Rivista "IBC" XVI, 2008, 1

musei e beni culturali / didattica, progetti e realizzazioni, restauri

40 giovani hanno partecipato al cantiere-scuola di restauro archeologico organizzato dall'IBC e dal Museo della Regina di Cattolica.
Si comincia dai frammenti

Fiamma Lenzi
[IBC]

Una persistente leggenda, radicatasi nella letteratura colta e nella cronachistica già dal XVI secolo, vuole l'origine di Cattolica legata al celebre Concilio di Rimini del 359 dopo Cristo e alla secessione di alcuni vescovi cattolici partecipanti al consesso, in cui si registrò una delle prime grandi divisioni verificatesi in seno alla Cristianità in seguito alla reazione ortodossa innescata dall'imposizione dell'arianesimo da parte dell'imperatore Costanzo II. La fondazione dell'odierna Cattolica si data in realtà alla seconda metà del XIII secolo per iniziativa di centri come Casteldimezzo e Focara, ed è noto che Rimini ne autorizzò la nascita a condizione che la cittadina non avesse un porto. In assenza di prove o rinvenimenti che rinviassero a epoca più antica, sino a una quarantina di anni fa il borgo veniva dunque considerato di formazione medievale. Le prime indagini archeologiche agli inizi degli anni Sessanta e il riaffiorare di vestigia romane hanno rivelato che, per la sua posizione tra la foce del Crustumium (l'attuale Conca) e il rilievo che domina l'ultima parte della vallata fluviale, e per il naturale porto protetto disegnato dall'insenatura, il territorio di Cattolica ha avuto sicuramente sin da tempi remoti le caratteristiche di luogo vocato alla frequentazione umana e all'insediamento.

Scavi e recuperi occasionali in zona centrale, tutti prossimi fra loro (Mercato ortofrutticolo; case Filippini, De Niccolò e Filippini-De Nicolò; piazza del Mercato), sono stati rapportati a edifici e strutture di destinazione utilitaristica in connessione con il percorso originario della via Flaminia, voluta da Roma nel 220 avanti Cristo per unire la capitale con Rimini e porre così in comunicazione le regioni centrali della penisola con la pianura padana. Nei resti esplorati è stata vista la prova dell'esistenza, lungo il tracciato della strada consolare realizzata da Gaio Flaminio, di un piccolo borgo o stazione di posta sorta in epoca tardorepubblicana-primoimperiale al servizio dei viaggiatori e delle merci che transitavano sull'importante asse stradale, praticamente in affaccio diretto alla linea di costa, allora assai più vicina rispetto al presente, e nelle immediate vicinanze di un punto obbligato di attraversamento del Crustumium.

Che fosse una statio (ove l'attività ricettiva era accompagnata da un presidio militare o con funzioni fiscali) oppure una mansio (attrezzata per il pernottamento dei viaggiatori e il ricovero degli animali), l'insediamento consolidatosi nell'area della Cattolica attuale sembra aver raggiunto in età medio-altoimperiale un certo benessere, attestato dalla presenza di edifici con alcuni vani arricchiti da intonaci dipinti recanti megalografie a soggetto mitologico. Secondo alcuni, questi ultimi potrebbero essere in relazione con un hospitium di livello elevato, in grado di assicurare ai viaggiatori un ristoro completo del corpo e dello spirito, se a ciò allude il nome di una fanciulla greca, e quindi di probabile classe servile, graffito su uno dei frammenti di intonaco.

Si credeva dunque che i ritrovamenti avessero definitivamente ricondotto Cattolica al suo antico principio e nulla faceva pensare che il passato avrebbe riservato altre sorprese sollevando il velo della storia sin quasi ai momenti iniziali della romanizzazione, avviata proprio non lontano di qui con la fondazione di Rimini nel 268 avanti Cristo. Tuttavia, come spesso avviene, la realizzazione di infrastrutture di vasta portata o di grandi opere è la causa prima di inaspettate scoperte, talora destinate a modificare in termini sostanziali il quadro di conoscenze costituitosi sino a quel momento. Così è avvenuto in occasione dei lavori per la nuova darsena. La struttura archeologica a ridosso del fiume Tavollo, ritornata in luce a seguito delle movimentazioni di terra, ha aperto uno squarcio di notevole importanza sulle prime fasi di vita di questo centro affacciato sull'Adriatico, a quanto pare precocemente attivo come scalo.

Entro una buca quadrangolare, ricavata nel banco naturale d'argilla, ha trovato ricetto come materiale di riempimento fortemente costipato una grandissima quantità di frammenti ceramici, rappresentati per lo più da anfore da trasporto di tipo greco-italico e da un'interessante campionatura di ceramica comune caratterizzata da forme particolari e di rara attestazione. Una moneta coniata della serie di Ariminum, prodotta dopo la colonizzazione, offre un solido aggancio cronologico e fa datare il deposito tra la metà e gli ultimi decenni del III secolo avanti Cristo. L'interpretazione di questa evidenza non è al momento del tutto chiara e potrà essere meglio definita solo quando l'ingente mole di reperti restituiti dallo scavo sarà stata interamente analizzata e studiata dal punto di vista morfologico e tipologico. Resta anche da assodare da dove provenissero i materiali e che cosa potessero rappresentare, sebbene sia fuor di dubbio che essi restituiscono a Cattolica un'antichità che non aveva e una sua autentica origine marittima, contribuendo a identificarla come approdo verso il quale paiono convergere, per poi essere smistate, merci da un entroterra che, in un momento ancora iniziale della dominazione romana, dobbiamo immaginare già così strutturato da riuscire a convogliare verso il consumo esterno il surplus produttivo.

In questa chiave di lettura, la dominante rappresentatività delle anfore le segnala come fra le prime produzioni di area emiliano-romagnola a essere utilizzate per la ridistribuzione di risorse agricole, legate nel caso specifico a pratiche colturali estensive di tipo vitivinicolo. Comincia a emergere, al tempo stesso, un'organizzazione del territorio che, sebbene ancora da approfondire e saggiare, appare già articolata non solo in termini economici ma anche nel profilo insediativo, come sembrano suggerire alcune tipologie della ceramica comune che rimandano a dotazioni e forniture domestiche non ordinarie e di un certo pregio. È del tutto evidente, inoltre, che sta proprio nell'esistenza di un approdo riconosciuto la possibilità di concentrare interessi, passaggi e frequentazioni che favoriranno nel prosieguo la nascita della mansio.

Dal punto di vista strettamente archeologico, ma ancor più sul versante conservativo, uno dei problemi di maggior portata e complessità posti dai rinvenimenti effettuati alla nuova darsena - a fronte di una quantità a dir poco "scoraggiante" di frammenti che invadono buona parte della volumetria del deposito approntato nell'ex lavatoio - era senza dubbio quello di identificare un metodo di azione opportuno per il "trattamento" dei materiali, in modo tale da restituire integrità ai manufatti, recuperare la leggibilità del complesso e acquisire cognizioni e certezze utili alla comprensione del suo significato. In seguito a un accordo fra l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e il Museo della Regina di Cattolica, coordinatore degli scavi e custode dei materiali, ci si è orientati per un intervento da realizzare nell'ambito della pianificazione museale annuale prevista dalla Legge regionale 18/2000, secondo la formula del cantiere-scuola.

Ciascuno dei due enti ha collaborato al buon esito del progetto mettendo a disposizione risorse strumentali, umane e finanziarie. La scelta di una modalità collaudata, e già altre volte messa in campo dall'IBC, si è rivelata vincente sia per affrontare in modo adeguato e con pienezza di risorse l'ingentissima mole di reperti, sia per dar vita a un'esperienza formativa a "tutto tondo" che consentisse a studenti e specializzandi in archeologia di avvicinarsi nel modo più fattuale e concreto possibile ai temi della conservazione, e di acquisire consapevolezza e padronanza delle procedure preliminari al restauro archeologico.

Supponendo che un'iniziativa di tal genere, riservata ai giovani, avrebbe catturato la loro attenzione e sarebbe stata accolta come opportunità di coniugare la preparazione accademica con uno stage esperienziale e operativo, si è deciso il reclutamento degli allievi mediante un bando di partecipazione, adeguatamente pubblicizzato. Nel novero delle candidature sono stati selezionati 40 partecipanti (38 ragazze e 2 ragazzi), parte dei quali ha usufruito di alloggio in loco grazie al Comune, impegnatosi a garantire comunque ospitalità a tutti. L'alto numero di richieste pervenute e l'ampia rappresentanza di atenei italiani (Bologna, Ravenna, Trapani, Urbino, Padova, Lecce, Foggia, Udine, Ferrara, Parma, Milano, Viterbo, Modena, Salerno) testimoniano e confermano la validità di un simile percorso di orientamento formativo, utile anche come tirocinio in rapporto agli individuali percorsi di studio.

Il cantiere-scuola, svoltosi fra giugno e ottobre 2007, è stato impostato secondo il principio dell'alternanza fra attività pratiche - coordinate da restauratori professionisti incaricati dall'IBC e articolate nelle varie operazioni di lavaggio, selezione, ricomposizione dei frammenti, integrazione, documentazione grafica e fotografica dei reperti, inventariazione e archiviazione dei dati, elaborazioni statistiche e archeometriche - e momenti formativi sulle tecniche di restauro, sulla classificazione tipologica dei materiali, sui temi dell'esposizione, dello studio, dell'edizione e della musealizzazione dei reperti. Sotto l'attenta regia della responsabile Maria Luisa Stoppioni, negli spazi e nel laboratorio messi a disposizione dal Museo della Regina, è stata percorsa l'intera catena delle operazioni che abitualmente precedono il restauro vero e proprio. Guidati dall'esperto magistero della restauratrice Florence Caillaud, coadiuvata dalle sue collaboratrici Ana Cecilia Hillar e Antonietta Epifani, gli allievi hanno preso confidenza con le iniziali procedure di pulizia, per passare poi alla selezione dei materiali, forse la più "formativa" delle attività, per l'affinamento che richiede nella valutazione approfondita delle caratteristiche dell'argilla (colore, consistenza, tipologia degli inclusi, aspetto delle superfici, porosità, presenza di sedimenti, grado di cottura), nella lettura delle diverse forme vascolari e nel corretto riconoscimento delle loro componenti morfologiche. E la catena si concludeva con la ricomposizione dei frammenti.

In 12 settimane di intensa applicazione i partecipanti si sono avvicendati con determinazione ed entusiasmo, conseguendo risultati insperati e quanto mai incoraggianti per progredire nella valutazione storica di questo notevole contesto risalente agli esordi della romanizzazione. Ma altri passi ancora dovranno essere fatti: dal restauro vero e proprio di alcuni materiali - individuati come i più promettenti per il loro interesse archeologico e per la ricostruibilità delle forme, che occorrerà inserire nella programmazione dei prossimi piani museali - alla divulgazione delle conoscenze raggiunte. A coronamento del lavoro compiuto, l'auspicio è che si giunga in tempi brevi alla realizzazione di un'iniziativa espositiva per fare il punto sulle più antiche origini di Cattolica e sulla rete di relazioni che la cittadina seppe intrecciare in epoca romana con il territorio circostante e con distretti ancor più lontani.

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