Rivista "IBC" XVIII, 2010, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / inchieste e interviste, leggi e politiche

La parola ad Alberto Ronchi, assessore regionale alla cultura, al termine dei suoi cinque anni di mandato.
Mostriamo la continuità

Valeria Cicala
[IBC]
Vittorio Ferorelli
[IBC]

Per il n. 1-2007 di "IBC" avevamo intervistato l'assessore regionale alla cultura dopo i primi due anni di mandato.1 Lo scorso febbraio ci siamo rimessi intorno al tavolo di lavoro di Alberto Ronchi per raccogliere le sue considerazioni alla fine di una legislatura che lo ha visto fortemente impegnato e presente sul territorio. Il suo modus operandi, sempre molto diretto e concreto, ha suscitato, in questi anni, attenzione e apprezzamento esplicito in molti di coloro che operano nel mondo della cultura. E non sono pochi quelli che sarebbero soddisfatti di riaverlo come interlocutore nel prossimo quinquennio.


Guardando lo stato attuale del tessuto culturale emiliano e romagnolo, quali sono le prime considerazioni che trae dal lavoro svolto dal 2005 a oggi?

Ho avuto la fortuna di lavorare in una regione ricca di risorse e di creatività locali. La Regione, insieme alle istituzioni, ha cercato di rafforzare la concertazione e di utilizzare le differenti realtà come punti di forza. Si sono date delle linee di indirizzo, degli strumenti da applicare. Di leggi ne bastano poche, ma è necessario che siano chiare. Guardando a questi anni, direi che non sono mancati risultati positivi e riconosciuti, che considero frutto di un lavoro di squadra, di competenze diffuse all'interno dell'assessorato. Sono convinto che la cultura abbia bisogno di tempo: si deve imparare a lavorare in prospettiva. I problemi cominciano quando la voglia di lasciare un segno porta a iniziative estemporanee. La cultura è una realtà in continuo movimento: per questo una politica veramente utile deve sapere reimpostare i processi, ragionando di continuo. Ci sono delle priorità, non c'è dubbio, e siamo in un'epoca di risorse scarse, ma per la cultura si deve compiere uno sforzo maggiore. E non per astratti motivi ideali, ma perché questa è una prerogativa irrinunciabile per la coesione delle comunità. La Regione e gli enti locali devono esserne consapevoli: le altre realtà si costruiscono a partire dalla cultura.


Una legislatura difficile, quella che si conclude, proprio per la profonda crisi economica che ha coinvolto anche l'Emilia-Romagna. Sebbene in questi anni l'Istituto per i beni culturali abbia potuto contare su un budget costante e non decurtato, in che modo la crisi ha toccato biblioteche, archivi e musei?

Sono proprio questi gli ambiti in cui è assolutamente necessario investire, portando avanti un progetto comune che rispetti le peculiarità. Le biblioteche costituiscono un presidio culturale, l'unico nei piccoli centri; è un sistema diffuso su tutto il territorio, ma va ulteriormente rinnovato, non solo difeso, e ciò comporta una maggiore consapevolezza politica. Anche il settore dei musei, in questi anni, ha fatto passi in avanti: la creazione degli standard di qualità e il recente riconoscimento dei musei che a essi corrispondono, individuati da un marchio distintivo, ha richiesto lo sviluppo di modelli flessibili, attenti alle esigenze e ai parametri che questi luoghi devono soddisfare se si vuole che le comunità si riconoscano nel loro patrimonio. Da questo punto di vista l'IBC ha svolto un ruolo molto importante nel mettere in pratica gli indirizzi regionali, con un impegno che ha coinvolto per anni tutto il territorio e un dialogo che ha interessato gli enti locali, gli amministratori e gli operatori culturali, per giungere a soluzioni rispettose delle differenti identità. Per la conoscenza della memoria storica, molto si è fatto pure nel settore degli archivi. Anche in questo caso, la centralità di un archivio rispecchia quella della comunità che si racconta attraverso i suoi documenti. Gli archivi richiedono più che mai risorse: sono spesso conservati in luoghi non idonei e invece la profonda competenza degli addetti ai lavori merita di essere corroborata da strumenti e logistiche adeguati. Certo, in un Paese che taglia sistematicamente le risorse destinate alla cultura diviene imbarazzante parlare di investimenti. Ma il punto è che, se si penalizza la cultura, si azzerano anche le altre politiche.


Che idea si è fatto dell'offerta culturale nella nostra regione?

Mi sembra fondamentale che questa offerta sia differenziata e che tenga conto di espressioni diverse. Purtroppo in Italia prevale il conformismo culturale e questa deriva non è da imputare solo al pubblico, ma al tipo di offerta, modulata quasi del tutto sulla televisione. Deve crescere l'attenzione ad altri linguaggi, alle esigenze di una componente non così minoritaria di persone: quelle che chiedono e che realizzano novità. Noi ci siamo mossi in questa direzione e abbiamo avuto dei risultati. Il pubblico vuole misurarsi su altri tipi di linguaggi, soprattutto quelli che esprimono il nostro tempo: magari per capire anche il passato, ma legandolo all'oggi. Penso che musei, biblioteche e archivi, senza tradire le loro vocazioni di base, possano essere correlati e contaminati dalla contemporaneità: i percorsi della conservazione si incontrano, si compenetrano con le nuove proposte. È la pluralità dei linguaggi culturali che dobbiamo aver sempre presente ed è la capacità di intrecciarli che dobbiamo incoraggiare. In prospettiva mi sembra più proficuo avere musei, biblioteche e archivi che offrano servizi e iniziative al pubblico, che siano luoghi vivi, anche di sperimentazione, piuttosto che investire in nuovi festival. Quest'ultima moda ha fatto proliferare iniziative che, quando va bene, riempiono le piazze per un momento, ma non è che questo significhi necessariamente fare cultura.


Tra gli ultimi risultati di questa legislatura c'è l'accordo siglato tra Regione, fondazioni bancarie e Ministero per i beni e le attività culturali, per il recupero e la valorizzazione di alcuni siti. Quali sono gli aspetti più notevoli di questo nuovo protocollo?

È un accordo molto importante. Grazie ad alcuni uomini di buona volontà, abbiamo lanciato un progetto che potrebbe essere un modello per tutto il Paese. Lo Stato non può legiferare a prescindere dagli enti locali e dalle regioni, è indispensabile una concertazione. In questo caso, di fronte a una difficoltà oggettiva sul piano finanziario, anziché disperdere le risorse si è costruito un accordo in cui ciascuno, per la sua parte, ha messo delle risorse per rilanciare la salvaguardia e la successiva valorizzazione di parti importanti del nostro patrimonio. Per quanto riguarda gli interventi sul territorio, abbiamo guardato ai progetti più avanzati e alle situazioni più delicate. Ciò che maggiormente apprezzo di questo progetto, proprio per come concepisco l'attenzione al patrimonio regionale, è che la programmazione tiene conto di tutto il territorio, non solo dei luoghi importanti, dei capoluoghi, ma delle realtà diffuse. Per esempio Tredozio, un luogo straordinario, vicino al Parco delle Foreste Casentinesi, un posto che probabilmente, con politiche culturali e turistiche meno usa-e-getta, potrebbe divenire assai importante per la qualità dell'offerta. Un'altra realtà eccezionale interessata dagli interventi è il palazzo ducale di Sassuolo; vive fortissime difficoltà, anche rispetto alla comunità in cui è inserito, e ha un numero di visitatori davvero esiguo rispetto a ciò che propone: paradossalmente, se fosse nel Montana, ci sarebbe la fila fino al Texas per visitarlo! Sono consapevole che quando si parla di conservazione e di valorizzazione ci deve essere equilibrio tra l'utilizzo del bene culturale e il suo mantenimento, e tuttavia non è ammissibile una gestione quasi privatistica.


Musica, teatro, cinema: ancora qualche riflessione su questi segmenti tanto vitali nella nostra regione...

Mi sembra di poter dire che sul contemporaneo abbiamo costruito un modello, dando spazio in modo incisivo al Novecento e al nostro tempo. Nei teatri la musica classica ha intrecciato i suoi percorsi con altre forme: penso al Comunale di Bologna, al programma che ha elaborato per quest'anno. È un lavoro che guarda al futuro, intanto però è stato fondamentale costruire modelli che permettono una rete di interventi diversi, ma correlati: dal jazz al blues, dal rock alla musica contemporanea, portando in regione nomi di altissimo livello internazionale. Nell'ambito del teatro di prosa ritengo che il risultato più eclatante riguardi la programmazione triennale che abbiamo realizzato per il festival di Santarcangelo. Qui abbiamo riunito le tre compagnie più prestigiose che esistono in regione: Socìetas Raffaello Sanzio, Motus e Teatro delle Albe, un biglietto da visita davvero importante per l'Emilia-Romagna in giro per il mondo. L'attività di queste compagnie porta in Italia un modello europeo e ci permette di alimentare il mercato interno con le sue eccellenze: il mio sogno è che nei nostri teatri di prosa ci sia almeno un loro spettacolo per ogni stagione. Risultati importanti, seppure con poche risorse, li raccogliamo anche nell'ambito della danza, dove c'è una tradizione nutrita dall'ATER Balletto ma anche dall'attenzione a nuove compagnie. Sul versante del cinema abbiamo ottenuto risultati importanti nel settore dell'animazione e dei documentari, spesso trascurati nel nostro Paese.

In prospettiva si deve ragionare su modelli diversi e unire le forze. Una componente su cui bisogna lavorare nella prossima legislatura è quella delle "partecipate": Fondazione Toscanini, ATER - Associazione teatrale Emilia Romagna, ERT - Emilia Romagna Teatro. Hanno problematiche e politiche diverse, ma un tema comune c'è e a partire da questo vanno aggiornate con una riforma. Una riforma condivisa, cauta, frutto di una riflessione intelligente per mettere meglio a sistema le risorse da impiegare. Questa regione lavora sulla differenziazione dell'offerta, proprio per la pluralità delle risorse artistiche di cui dispone. Non possiamo investire su un solo segmento, non siamo un territorio monotematico, e facciamo attenzione a non scivolare su interventi paraturistici: che senso ha, per esempio, dare contributi perché i nostri luoghi divengano locations per una fiction? Non serve questo tipo di esborsi per attirare l'attenzione sul nostro patrimonio. Serve lavorare su progetti innovativi, obiettivi precisi. Mettiamo insieme forze e risorse che costituiscano una massa critica. La priorità deve essere questa. E poi percepire la mobilità continua della cultura.


Nota

(1) V.Cicala, V. Ferorelli, Mettere in valore, "IBC", XV, 2007, 1, pp. 6-7.

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