabilire, all'interno del nuovo contesto nazionale, una rete di rapporti, a riannodare i fili dell'identità nazionale grazie anche alla diffusione e alla circolazione delle immagini del patrimonio artistico. Riproducendo i monumenti li si "censiva", catalogandoli in un dizionario d'immagini, e mentre l'incisione selezionava sempre i topoi visivi, l'immagine fotografica si allargava a comprendere un patrimonio artistico sempre più vasto, divenendo uno strumento di rilevamento più ampio e insieme più capillare.

Alcuni fotografi-editori pubblicano per la prima volta opere fino ad allora conosciute solo da pochi specialisti, portandole a conoscenza di un pubblico sempre più allargato. Il rapporto fra la fotografia e la pittura può essere paragonato a quello tra il libro a stampa e il manoscritto: la diffusione delle informazioni veicolate dalle immagini d'arte interessò un pubblico nazionale e internazionale di viaggiatori e di amatori di belle arti ed ebbe profonde conseguenze sulla formazione dei critici d'arte e degli storici.

La lezione tenutasi in Archiginnasio ha contribuito a far conoscere ai ragazzi l'esistenza di questo nucleo in parte affine ad altri esistenti nella nostra città: come quelli comunali nell'Archivio fotografico della istituzione Cineteca, del Museo del Risorgimento (edifici e avvenimenti cittadini nei tre album donati da Raffaele Belluzzi) e di Casa Carducci (tipica raccolta di carattere famigliare); ai quali si devono poi aggiungere quelli, importantissimi per ricchezza e qualità delle immagini, conservati nelle Collezioni d'arte e di storia della Cassa di risparmio in Bologna e in vari archivi di pertinenza dell'Università (Archivio storico dell'Università di Bologna - Sezione architettura) e della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio dell'Emilia, l'Archivio fotografico della Soprintendenza per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico, nonché la recentissima fototeca della Fondazione "Federico Zeri".

Nello specifico, poi, la storia delle raccolte fotografiche relative alla città di Bologna nella Biblioteca civica dell'Archiginnasio6 è stata collegata con la matrice storico-locale di gran parte del patrimonio dell'istituto, fortemente connotato, com'è noto, da una documentazione riguardante il territorio nei suoi diversi aspetti (artistici, storici, scientifici...) e i suoi abitanti, anche grazie alle donazioni che lo hanno arricchito. Questo materiale fotografico - in gran parte giunto proprio dagli stessi uffici del Comune o, come s'è detto, per donazione - va dal periodo postunitario al quarto decennio del secolo appena trascorso, e riflette il crescente interesse da parte dell'amministrazione pubblica verso questo tipo di rappresentazione e di testimonianza storica, riscontrabile in molte foto fatte su committenza municipale, come nel filone che ha per soggetto le nuove grandi opere pubbliche e i servizi municipali, dove la fotografia assume il ruolo di testimonianza oggettiva delle trasformazioni operate dall'amministrazione.

Significativo di questo uso del mezzo fotografico è fra gli altri il fondo giunto in legato alla biblioteca nel 1935 dal senatore Alberto Dallolio (Bologna, 1852-1935), fondo che rispecchia fatti e personaggi degli ultimi trent'anni del secolo, del periodo cioè in cui il Dallolio fu assessore all'istruzione (dal 1876) e poi sindaco della città (1891-1902): come per esempio le fotografie delle Scale d'accesso alla Montagnola (1896), o quelle dei Lavori compiuti nel triennio 1895-97 (con l'intestazione, sulla copertina dell'album, Comune di Bologna. Ufficio edilità e Arte).

La raccolta dell'Archiginnasio è stata microfilmata e inventariata con le informazioni essenziali, in modo da rendere accessibili allo studio le fotografie: per essere al passo con la rapida evoluzione delle tecnologie, e grazie ai più aggiornati mezzi tecnici e informatici, si può ora programmare una riproduzione in formato digitale dell'intero fondo e la formazione di una specifica banca dati creata per fornire un supporto alla ricerca e alla didattica dei docenti e degli studenti nel campo della storia dell'arte e della fotografia.

[Valeria Roncuzzi]

Note

(1) La Fotografia. Manuale di catalogazione, a cura di G. Benassati, Bologna, IBC-Grafis, 1990.

(2) La Fotografia 1. Tecniche di conservazione e problemi di restauro, a cura di L. Bitelli e R. Vlahov, Bologna, IBC-Analisi, 1987.

(3) Fotografia e fotografi a Bologna 1839-1900, a cura di G. Benassati e A. Tromellini, Bologna, IBC-Grafis, 1992.

(4) F. Varignana, Pietro Poppi peintre-photographe, in Il tempo dell'Immagine. Fotografi e società a Bologna 1880-90, a cura di A. Emiliani e I. Zannier, Torino, SEAT, 1993, pp. 57-85; Idem, Tempi di abbattimenti e ricostruzioni, ibidem, pp. 223-231; A. Tromellini, Punti di vista fotografici sulla città. 1860-1863, in Norma e arbitrio. Architetti e ingegneria a Bologna 1850-1950, a cura di G. Gresleri e P. G. Massaretti, Milano, Marsilio, 2001, pp. 61-75.

(5) G. Benassati, La tradizione incisoria e la fotografia, in Fotografia e fotografi a Bologna 1839-1900, cit., pp. 29-36.

(6) V. Roncuzzi, Prime note sulla raccolta di fotografie storiche della Biblioteca dell'Archiginnasio, "L'Archiginnasio", LXXXVI, 1991, pp. 234-238; Idem, Il ritratto della città, in Fotografia e fotografi a Bologna 1839-1900, cit., pp. 83-87; C. Bersani, Biblioteca dell'Archiginnasio. Le raccolte fotografiche, ibidem, pp. 80-83.

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