Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

Dossier: Dentro l'evento - Anatomia di una manifestazione culturale

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

La profondità delle origini

Luca Dal Pozzolo
[vicepresidente della Fondazione Fitzcarraldo di Torino]

La ricerca offre tantissimi spunti interessanti ma dovremo scegliere due o tre cose su cui appuntare l'attenzione. Innanzitutto ben vengano ricerche sui festival e sulle manifestazioni culturali, su cui si sa sempre molto poco perché scarse risorse vengono investite per capire quali sono gli effetti di lungo periodo e quali risultati ottengono gli investimenti in cultura, che sono risultati molto complessi, sfuggenti. Occorrono studi attenti che propongano le classificazioni interne di marketing del pubblico: quello dello spettacolo, dei musei o dei beni culturali. Sono un supporto alle esigenze degli operatori per capire come indirizzare la loro attività.

Il vocabolo "anatomia" che usa Ortoleva mi sembra interessante perché ripropone una serie di questioni, di interrogativi, in cui punti di forza e punti di debolezza sono intrecciati come il palmo e il dorso della mano. Iniziamo dal rapporto cultura-turismo: la ricerca, infatti, induce a fare dei ragionamenti in proposito, partendo da un'ottica squisitamente culturale. È necessario abbattere i muri disciplinari e cominciare a pensare che le interazioni esistono. La gente non è lobotomizzata: quando partecipa a un festival culturale non è soltanto una persona di cultura, è anche un turista, un residente o un padre di famiglia o altre cose insieme. I ragionamenti che la ricerca propone sul turismo - se tenere separati i flussi, se promuoverne un'integrazione, se pensare che un veicolo di educazione del "turista" può essere il lavoro sulla popolazione residente - mi sembrano riflessioni molto interessanti, da approfondire in molti contesti per arrivare a negoziare dei nuovi rapporti col turismo, che sono fondamentali per la cultura e per le attività culturali. L'obiettivo dovrebbe essere costruire delle poleis che realizzino delle sperimentazioni, dei punti di convergenza; altrimenti la cultura si carica di attese forti nei confronti del turismo o, al contrario, ne sottovaluta completamente il portato possibile.

L'altro elemento interessante di questa ricerca è che solleva delle questioni a proposito dei contenuti. Teniamo conto che il tema che propone il Festival di Rimini è complesso: capire nel presente il retaggio del passato, quale portato ha dal punto di vista dei significati che usiamo costantemente. Se la maggior parte di noi non fosse dotata di una certa cecità ambientale, leggerebbe di continuo sui nostri muri un palinsesto profondissimo. Probabilmente una delle grandi attese che aveva Goethe rispetto a Roma era quella di uscire dalla monotonia e dal Medioevo e di vedere questa stratificazione vertiginosa del passato. Attraverso la ricerca si percepisce che il Festival è il modo giusto, o uno dei modi possibili, per rendere presente il passato come una vertigine attuale, come qualcosa che dota di senso la nostra attività, il nostro essere in un luogo.

Questa profondità delle origini, ma contemporaneamente questa vicinanza delle origini, diventa un elemento molto complesso da veicolare e la ricerca indica che il Festival è una delle risposte possibili per evidenziarlo. E l'opportunità di accostarsi a queste tematiche non è rivolta solo al pubblico degli appassionati, di coloro che seguono con ordine e con precisione questo tipo di manifestazioni: ci si propone di attrarre le persone, di rendere evidenti alcuni rapporti che, nonostante anni di scuola, anzi proprio grazie a molti anni di scuola, non vengono mai fuori. E, quindi, poter garantire un periodo all'interno del quale aprirsi a questo tipo di incontri mi sembra un'esperienza assolutamente fondamentale. E questo la ricerca lo testimonia quando dice, per esempio, dell'interesse dei giovani, del loro entusiasmo nell'imbattersi in argomenti, in esplorazioni che li sorprendono.

Nello stesso tempo la ricerca fa vedere costantemente che esistono non dei bivi, esistono quadrivi, esistono raggiere di direzioni possibili, ciascuna delle quali ha molte conseguenze. Mi sembra che questa metodologia e questo modo di interrogarsi sulle cose sia estremamente produttivo perché consente in qualche modo di tenere traccia della complessità degli effetti che hanno queste attività. Mi sembra che la ricerca agisca veramente come un rivelatore di problematiche, come una componente di estrema fertilità per il ripensamento costante di tutte le iniziative. Meglio questa linea di quella che punta più direttamente agli impatti economici o ad alcuni impatti direttamente misurabili: mi sembra che qui siamo nel centro di un ragionamento, a proposito di fenomeni non misurabili però finalmente comunicabili, classificabili, negoziabili anche nei loro significati, e ritengo che sia una direzione fondamentale per il futuro.

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