Rivista "IBC" XIV, 2006, 3

biblioteche e archivi / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni

Come trasformare la biblioteca musicale da luogo di studio e conservazione a vera e vivente "casa dei suoni". Da Reggio Emilia il racconto di un'esperienza positiva.
Partiture all'ascolto

Monica Boni
[responsabile della Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto musicale "Achille Peri" di Reggio Emilia]

Il 6 maggio 2006 le tre sale della Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto musicale "Achille Peri" di Reggio Emilia sono state teatro, per un'intera giornata, di eventi musicali, dando luogo a un'immaginifica "casa dei suoni". Esecuzioni, proiezioni di video musicali, introduzioni e letture musicologiche, accorpate in base a undici itinerari tematici, hanno sviluppato alcune linee di lettura della musica, nell'ipotetica possibilità di una sua disposizione a raccontarsi. I temi, organizzati in pannelli recanti ciascuno titolo proprio e abstract per orientare i partecipanti nella molteplicità degli eventi proposti di ora in ora, discendevano da alcuni punti di osservazione che si possono così individuare:

- gli strumenti di accesso alle raccolte musicali (i cataloghi);

- i criteri di approccio trasversale alla musica, la sua semiografia e le modalità di trasmissione del suo sapere;

- le tecniche compositive e il loro tradursi in forme di pensiero;

- le peculiarità espressive relazionabili ora ai mezzi esecutivi (la vocalità), ora ai suoi parametri fondamentali (il tempo musicale), ora a particolari "atteggiamenti" poetici (la gestualità);

- la funzionalità della musica (in relazione a momenti conviviali e ad altre situazioni di socialità).

L'impatto di quest'esperienza di lavoro, valutabile nella misura dell'interesse suscitato verso i servizi e le raccolte della biblioteca, dei vivi apprezzamenti per la "macchina organizzativa", dei riscontri numerici in termini di affluenza della popolazione, ha svelato un volto nuovo di questo luogo, fattosi contenitore secondo due modi di essere spazio a un tempo acustico e conservativo.

L'incontro con la musica può dunque avvenire nei luoghi deputati alla trasmissione del sapere, specialmente quando è la musica a consegnarsi a quei luoghi, a lasciarsi sedimentare depositando in essi la propria memoria storica. Le biblioteche musicali - custodendo i prodotti finali di un pensiero, quello musicale, la cui definitiva compiutezza, una volta fissata sulla carta, racchiude l'essenza poetica, la forza comunicativa di questa forma di espressione umana - possono dunque interpretare un ruolo alternativo ai luoghi tradizionalmente deputati all'esecuzione-ascolto della musica.

In queste biblioteche il contatto con le partiture musicali ci pone di fronte, da un lato, alla loro muta essenza di strumenti funzionali alla tradizione e allo studio musicale ("muta" per i più, si intende); ci introduce, dall'altro, alla loro intrinseca capacità sonora che, in ogni caso, non si pone in contraddizione con il libero interloquire intorno a esse. Nei confronti dell'esperienza viva della musica, effettivamente, le partiture si pongono non più che come carte da suono che giacciono in attesa di prender vita nell'istante in cui verranno fatte risuonare.

Far risuonare il contenuto documentario di una biblioteca musicale riassume in breve l'obiettivo di questa proposta culturale. Nei fatti, è stato come se il concetto di "bene culturale", nell'accezione tecnica di oggetto fisico su cui iscrivere azioni e procedure di tipo amministrativo-valutativo, potesse sovrapporsi, in particolari condizioni, a un'altra accezione: quella che comunemente individua in un "bene culturale" un'entità patrimoniale comune all'umanità tutta e che solo in ultima analisi può coincidere con un oggetto materiale, ma che sempre e comunque si identifica nell'espressione di una forma di pensiero, la cui formalizzazione linguistica dà vita a quella che si definisce nel nostro caso "opera musicale".

La particolare condizione perché si esprima al meglio la coincidenza tra "bene culturale" e "bene musicale" sembrerebbe dettata innanzitutto dalla natura stessa del bene: in musica, infatti, il contenuto documentario di un oggetto storico-bibliografico coincide col suo contenuto sonoro potenziale (è il caso della partitura) o è espresso e fissato in registrazione (è il caso del documento sonoro). L'esser "fatta di suoni" confina in realtà la musica a vivere nel solo presente esecutivo, ma la precarietà di questo suo essere immanente trova ampia compensazione nel grande dinamismo dovuto alle sue radici istintive e alla facilità con cui riesce a comunicarsi.

Questa capacità della musica di annullare le distanze le concede di iscriversi con grande disinvoltura in percorsi sistematici, superando le distanze temporali che separano i suoi repertori. L'esecuzione di un canto gregoriano può associarsi all'ascolto di un'opera contemporanea o di un classico della musica da camera senza perdere la sua specifica capacità espressiva. La funzione pedagogica della biblioteca non fa che aggiungere a questa predisposizione comunicativa della musica la disponibilità a circondare e circostanziare il fatto musicale con i suoi servizi e le sue strutture.

È riduttivo dunque pensare alla biblioteca musicale unicamente come a luogo di conservazione, e a maggior ragione se fa parte di un contesto istituzionale deputato alla formazione. La Legge 508 del 1999 sulla "Riforma delle Accademie [...] dei Conservatori e degli Istituti musicali pareggiati" riconosce alle rispettive "strutture di ricerca e di servizio" un ruolo tanto fondamentale in quanto la loro esistenza e adeguatezza giunge a condizionare l'attivazione dei diplomi di secondo livello. La loro duplice finalità di sostegno all'attività didattica, svolta in seno all'istituzione di appartenenza, e di supporto alla ricerca scientifica, svolta in ambito universitario, le qualifica come "biblioteche speciali" e "specializzate": come tali vengono altresì individuate e riconosciute dalla normativa regionale.

Meglio perciò sarebbe considerare la biblioteca musicale da un'angolazione più ampia, che la eleva a luogo di trasmissione della cultura musicale. Una cultura che coniuga alta specializzazione nello studio delle peculiarità linguistiche a profonde, lontanissime radici che riconducono la sua essenza a modalità espressive istintive, tanto da determinarne una grande mobilità non solo nel senso "orizzontale" o cronologico dei suoi stilemi, ma anche "verticale" o categoriale dei diversi generi. L'analisi dell'esperienza di lavoro, condotta alla luce di queste considerazioni, ci conferma nella convinzione che la musica, nelle biblioteche, non la si può solo studiare ma la si può anche vivere e sperimentare.

Se queste considerazioni racchiudessero la ratio di una connaturata attitudine delle biblioteche musicali a contenere il suono vero e a farsene occupare, non spiegherebbero comunque le motivazioni della componente "umana" disposta a cogliere questa provocazione, quando, in fondo, al singolo non mancherebbero altre occasioni di studio e di documentazione sulla musica in vista di un suo ascolto. In questa immaginaria catena di servizi a domanda individuale la biblioteca interpreta tradizionalmente il ruolo di primo anello, mentre il secondo solitamente si identifica nel luogo deputato all'esecuzione-ascolto: il teatro, la sala da concerto. Il singolo può, in sintesi, produrre per sé stesso, attraverso i canali tradizionali, la fruizione del "bene musicale".

Cosa accade quando una biblioteca si interpone in questa catena come un nuovo canale, facendosi traduttrice del dato scritto musicale in suono? Innanzitutto non lo fa come se fosse un teatro, in quanto luogo diverso, per cui diventa possibile farvi ciò che in quel contesto sarebbe inammissibile. La ritualità del concerto non contempla modalità d'ascolto che non siano incentrate sulla funzione celebrativa della musicalità di chi si esibisce; a maggior ragione sarebbe quantomeno ininfluente voler riprodurre la medesima situazione in biblioteca, a meno che sia la biblioteca stessa a produrre un concerto.

Eseguire musica in contesti inappropriati presuppone perciò l'idea di creare delle condizioni nuove per un incontro col suono. L'ambiente-biblioteca sembrerebbe favorire la disposizione a mettersi in ascolto: osservando i presenti si percepisce una situazione di intensa partecipazione emotiva e quella disposizione sembrerebbe prescindere sempre di più dal cosa si ascolta e da chi si pone in ascolto. Quest'esperienza vuole forse indicarci nuove prospettive sul come promuoverlo? E inoltre, che relazione si instaura tra l'ascolto e questa particolare situazione in cui si consumano l'atto esecutivo e la sua percezione?

Se, da un lato, l'ambito riservato di una biblioteca demolisce ogni barriera esecutore-pubblico, dall'altro non potrà mai soddisfare ogni aspettativa di musica, se non altro per i limiti di spazio che la biblioteca stessa oppone e che condizionano il bacino ricettivo tanto degli organici coinvolti nell'esecuzione, quanto del pubblico deciso a fruirne. Eppure quella che vi si profila è una prospettiva avvincente: la biblioteca si apre a chiunque sappia riconoscersi in essa, quando vi acceda come a una "casa comune", dove sono presenti, ancorché non siano propriamente esplicitate, le condizioni per il recupero di una visione d'insieme del sapere. Il vissuto musicale in quel luogo sembra perciò soddisfare il bisogno di ricucire i tratti, sfrangiati dalla moderna specializzazione parcellizzante, di un profilo culturale autentico che ci accomuna. In questa dimensione di ritrovato umanesimo, esecutori, compositori, musicologi, letterati, appassionati, studenti scoprono nella biblioteca essenzialmente un luogo di condivisione, una koinè della cultura musicale la cui universalità è tutta rappresentata nelle "suppellettili" di questa casa comune.

Gli strumenti per accedere alle raccolte di questa "casa comune" devono corrispondere alle specificità che la disciplina documentata oppone: un assunto particolarmente "sentito" e necessitante per la musica. Il carattere "iniziatico" del sapere, che la didattica musicale si incarica di tramandare nelle forme più idonee alle sue strutture interne, si traduce in esigenze molto sofisticate quando ci si sposta sul versante degli strumenti idonei alla sua ricerca. I cataloghi delle biblioteche - essenzialmente strumenti di accesso alle informazioni di natura bibliografica, che ci guidano nei percorsi di ricerca delle fonti o degli studi che si sono sedimentati nel tempo su un certo dato dell'esperienza e dell'attività umana - devono adeguarsi a questa specificità. In musica, infatti, il passaggio dalla fase soggettiva e astratta dell'ideazione a quella della sua realizzazione avviene mediante la traduzione dell'idea in forma musicale.

Questa fase rappresenta il momento comunicativo normalizzato dell'idea musicale né più né meno di come avviene in altre forme di espressione: alfanumerica, coreografica, visiva. In musica però le cose si complicano poiché si possono dare espressioni, e relative manifestazioni, radicalmente diverse di una stessa opera. Volendo, per esempio, eseguire a catalogo una banale ricerca per titolo e autore sull'opera Don Giovanni di Mozart, ci si dovrà attendere un esito numericamente scoraggiante nonché qualitativamente eterogeneo. La lista di documenti prospettati, infatti, potrà contenere indiscriminatamente: testi per musica (la fattispecie dei libretti accanto a programmi di sala pubblicati in occasione delle rappresentazioni dell'opera); partiture musicali recanti in forma scritta l'espressione originale dell'opera, accanto a sue riduzioni per voci e pianoforte (gli spartiti a uso dei cantanti); trascrizioni dell'opera per altro organico; rielaborazioni o fantasie omonime su temi propri dell'opera; e, infine, registrazioni sonore o audiovisive di sue esecuzioni fissate con tecnologie diverse su differenti supporti. Filtri per categoria di documento, per tipo di supporto e, possibilmente, per modalità di presentazione della musica scritta devono poter supportare le fasi di ricerca restringendo progressivamente il focus dei risultati, così da renderli il più possibile convergenti rispetto alle attese di risposta.

La Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto musicale "Achille Peri" di Reggio Emilia (dall'1 giugno 2006 Istituto superiore di studi musicali) rientra a pieno titolo nell'area dei servizi bibliotecari "speciali" e "specializzati" che, oltre a garantire una serie di servizi di base (la consultazione, il prestito locale, le informazioni al pubblico, l'accesso alle reti e alle risorse informative esterne, il prestito interbibliotecario e la fornitura di documenti) devono farsi carico, attraverso l'istituzione di servizi avanzati, della valorizzazione sul piano disciplinare delle risorse informative possedute e di quelle a cui la biblioteca accede attraverso Internet.

A questo scopo la direttiva "Standard e obiettivi di qualità per biblioteche archivi storici e musei", approvata il 3 marzo 2003 dalla Giunta dell'Emilia-Romagna ai sensi dell'articolo 10 della Legge regionale 18 del 2000, raccomanda la partecipazione delle biblioteche speciali e specializzate a esperienze cooperative e consortili con lo scopo specifico di favorire l'integrazione e la razionalizzazione delle risorse e dei servizi. In particolare la legge auspica che tra queste esperienze si privilegi la costruzione di OPAC (On-line Public Access Catalogues, i cataloghi pubblici in rete) e di cataloghi collettivi, e che in generale si predispongano le risorse umane e strumentali del servizio a un regime operativo di catalogazione partecipata. Questo insistere perorante degli standard sulla catalogazione e sulle modalità in cui essa deve essere gestita e attivata, è il corrispettivo normativo di un presupposto fondamentale per la funzionalità delle strutture e la qualità dei servizi bibliotecari: il grado di accessibilità dei propri patrimoni.

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