Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

biblioteche e archivi / convegni e seminari

Fonti preziose per la documentazione di un comparto produttivo fondamentale, ma anche per la storia delle donne e della società, le riviste di moda meritano di essere conservate e analizzate con cura.
Moda in rivista

Rita Carrarini
[Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario]

Il 4 aprile 2008 a Ferrara, nell'ambito del Salone del restauro, si è tenuto il convegno "Conservare il Novecento: le carte della moda", organizzato dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con l'Associazione italiana biblioteche, l'Associazione nazionale archivistica italiana e l'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario del Ministero per i beni e le attività culturali. Proseguendo la riflessione avviata nel 2000 sulla conservazione dei materiali librari e documentari del secolo scorso, l'appuntamento ferrarese ha concentrato l'attenzione sulla memoria di un settore economico cruciale del nostro Paese, che rischia tuttavia di non essere adeguatamente conservato. In attesa della pubblicazione degli atti, questo articolo sintetizza i contenuti di uno degli interventi.


Il fenomeno della proliferazione delle riviste di moda, le cui origini risalgono agli anni immediatamente successivi all'Unità, si accentua e si consolida nel corso del Novecento, in particolare negli anni tra le due guerre, quando lo sviluppo delle tecnologie di stampa e l'alfabetizzazione diffusa contribuiscono all'affermazione di questo genere editoriale come consumo di massa. È questo il periodo in cui assistiamo all'evoluzione delle caratteristiche formali e dei contenuti, che nei primi due decenni del secolo non avevano subìto modifiche sostanziali rispetto al modello ottocentesco. Cresce l'attenzione per l'informazione di attualità, documentata mediante un largo impiego di fotografie, che divengono lo strumento principale per illustrare anche i servizi di moda. Ciò che soprattutto fa la differenza rispetto al passato e anticipa gli sviluppi successivi, oltre alla nuova veste editoriale derivante dalla disponibilità di nuove tecnologie, è il diverso assetto redazionale, basato sulla presenza di nuove figure professionali - redattori, fotografi e disegnatori - che si specializzano nella comunicazione, sia visiva che testuale, relativa alla moda.

La divaricazione tra riviste a carattere popolare e riviste di lusso dedicate all'alta moda diviene in questo periodo ancora più netta, sia nella forma che nei contenuti, rispetto a quella già presente nelle riviste dell'Ottocento, e dà vita ad almeno tre filoni distinti: i rotocalchi popolari, le riviste dedicate ai lavori femminili e le riviste di alta moda. L'avvento della stampa a rotocalco da un lato, le iniziative di editori nuovi come Mondadori e Rizzoli dall'altro, fanno decollare i giornali di moda a carattere popolare; alcune di queste testate rimangono ancora oggi le più diffuse a livello nazionale: "Lei" (1933-), che nel 1938 diviene "Annabella", "Gioia!" (1937-), "Grazia" (1938-). Anche nel settore dedicato ai lavori femminili nascono in questi anni riviste che si dimostreranno molto longeve, come "Rakam" (1930-) e "Mani di fata" (1925-). È questo un filone in forte espansione negli anni Venti e Trenta: il "fai da te" diviene un fenomeno veramente massiccio, a giudicare dalla quantità di testate che si pubblicano a questo scopo.

Ma le riviste di moda, negli anni tra le due guerre, non si presentano soltanto sotto forma di rotocalchi popolari o di guide ai lavori femminili: non mancano infatti pubblicazioni più eleganti e raffinate che rappresentano soprattutto un veicolo di diffusione per l'alta moda e si rivolgono a un pubblico femminile di élite, il cui stile di vita è alquanto diverso da quello esaltato dalla propaganda di regime, che al contrario trova ampio spazio nelle riviste a carattere popolare. Particolarmente significative, per la documentazione dell'attività delle case di moda italiane, sono le riviste pubblicate dagli enti istituiti dal regime allo scopo di incentivare l'affermazione di una moda nazionale: "Moda" (1919-1941), organo ufficiale della Federazione nazionale fascista industriali abbigliamento, e "Bellezza" (1941-1970), nata sotto il patrocinio dall'Ente nazionale della moda e con l'intervento personale di Mussolini nella scelta del titolo, ma riconducibile a Giò Ponti e al gruppo dei collaboratori della Editoriale Domus. E dall'ambiente della casa editrice Domus, specializzata nel settore dell'architettura e del design, proviene anche Emilia Rosselli Kuster, fondatrice della la testata "Novità" (1950-1965), che nel dopoguerra affianca "Bellezza" nel ruolo di portavoce dell'alta moda italiana e internazionale, fino alla sua fusione con "Vogue" e alla nascita di "Vogue Italia" (1966-).

I tre filoni che si erano sviluppati nel ventennio tra le due guerre convivono almeno fino agli anni Ottanta, quando si assiste a un generale innalzamento del livello dei contenuti e delle soluzioni grafiche, che coinvolge anche le testate a carattere popolare, e che si lega alla crescita qualitativa dei prodotti dell'industria della moda e ai cambiamenti in atto nel tessuto sociale in questi anni. Le riviste divengono sempre di più strumenti di mediazione tra i prodotti industriali e i potenziali consumatori - lo dimostra anche il progressivo aumento degli spazi destinati alla pubblicità, sia dichiarata che "redazionale" - e il rapporto tra industria della moda e stampa specializzata si fa sempre più stretto.

Le riviste di moda, soprattutto quelle ad alta tiratura destinate a un pubblico più vasto, fin dagli esordi hanno assunto il ruolo di rappresentare e al tempo stesso di influenzare l'opinione pubblica femminile, recependone le aspirazioni e i bisogni e traducendoli in modelli fisici e comportamentali. Esse costituiscono dunque una fonte privilegiata non soltanto per la storia della moda ma più in generale per la storia delle donne e della società nel suo insieme, oltre che per la ricostruzione dell'attività di giornalisti, disegnatori e fotografi che si sono impegnati durante il secolo appena trascorso in questo come in altri settori della comunicazione. Il loro valore documentario, ormai ampiamente riconosciuto nell'ambito degli studi storici, impone una riflessione sulla necessità di conservarle e di migliorarne l'accessibilità, individuando i soggetti, le tipologie di intervento e le tecnologie più adeguate.

Le riviste di questo tipo si presentano con caratteristiche di particolare fragilità per quanto riguarda il supporto cartaceo e sono piuttosto complesse da trattare in quanto è frequente la presenza di allegati di diverso formato e su supporti di diversa qualità. Inoltre queste pubblicazioni sono state a lungo considerate, all'interno delle biblioteche, come materiale di importanza secondaria: le raccolte sono spesso lacunose e soltanto a partire dallo sviluppo, anche nel nostro Paese, degli studi di storia delle donne, sono state avviate iniziative finalizzate al censimento delle testate e della loro consistenza in ambito nazionale o locale.1 Le due biblioteche nazionali centrali di Firenze e di Roma, in quanto depositarie della produzione editoriale nazionale, sono tra i soggetti fondamentali per una politica mirata alla conservazione e alla valorizzazione di questo patrimonio documentario, ma un ruolo di particolare rilevanza va riconosciuto anche alla Biblioteca nazionale braidense di Milano, per l'ampiezza delle sue raccolte derivanti dal deposito obbligatorio degli stampati in un'area come quella milanese, dove fin dal XIX secolo si è concentrata la produzione delle riviste di moda. E non va trascurato anche il contributo che potrebbe essere dato a una azione di questo tipo da parte delle numerose istituzioni specializzate attive sul territorio nazionale.2

A una prima fase mirata alla conoscenza del patrimonio, attraverso l'identificazione e la localizzazione delle raccolte, dovrebbero seguire una serie di azioni mirate alla conservazione dei documenti e al restauro, ove necessario, e l'avvio di una politica di utilizzo della rete come strumento per la valorizzazione di questi materiali. Esistono, soprattutto in area anglosassone, iniziative da parte di istituzioni universitarie, di singoli studiosi o di collezionisti, e anche iniziative con finalità commerciali, che rendono disponibile in rete la copia digitale di articoli, di figurini e di fotografie tratti da riviste di moda dell'Ottocento e del Novecento.3 Non si tratta di riproduzioni integrali ma di raccolte antologiche, che tuttavia mettono in evidenza il ruolo spesso insostituibile di queste fonti per documentare la storia della moda negli ultimi due secoli.

Penso che anche in Italia si potrebbe tentare qualcosa di analogo a questi progetti, forse perfino di migliore, con l'apporto di soggetti diversi: biblioteche nazionali e specializzate, centri di ricerca, ma anche editori e case di moda. Una iniziativa di questo tipo, finalizzata alla realizzazione di una biblioteca virtuale della stampa di moda - se non esaustiva, almeno rappresentativa dei diversi generi e dei diversi periodi - potrebbe trovare una collocazione appropriata nell'ambito del progetto sugli Archivi della moda del Novecento, recentemente avviato dall'Associazione nazionale archivistica italiana, con il coinvolgimento di importanti istituzioni universitarie e di altri soggetti operanti nel settore della moda.4


Note

(1) Si vedano in proposito: Stampa periodica delle donne in Italia. Catalogo 1861-1985, a cura di R. De Longis, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri - Direzione generale delle informazioni dell'editoria e della proprietà letteraria artistica e scientifica, 1986; Bibliografia dei periodici femminili lombardi 1786-1945, a cura di R. Carrarini e M. Giordano, Milano, Editrice Bibliografica, 1993; Giornali di donne in Toscana: un catalogo, molte storie (1770-1945), a cura di S. Franchini, M. Pacini e S. Soldani, Firenze, Olschki, 2007, 2 volumi. Questi repertori, tuttavia, non riguardano in modo specifico la stampa di moda ma la stampa femminile in genere e non comprendono, per esempio, le riviste di moda maschile.

(2) Una rassegna delle istituzioni specializzate nel settore della moda è contenuta in: Agenda della moda 2002, a cura di S. Gnoli e G. Tizzoni, Milano, Bruno Mondadori, 2001.

(3) Si vedano, per esempio, gli archivi digitali realizzati dalle University of Washington Libraries (content.lib.washington.edu/costumehistweb/index.html) e dalla Biblioteca dell'Università del Vermont (www.uvm.edu/%7Ehag/godey), e, tra le iniziative di singoli studiosi o collezionisti, il sito La couturière parisienne (www.marquise.de/de/index.html).

(4) I. Orefice, Archivi della moda nel Novecento, "Il Mondo degli Archivi on-line", 2008, 1/2 (www.ilmondodegliarchivi.org/index.html).

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