Rivista "IBC" XVII, 2009, 3

musei e beni culturali / didattica, progetti e realizzazioni

Un innovativo progetto di riabilitazione porta un gruppo di malati mentali all'interno del Museo archeologico nazionale di Ferrara.
Mettendo insieme i cocci

Carla Conti
[Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia-Romagna]

"Mio figlio non guarda la televisione, è già ritardato di suo". La sublime ironia con cui l'umorista Jean-Luis Fournier svela il dramma dei due figli handicappati la dice lunga su quanto sia difficile, persino per i grandi media, comunicare con i disabili, soprattutto se psichici. L'arteterapia si basa sul principio che, se esiste una comunicazione non verbale che passa nella relazione in modo più efficace e diretto, questa si manifesta in modo più evidente quando si svolge un'attività artistica di qualsiasi tipo, dalla danza al teatro, dalla musica al disegno. Utilizzata come trattamento psicologico da poco più di mezzo secolo, vanta in alcuni campi origini più antiche: il medico francese Philippe Pinel usava la pratica teatrale per la cura dei dementi fin dalla fine del XVIII secolo, mentre musica a scopo ansiolitico era somministrata nei manicomi arabi già dall'800 dopo Cristo.

Il Dipartimento di salute mentale dell'Azienda unità sanitaria locale di Ferrara e il Centro territoriale permanente (CTP) di Codigoro lavorano da anni con un gruppo di persone del Centro diurno "Il Convento" - Area San Bartolo, affette da gravi patologie mentali. Nel 2008 la collaborazione con il Museo archeologico nazionale di Ferrara ha dato vita a un progetto assolutamente innovativo, un percorso che ha portato i pazienti psicotici a incontrare la storia, sia con l'uso della tecnologia (computer e macchina fotografica) che attraverso la conoscenza visiva e tattile dei reperti archeologici. Dopo il successo dell'anno scorso, il 15 giugno 2009 è ripreso il progetto che coinvolge una selezione di pazienti psichiatrici del San Bartolo per portarli a contatto con la storia e l'opera d'arte. "Pensiamo che poter toccare i cocci, lavarli, tenerli fra le mani e riportarli a nuova vita, come l'uomo cade e si rialza, sia un'esperienza unica", spiegano gli organizzatori.

Acqua, vasca, guanti, setacci. E ovviamente terra, molta terra, più di una tonnellata. Questi gli strumenti di "Mettiamo insieme i cocci", il percorso terapeutico di assoluta novità a cui collabora, da quest'anno, anche il Gruppo archeologico ferrarese (GAF). Un legame sembra unire le ferite visibili del reperto a quelle invisibili della psiche, e questa integrazione tra archeologia e handicap mentale è una scommessa che comincia a dare i primi frutti. Assistiti da archeologi e volontari del GAF, i corsisti, a piccoli gruppi di 4 o 5 per volta e con cadenza settimanale, hanno setacciato la terra proveniente da uno scavo archeologico alla ricerca dei frammenti, per poi pulirli, lavarli e tentare di ricomporre l'oggetto originario. Un'esperienza molto positiva, che ha permesso ai partecipanti non solo di socializzare e lavorare in équipe, ma anche di essere i protagonisti di un'operazione di recupero e ricostruzione dai forti risvolti emotivi.

Il gruppo di "setacciatori" è stato affiancato da altri corsisti che hanno schedato i reperti assistiti da archeologi e dal docente di informatica. Il loro lavoro è stato seguito da un gruppo di pazienti "osservatori", stimolati a fare foto e disegni di quanto stava succedendo, nella speranza che ciò li inducesse a farsi attori delle setacciature successive. I corsisti sono stati guidati da docenti del CTP, operatori del San Bartolo e da archeologi del Museo e del GAF. Nel frattempo è proseguita la frequentazione del Museo archeologico nazionale, con momenti di incontro con il personale e verifica del lavoro svolto. Di questa esperienza, per molti versi unica nel suo genere, si parlerà anche nel convegno "La dimensione creativa nella riabilitazione psichiatrica", che si terrà a Ferrara il 30 ottobre 2009 nell'ambito delle manifestazioni dell'"Unifestival".

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