Rivista "IBC" XVII, 2009, 3

biblioteche e archivi / convegni e seminari, interventi

Come si può allargare la base dei lettori assidui e mantenere quelli che già lo sono? La parola al massimo esperto italiano di produzione e mercato del libro.
Perché i libri sian chiesti

Giuliano Vigini
[docente di Sociologia dell'editoria contemporanea all'Università Cattolica di Milano]

Ogni anno, dal 1995, il 23 di aprile, l'United Nations Educational Scientific and Cultural Organization (UNESCO) festeggia la "Giornata mondiale del libro e dei diritti d'autore". La data è un omaggio a tre grandi scrittori che, per una singolare coincidenza, morirono in quello stesso giorno del 1616: l'inglese William Shakespeare, lo spagnolo Miguel de Cervantes e il peruviano Garcilaso de la Vega. La Giornata non è solo un momento di omaggio al libro, ma anche uno strumento di promozione della lettura e dell'attività editoriale ed è proprio su questo tema che abbiamo chiesto un'analisi a Giuliano Vigini, docente di Sociologia dell'editoria contemporanea all'Università Cattolica di Milano, fondatore dell'Editrice Bibliografica, considerato oggi il massimo esperto italiano di produzione e mercato del libro. Il 23 aprile 2009, a Bologna, in occasione dell'appuntamento mondiale, Vigini ha tenuto un discorso presso il Teatro di Villa Aldrovandi Mazzacorati, su invito della Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'IBC, del Club UNESCO Bologna e dell'associazione "Cultura e Arte del '700".


Per inquadrare i termini del discorso, partirei dall'ultima indagine Istat sulla lettura. A fronte del 43,8% del dato nazionale riguardante le persone dai 6 anni in su che leggono libri nel tempo libero, l'Emilia-Romagna si colloca ai livelli alti (50,6%): al sesto posto della graduatoria nazionale, dopo Trentino - Alto Adige, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, Veneto. Già questo dato è significativo per definire l'identikit culturale della regione, ma la conferma viene anche da altri dati relativi alla produzione e al mercato.

In realtà, l'Emilia-Romagna, con i suoi 839 editori (72 in più rispetto al 2008), produce ogni anno 6059 opere, per un totale di oltre 17 milioni di copie. Bologna, Modena, Parma - le tre città dell'Emilia che sono tra le 19 località che superano le 50 case editrici presenti sul loro territorio - portano la regione al quarto posto nazionale, sia per numero di titoli pubblicati che per numero di copie stampate, dopo Lombardia, Piemonte e Lazio. Anche dal punto di vista del mercato, l'Emilia-Romagna è una delle regioni più importanti, avendo un assorbimento delle vendite del 10,3%: cifra che la innalza a terza area commerciale di riferimento, dopo Lombardia (29,4%) e Lazio (17,3%), prima della Toscana (8,9%). In pratica, sulla linea ferroviaria Milano-Bologna-Firenze-Roma, passa gran parte del mercato nazionale (65,9%).

Un dato, apparentemente negativo, che si può interpretare invece come un segno della diversificazione dei canali utilizzati per l'acquisto da parte dei lettori dell'Emilia-Romagna, è il seguente: questa è la penultima regione dove percentualmente (15,5%) si acquistano meno libri in libreria (segue, ultimo, il Veneto, con il 14,9%). Un ultimo dato, se si vuole curioso: l'Emilia-Romagna si trova al secondo posto (21,3%), dopo il Lazio (22,9%), come numero di lettori che hanno ricevuto in regalo l'ultimo libro letto.

Ma a parte tutti questi dati, occorre ricondurre il problema della lettura a delle considerazioni di ordine generale, perché anche in quelle che sembrano isole felici, come l'Emilia-Romagna, sussistono degli squilibri e delle lacune, a cui si può rimediare, sia cercando di allargare la base dei lettori, sia mantenendo - cioè rendendo stabili - quelli che già ci sono.

Naturalmente, non è un'impresa facile, perché sappiamo che la lettura è un "ecosistema" che vive di equilibri molto delicati, dove tutto interagisce, a cominciare dall'istruzione, che è il sostrato profondo da cui dipende la sussistenza stessa della lettura. Ma esistono anche altre condizioni, la cui presenza o meno può consentire o impedire di raggiungere i due obiettivi fondamentali: il primo, che è quello di immettere nel circuito della lettura nuovi soggetti che sostituiscano almeno quelli che, nel frattempo, si sono persi per cause naturali (età, malattia, problemi di vista, eccetera); il secondo, che è quello di rendere i lettori occasionali un po' più abituali, facendo anche in modo che non regrediscano troppo nel corso degli anni.

Siccome la questione è complessa, ma bisogna almeno provarci, da dove cominciare? Nel 2008, nell'ambito degli "Stati generali dell'editoria", si è tenuto a Roma un convegno dal titolo "Scommettere sui giovani", e io stesso recentemente - su uno degli ultimi numeri della rivista "Etruria oggi", benemerita rivista di approfondimento culturale della Banca dell'Etruria e del Lazio - ho avuto modo di affrontare l'argomento. In realtà, la scommessa comincia proprio da lì, dai ragazzi e dai giovani, che dovrebbero essere pertanto i destinatari principali delle politiche di intervento pubblico sulla lettura e sulla cultura in genere. Ma non perché i ragazzi e i giovani leggano poco o meno degli adulti, ma perché è a quell'età che la frequenza di lettura comincia a diventare instabile, ed è in quella fase, quindi, che bisogna soprattutto intervenire per rafforzarla. Tenendo anche conto che questi giovani - a secondo dei gusti e delle esigenze, che mutano con il passaggio da un'età all'altra - guidano o comunque orientano i comportamenti di consumo anche di tutta la loro famiglia.

Proviamo a riflettere su questi semplici dati: tra gli 11 e i 14 anni legge nel tempo libero il 59,8% dei ragazzi, e questa cifra rappresenta in assoluto il punto massimo della lettura. Fra i 15 e i 19 anni già si scende al 55,8% e, quando si arriva ai 25-34 anni, si sono persi per strada 10 punti percentuali: ossia si passa al 49,8%. Il che significa appunto una cosa: se la lettura tra i ragazzi è una pratica più o meno abituale, con il passaggio da una fascia d'età all'altra si legge sempre meno. Di fatto, lettori abituali o anche forti diventano in breve tempo lettori occasionali, per i quali comunque la frequentazione dei libri tende a diventare molto impulsiva e discontinua, esattamente come quella degli adulti.

Non possiamo qui indagare tutte le cause del fenomeno. Vorrei soltanto rilevare che non dobbiamo comunque cadere nell'errore di credere che tutto sia imputabile ai computer, a Internet, ai telefonini, ai media elettronici e via dicendo, che possono certo influire sulla diminuzione o sul rallentamento della pratica della lettura, ma che non si possono considerare i responsabili primi del calo consistente che si verifica tra i giovani. La conferma viene da tutte le indagini sui giovani europei, che notoriamente non sono meno voraci dei nostri in fatto di utilizzo di tecnologie e consumi culturali, anzi. Eppure quei giovani sono per gran parte molto più avanti di noi nella lettura di libri. In pratica questo conferma che chi legge è anche chi fa tutto il resto in campo culturale: in misura più o meno intensa e continuativa nei vari ambiti, ma in una certa misura un po' in tutti.

Allora, per tornare alla domanda iniziale, da dove cominciare per far sì che il libro non sia soltanto un bene "in offerta" - ossia un bene che si produce spesso a prescindere dal pubblico che dovrebbe accoglierlo - ma un bene, per così dire, "in domanda", cioè che risponde a delle esigenze effettive della gente? Da questo punto di vista, credo che la scommessa si giochi, da parte del piccolo o medio editore, nella capacità di focalizzare bene gli obiettivi e gli spazi della propria presenza, seguendo una linea imprenditoriale sostenibile, attenta alle sfide e alle dinamiche del mercato. Si tratta, dopotutto, di una precisa definizione di identità, con la quale si agisce secondo la propria vocazione esclusiva o prevalente - cioè una vocazione nazionale oppure locale - e si è incentivati in questo dalle istituzioni sul piano strutturale e pratico.

Naturalmente è importante che, mentre si fa questo, si crei intorno un contesto virtuoso in cui l'azione del singolo possa inserirsi nell'armonia dell'insieme. Fra i tanti punti che si potrebbero sviluppare, mi limito qui soltanto a tre. Il primo riguarda l'esercizio della lettura. Si può esercitare alla lettura partendo innanzitutto da un insegnamento dell'italiano che non sia soltanto funzionale, cioè finalizzato alla conoscenza della lingua come veicolo di comunicazione, ma che si sviluppi come esperienza culturale a più largo raggio, più coinvolgente e profonda, un'esperienza da cui può scaturire un formidabile impulso alla capacità di pensare, ragionare, entrare nel mondo delle parole, dei pensieri e nel cuore degli altri. Si esercita alla lettura stimolando la creatività e aiutando concretamente a esprimerla. Si esercita alla lettura leggendo ai ragazzi e con i ragazzi, e questo serve, come sappiamo, non solo allo sviluppo cognitivo e linguistico, ma anche per la crescita dal punto di vista affettivo ed emotivo.

Il secondo punto riguarda lo sviluppo delle biblioteche pubbliche, strutture fondamentali nel processo di formazione e radicamento della lettura. Biblioteche pubbliche, beninteso, che non siano semplicemente delle stanze con dentro dei libri, ma luoghi attivi della circolarità del sapere, ai quali gli utenti possano accedere con facilità e profitto, in termini di disponibilità dei documenti e qualità dei servizi. Aggiungerei subito dopo le biblioteche scolastiche e le biblioteche dei ragazzi. Le prime per le esigenze formative e didattiche della scuola, ma anche per più generali esigenze metodologiche e critiche di informazione e controllo dell'informazione, nell'epoca dell'abbondanza informativa e della povertà comunicativa. Le seconde, le biblioteche dei ragazzi, perché sono la prima porta d'ingresso al mondo del libro e rappresentano quindi un punto di forza, là dove esistono, per avviare alla lettura e familiarizzare i ragazzi con l'oggetto libro.

Il terzo punto, infine, riguarda la promozione della libreria. Al di là di quello che ciascuno deve fare in proprio, come imprenditore, per attrezzarsi e affrontare nel modo migliore le necessità di cambiamento, anche il libraio deve in qualche modo essere incentivato dalle istituzioni e dagli enti pubblici a svolgere al meglio la propria funzione sul territorio. Favorire la creazione, la ristrutturazione e il rinnovamento della libreria, in realtà, significa dare più respiro ed efficienza a tutta l'editoria, che in questo canale ha ancora il suo principale mercato di riferimento. Ma, là dove venga attivata qualche forma mirata di sostegno alla libreria, significa anche mantenere una certa ampiezza di offerta e un significativo livello di servizio al lettore, due elementi che diventano, in definitiva, anche un incentivo alla lettura.

In conclusione, questi sono soltanto alcuni punti di una più ampia e complessiva politica del libro, che andrebbe sviluppata anche sul territorio, per costruire il futuro della lettura e, con esso, quello di una società sempre più libera e responsabile.

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