Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

musei e beni culturali / pubblicazioni, storie e personaggi

L. Ficacci, Francis Bacon e l'ossessione di Michelangelo, Milano, Electa Mondadori, 2008.
L'ossessione dell'esistenza

Claudia Collina
[IBC]

"Vivo della mia morte e, se ben guardo, / felice vivo d'infelice sorte; / e chi viver non sa d'angoscia e morte, / nel foco venga, ov'io mi distruggo e ardo" (Michelangelo, Rime, 1532). Nella sua introduzione alle Rime michelangiolesche, Giovanni Testori conduceva il lettore all'interno della poesia del Buonarroti, nelle "cose del corpo" dell'uomo "lucente, maledetto, ubriacante, ma come velato sempre da una cupa mutezza; un corpo ecco, che chiama e non risponde mai e poi mai a sufficienza" perché il tormento esistenziale e doloroso della carne segna i limiti per lo spirito che anela a trascenderla.

Più di quattro secoli dopo, e con una tensione spirituale non più neoplatonicamente volta verso Dio, ma più freudianamente verso il mistero che alberga nei lati più oscuri dell'essere umano, Francis Bacon sublimava in pittura un tormento esistenziale analogo a quello espresso dalla poesia e dalle opere di Michelangelo, e Luigi Ficacci, nel suo libro Francis Bacon e l'ossessione di Michelangelo, pone in luce questa analogia con sapienza storico-artistica e grande finezza critica. Ficacci, che procede con stile degno della "filosofia della composizione" di Edgar Allan Poe, usa il dipinto di Bacon Study from the Human Body come incipit, refrain e dénouement per orientare la sua esegesi dell'opera dell'artista irlandese in confronto con l'arte del passato, non recepita come modello, ma filtrata dalla memoria inconscia del pittore e frammentariamente riversata nella sua irrazionale trance esecutiva, in maniera del tutto autonoma e affrancata dalla tradizione.

Anche Ficacci si affranca con modernità critica dalla storiografia più paludata e fuorviante per la lettura della maggior parte dell'arte del XX secolo e del presente, e propone una riflessione fondata sulla filologia interpretativa più moderna, che studia l'individualità di ogni espressione e tecnica artistica del Novecento svincolandosi necessariamente dalle correnti, per dar prova che il collegamento che esiste tra il passato e il presente non può essere solo formale e men che meno stilistico, ma va ricercato in un senso culturalmente e antropologicamente più esteso: "attraverso un itinerario sovrastorico che la disciplina scientifica di riferimento non consente in alcun modo di raggiungere". Nato come riflessione necessaria sull'artista in seguito alla visita della mostra "Francis Bacon and the Tradition of Art", questo libro appassionante e audace ci porta nei significati più conoscibili dell'opera di Bacon, con un profondo rispetto del mistero che gli permane intorno, grazie alla conoscenza e all'interpretazione, sensibile e dialettica, dell'autore.

"E ho sempre guardato a Michelangelo che è stato fondamentale per il mio modo di pensare la forma": da questa affermazione fatta da Francis Bacon in occasione della sua partecipazione alla serie di mostre "The Artist's Eye" della National Gallery di Londra si dipana il collegamento tra i due artisti, individuato da Ficacci sul piano dell'immaginazione e della rielaborazione subconscia delle morfologie e torsioni michelangiolesche atte a provocare la carne tesa, greve, urlante o maciullata, partendo "dall'identico flusso della spiritualità umana in cui entrambi collocano l'arte; ed è un flusso che conduce l'occhio odierno a guardare Michelangelo con l''esilarante disperazione' di Francis Bacon". Per chiedersi, come Robert Musil ne L'uomo senza qualità, se aveva ragione la Chiesa nell'aver capito la debolezza dello spirito o la psicanalisi la sua forza.


L. Ficacci, Francis Bacon e l'ossessione di Michelangelo, Milano, Electa Mondadori, 2008, 80 pagine, 15 euro.

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