Rivista "IBC" XIV, 2006, 2

Dossier: Oltre il Codice

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Quali prospettive per la pianificazione paesaggistica?

Giancarlo Poli
[responsabile del Servizio di valorizzazione e tutela del paesaggio della Regione Emilia-Romagna]

Parlare dell'attuazione del Codice "Urbani" dal punto di vista della pianificazione paesaggistica non è affatto semplice perché a poco più di un anno dalla sua entrata in vigore (1 maggio 2004), sulla base della Legge delega n. 137/2002, il Ministero per i beni e le attività culturali ha proposto, tra le altre, la modifica della Parte III, "Beni paesaggistici". Modifica che comporta il riaccentramento nello Stato delle funzioni delegate o trasferite alle Regioni in materia di paesaggio.

Questo provvedimento, in corso di pubblicazione, è in grado di interrompere il processo evolutivo della pianificazione e della gestione del paesaggio, innescato dall'emanazione della Convenzione europea del paesaggio, di cui il Codice vigente (prima ancora l'Accordo 19 aprile 2001) costituisce una tappa fondamentale. Esso rappresenta infatti il ponte tra la tradizionale tutela riferita ai "beni paesaggistici", aventi carattere di eccezionalità, e quella prospettata dalla Convenzione di Firenze, di governance dell'intero territorio e di tutti i tipi di paesaggio.

 

Cosa è il paesaggio?

Le opposte visioni di tutela che convivono nel Codice dei beni culturali e del paesaggio determinano ricadute operative e difficoltà di gestione; anche la diversa considerazione del paesaggio è capace di prospettare valutazioni e approcci discordanti. Il nuovo concetto di paesaggio - introdotto dalla Convenzione europea ratificata dall'Italia con Legge 9 gennaio 2006, n. 14 - è destinato infatti a cambiare:

● il nostro rapporto con il territorio;

● il modo di pianificare e progettare;

● il modo di valutare le trasformazioni territoriali.

Occorre ricordare che prima dell'emanazione della Convenzione europea non esisteva una definizione giuridica di paesaggio (a parte alcune, contrapposte interpretazioni di noti giuristi come Sandulli o Predieri), lacuna colmata in seguito dal Codice "Urbani" anche se con l'introduzione di modifiche sostanziali all'impostazione europea.

Il concetto assunto dalla Convenzione di Firenze propone una nuova considerazione del paesaggio secondo cui:

● il paesaggio è bene da proteggere indipendentemente dal suo valore specifico perché è costituito dall'intero territorio, offrendo la possibilità di definire strategie per tutti i tipi di paesaggio, in qualunque condizione essi si trovino;

● la stessa definizione fa venire meno il carattere "razionale" di spazio geografico e di elemento estetico o storicizzato attribuito dalla normativa nazionale vigente, in quanto, per la Convenzione europea, il paesaggio esiste solo se riconosciuto dalle popolazioni che lo utilizzano e che lo vivono;

● è la percezione delle comunità locali che rende un territorio "paesaggio", attraverso i processi d'interpretazione e di attribuzione di significati che rendono unico e irripetibile un territorio;

● il paesaggio è in continua evoluzione, muta per effetto della considerazione "culturale" delle popolazioni e delle interazioni tra fattori naturali e antropici.

Il paesaggio non è più solo un oggetto osservato ma la relazione tra un oggetto, "il territorio", e un soggetto, "la collettività", che gli attribuisce valori. Paesaggio che è al tempo stesso un fenomeno fisico e un fenomeno di percezione sociale. Un elemento quantitativo, misurabile, oggettivo, e contemporaneamente soggettivo (individuale e collettivo), qualitativo, non raffigurabile dai tradizionali strumenti del pianificatore. Aspetti, questi, non separabili, che ci portano a descriverlo come una parte del territorio dotata di una specifica identità, che si esprime attraverso significati e valori attribuiti dalla comunità e riconosciuti grazie alla sostanziale omogeneità dei caratteri, delle dinamiche e delle relazioni (sociali, economiche, ambientali, ecc.).

Una definizione che obbliga a misurarci con una dimensione di paesaggio determinata dagli eventi che vi hanno luogo, e pertanto non immobile né sempre uguale a sé stessa, una dimensione che richiede il superamento del binomio natura-cultura fin qui utilizzato per l'individuazione e la salvaguardia dei beni paesaggistici. Una visione che va oltre la definizione, autoritaria e autoreferenziata, utilizzata fino a oggi per tutelare i paesaggi meritevoli.

Nella Convenzione europea trovano collocazione almeno altri due concetti fondamentali: la considerazione del paesaggio quale patrimonio comune e quale risorsa da utilizzare anche in funzione di uno sviluppo economico durevole e sostenibile.

Il percorso, da bene a patrimonio comune, necessita del riconoscimento e della condivisione dei valori e dei significati da parte dell'intera collettività, nonché della trasformazione da vincolo a risorsa, perché il paesaggio non sia più considerato un limite allo sviluppo, ma portatore di nuove opportunità di lavoro, di miglioramento della qualità della vita e del senso di appartenenza sociale a un determinato territorio.

 

Il Codice "Urbani"

Già esaminando il significato che il Codice "Urbani" attribuisce al paesaggio è possibile rendersi conto di come sia difficile conciliare la tradizione italiana con il nuovo spirito che anima l'Europa. La nuova proposta ministeriale ostacola ulteriormente la necessaria evoluzione concettuale e strumentale della salvaguardia del paesaggio - determinata dalla vivificazione del modello crociano, artificiosamente associato a quello geografico-tipologico della Legge "Galasso" - e rende del tutto improbabile l'attuazione dei principi della Convenzione europea, che proprio la rilevante modifica al Codice vigente omette o viola.

Va sottolineato che la Parte III del Codice è rivolta ai "Beni paesaggistici", e non al "Paesaggio", per affermare la separazione tra gli oggetti che fanno parte del patrimonio culturale (beni culturali e beni paesaggistici) e il paesaggio inteso come territorio, e quindi il suo governo e la sua gestione. Questo per rimarcare la volontà dello Stato di esercitare la primarietà della tutela sui seguenti beni:

- immobili e aree di interesse pubblico (articolo 136) a cui si aggiungono le zone di interesse archeologico;

- aree tutelate per legge (articolo 142) ovvero le ex categorie "Galasso";

- immobili e aree "tipizzati", individuati e sottoposti a specifica tutela dai piani paesaggistici.

Un paesaggio "a macchia di leopardo", a cui si applica una tutela che si esplica su oggetti e aree caratterizzate da profili fisico-geografici o estetico-storicizzati. Una tutela istituzionale che si realizza nelle forme di una "democrazia delegata", orientata alla difesa di ciò che resta delle produzioni della storia e della natura e dell'aspetto esteriore dei luoghi. Tutela che non permette di andare all'origine dei meccanismi che generano i paesaggi e quindi di incidere efficacemente sulla trasformazione dell'immagine che si vuole salvaguardare.

Nella nuova concezione del Codice il paesaggio assume un ruolo marginale al fine della definizione di una strategia di tutela. Infatti viene eliminata la "percezione delle popolazioni", che esplica il senso del termine "paesaggio", e viene introdotto il criterio di "carattere distintivo", riferito a porzioni di paesaggi che rivestono valori naturali o storici. Si escludono così dalla salvaguardia i paesaggi ordinari, che, essendo privi di caratteri distintivi, hanno più di altri bisogno di essere gestiti, di essere migliorati, di essere qualificati, di essere progettati per mezzo del comune sentire e delle aspirazioni delle comunità locali che li investono di nuovi significati.

 

Un cantiere chiamato paesaggio: gli strumenti di gestione

Possiamo immaginare il paesaggio come un cantiere in continua attività, in cui le singole maestranze perseguono un fine proprio, funzionale allo scopo che si sono prefissate, indifferenti al risultato che la somma delle loro azioni determinerà sul territorio. Paesaggio come risultato di azioni di trasformazione che continuamente si compiono sul territorio e non oggetto dato, cristallizzato in un determinato momento. Il carattere tematico e settoriale della pianificazione paesaggistica rende inefficace il coordinamento delle diverse politiche territoriali, così come la valutazione degli effetti che il loro insieme produce.

Per capire quale possa essere una corretta attuazione della pianificazione paesaggistica è opportuno analizzare gli strumenti cui attualmente è affidata la gestione della tutela del paesaggio, confrontandoli con le innovazioni introdotte dal Codice "Urbani" e, a seguire, con le modifiche proposte alla Parte III dello stesso Codice. Questi strumenti sono:

● i vincoli oggetto di specifici provvedimenti (12% della superficie del territorio regionale);

● le categorie ope legis della "Galasso" e i "Galassini" (42-46% della superficie del territorio regionale), a cui si aggiungono le "Aree UNESCO", le zone umide, le aree protette, ecc.;

● il piano paesaggistico e il piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici.

Questi piani, in particolare, hanno caratteristiche e approcci diversi. Il primo, a carattere preordinato e invariante alle opzioni di sviluppo, si prefigge di salvare il salvabile; il secondo - imperniato sul principio dello sviluppo sostenibile e su una tutela dinamica e progettuale, trasversale a tutte le politiche territoriali - è volto al miglioramento della qualità complessiva del territorio. Un processo d'integrazione reso difficile dal fatto che nell'attuale gestione convivono due anime rappresentate:

- dalla pianificazione paesaggistica regionale e provinciale (attuativa di quella regionale);

- dalla sottoposizione di beni paesaggistici (aree di notevole interesse pubblico e aree tutelate per legge) a un regime vincolistico di derivazione statale.

Il sistema della pianificazione comporta la definizione di una disciplina cogente che assoggetta le aree di valore paesaggistico a un regime di salvaguardia che definisce gli interventi e i livelli di trasformazione possibili. La tutela attuata per mezzo dei vincoli si basa sull'esame procedimentale e sulla valutazione caso per caso della compatibilità paesaggistica degli interventi di trasformazione proposti.

Per una corretta ed efficace gestione non sono sufficienti gli inventari, i vincoli o le zonizzazioni di tutela, perché il paesaggio è in continua evoluzione. Pertanto devono essere promosse azioni in grado di orientare e armonizzare le trasformazioni, e che prevedano il coinvolgimento di tutti gli enti istituzionalmente competenti, il ricorso a una partecipazione diffusa e a politiche territoriali coordinate.

In Emilia-Romagna la tutela del paesaggio è affidata al Piano territoriale paesistico regionale (PTPR), che è esteso all'intero territorio e che ha attuato pienamente la Legge n. 431 del 1985, anticipando con i suoi contenuti la gestione sostenibile delle trasformazioni. La situazione odierna è il risultato di un percorso difficile ma anche produttivo, che ha portato al riconoscimento e all'assunzione del PTPR nella cultura di governo del territorio.

L'Emilia-Romagna è una delle poche regioni italiane che ha approfondito i contenuti del piano paesaggistico attraverso la pianificazione territoriale provinciale e quella urbanistica comunale che l'hanno attuata. Le modifiche sono state gestite tramite l'evoluzione delle legislazioni e delle pianificazioni di settore. È anche l'unica Regione che ha verificato i contenuti e l'efficacia del piano paesaggistico alla luce dell'Accordo 19 aprile 2001, ponendo le basi per il suo adeguamento corrispondente ai principi della Convenzione europea del paesaggio e alle disposizioni del Codice "Urbani" relative alla pianificazione paesaggistica.

Gran parte dei contenuti del PTPR corrispondono già a quelli definiti essenziali dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, pertanto l'adeguamento del Piano potrà essere incentrato:

● sull'integrazione strutturale e funzionale dei livelli di tutela statale e regionale;

● sul riconoscimento dell'identità sociale e collettiva del paesaggio attraverso la partecipazione democratica, il riconoscimento dei suoi valori e la definizione dei significati che i paesaggi regionali esprimono;

● sulla definizione di una politica che persegua obiettivi di qualità e che utilizzi articolati strumenti di gestione attiva del paesaggio.

 

Dalla tutela dei beni paesaggistici alla gestione dei paesaggi

Nel Codice "Urbani" si confrontano ancora due visioni alternative. Quella monumentale e tipologica del paesaggio, ereditata rispettivamente dalle leggi del 1939 e del 1985, e quella collegata alla gestione sostenibile del territorio parzialmente tratta dalla Convenzione europea. Lo stesso Codice ci offre, tuttavia, la soluzione per superare questa ambivalenza attraverso una pianificazione paesaggistica realizzata d'intesa con il Ministero, che assume la funzione di univoco riferimento per i soggetti a cui sono affidate la tutela e la gestione del paesaggio.

La duplicità del sistema di tutela vigente è superata grazie alla possibilità di revisione e sistematizzazione dell'insieme dei vincoli, riferiti a immobili e aree di interesse pubblico, e alla loro "territorializzazione" concretizzata da una disciplina di tutela e valorizzazione corrispondente agli elementi peculiari e al valore di specifici ambiti paesaggistici. Una regolamentazione che diventa parte integrante della disciplina del piano paesaggistico.

Le salvaguardie temporanee delle "aree tutelate per legge" (le ex categorie "Galasso") perderanno di efficacia con l'entrata in vigore del nuovo piano paesaggistico elaborato in collaborazione con il Ministero. La ripartizione del territorio in ambiti omogenei, a cui sono strutturalmente collegati corrispondenti obiettivi di qualità paesaggistica, costituisce infine il quadro territorialmente definito cui riferire: i programmi di sviluppo e il coordinamento delle politiche di settore; i progetti di rango regionale per il recupero, la riqualificazione o la progettazione di nuove identità.

Lo stesso Codice "Urbani" ci propone una lettura delle dinamiche di trasformazione del territorio per far emergere i fattori di rischio e di vulnerabilità del paesaggio, determinanti per la definizione degli obiettivi di conservazione, per la previsione di linee di sviluppo, di recupero o di riqualificazione. Un disegno complessivamente equilibrato e garantito dalla collaborazione delle Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e delle Soprintendenze, che permetterà di far evolvere la pianificazione del paesaggio verso forme compiute di politica del paesaggio.

Una politica che non è più la risultante della somma delle tutele, ma il frutto di una strategia generale d'intervento funzionale al carattere e alla velocità delle dinamiche di trasformazione, che, in relazione ai diversi profili di identità e di valori patrimoniali riconosciuti dalle comunità, sappia combinare azioni di salvaguardia, strumenti di gestione e soggetti che determinano l'evoluzione del paesaggio.

Gli obiettivi che una tale politica deve perseguire riguardano:

- la tutela dei caratteri e dei valori rappresentativi dei diversi paesaggi che costituiscono il patrimonio e l'identità della collettività regionale;

- la gestione equilibrata delle trasformazioni dell'intero territorio e degli ambiti di vita quotidiana nel rispetto delle diversità locali.

 

Le proposte di modifica alla Parte III del Codice "Urbani"

Con le proposte di modifica alla Parte III del Codice il Ministero comunica che il quadro precedentemente prospettato, e che è stato condiviso con le Regioni, non è più valido. Sono così vanificate le attività messe in campo fino a ora per realizzare l'adeguamento dei piani paesaggistici vigenti e la possibilità di innovare la cultura del paesaggio, un mezzo per ridare significato ai "non luoghi" o ai pessimi luoghi per vivere, lavorare o fruire del tempo libero.

I passaggi essenziali che impediranno la realizzazione di uno sviluppo della  pianificazione paesaggistica (in particolare di quella urbanistico-territoriale), nonché l'eliminazione del doppio livello di tutela, statale e regionale, attualmente operanti, riguardano:

● l'articolo 135, con cui il Ministero si ritaglia una competenza nell'attività di pianificazione paesaggistica trasferita alle Regioni col Decreto del Presidente della Repubblica n. 8 del 1972. Infatti la frase "le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato" viene modificata premettendo e affiancando lo Stato alle Regioni nelle funzioni chiaramente riferite alla pianificazione paesaggistica. Come se ciò non bastasse, all'articolo 156 del Codice vigente è stabilito che l'approvazione dei piani paesaggistici debba avvenire in collaborazione con lo Stato;

● l'articolo 142, che nega la transitorietà del regime di salvaguardia delle aree tutelate per legge. Le ex categorie della "Galasso" sono stabilmente dichiarate di interesse paesaggistico e sottoposte alle disposizioni di tutela dettate dal Codice. La verifica dei corsi d'acqua pubblici, irrilevanti in toto o in parte ai fini paesaggistici, si ritiene esaurita "entro la data di entrata in vigore del decreto di modifica", rendendo così impossibile sistematizzare questa attività nell'ambito dell'adeguamento della pianificazione paesaggistica;

● l'articolo 143, relativo ai contenuti del piano paesaggistico, in cui viene eliminato il riferimento agli "obiettivi di qualità paesaggistica". "Gli ambiti omogenei", a cui gli obiettivi di qualità erano associati in quanto "aree funzionali" all'incidenza territoriale delle politiche di trasformazione del paesaggio, sono trasferiti all'articolo 135 ("Pianificazione paesaggistica") e trasformati in vere e proprie zonizzazioni di piano, strutturate gerarchicamente e associate a specifiche prescrizioni, con ciò snaturandone la funzione;

● l'articolo 144, da cui viene eliminato il comma 2, escludendo così la possibilità che dall'elaborazione dei nuovi piani possa discendere una revisione dell'insieme dei vincoli paesaggistici emanati dal 1939 a oggi. Un'operazione che si sarebbe dovuta compiere in stretto rapporto con il riconoscimento dei caratteri che connotano e distinguono i paesaggi. È quindi preclusa la possibilità di far coincidere le aree di interesse pubblico con i valori riconosciuti dei diversi territori, patrimonio e immagine delle comunità locali e dell'intero Paese.

Infine, se entro l'1 maggio 2008 le Regioni non provvederanno alle necessarie verifiche e adeguamenti della pianificazione paesaggistica si attiverà il potere sostitutivo del Ministero.

 

In conclusione, con questo provvedimento il Ministero compie una prova di forza e di prevaricazione nei confronti delle Regioni, interrompendo la positiva collaborazione avviata dall'elaborazione del Codice "Urbani". Le Regioni, pur opponendosi al provvedimento di modifica che giudicano immotivato e inopportuno, continueranno a collaborare con il Ministero e i suoi organi periferici perché ritengono questa l'unica modalità per tutelare efficacemente il paesaggio italiano.

 

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