Rivista "IBC" XVIII, 2010, 1
mostre e rassegne, storie e personaggi
"Questa illustre Madonna... simbolo della virtù che rifulge contro la ferocia armata dei maschi", come scrisse Niccolò Machiavelli, fu Caterina Sforza. Nata a Milano nel 1463 e morta a Firenze nel 1509, moglie di Girolamo Riario e signora di Forlì e di Imola, figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, la "Leonessa di Romagna" crebbe alla raffinatissima corte milanese: umanista, dedita all'alchimia, gran cacciatrice, questa nobile dama ritratta tra le Cariti nella Primavera del Botticelli si dimostrò all'altezza della sua famiglia, una stirpe di condottieri. Più di Venere, infatti, fu Minerva il nume tutelare di Caterina, che ereditò dal padre l'attitudine per il comando e l'abilità guerresca, e il "mestiere delle armi" passò come un marchio dinastico a Giovanni dalle Bande Nere, il figlio avuto con Giovanni de' Medici.
"Ella era grande, complessa, bella faccia, parlava poco... a pie' o a cavallo era temuta assai perché questa donna mai conobbe paura". La costruzione storica del suo personaggio cominciò con il De claris selectisque mulieribus di Jacobus Foresti (1497), ispirato al De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio; su di lei scrissero Bartolomeo Cerretani, Antonio da Pistoia, Marsilio Compagnon, e Nicolò Machiavelli la ricordò nel trattato Dell'Arte della guerra. "Crudelissima, quasi una virago", in molti casi spietata, Caterina si dimostrò una stratega abile e seppe governare la Romagna con pugno di ferro.
Non le mancò il coraggio, e la sua fermezza di fronte al Valentino, sugli spalti della rocca di Forlì (1499), colpì persino Antonio Gramsci: "quando il duca Valentino volle [...] costringere la donna alla resa, applicò alle macchine d'assedio i figli di lei. Ma Caterina di sopra alle mure assistè impassibile allo strazio delle sue creature, e al duca che irrideva beffardo, ella, la madre, con una mossa violenta scoprì gli organi del sesso, dicendo che finché lei era viva non doveva il nemico menare trionfo, perché chi aveva dato alla luce quei giovani, altri ne poteva creare". Questo gesto, antichissimo ma per certi aspetti anche attuale, sembrò allo storico il simbolo del "proletariato internazionalista" e un'immagine antropomorfica della "verità" della Storia, da opporre alla figura "oleografica" dell'Italia con il capo coronato di torri e il peplo classico. Così, nelle Cronache Torinesi (1916), la "forte e astuta" donna diventò la "Matrice", la madre del "nuovo Principe".
Nel cinquecentenario della morte di questa femmina furibonda (che con la sua personalità contraddisse quanti la celebrarono, in vita, per le mani morbide "come uno zibellino": che lo fossero davvero è una possibilità piuttosto remota...), Forlì le ha dedicato un'esposizione allestita in Palazzo Albertini: "Questa illustre Madonna... la creazione di un mito", dal 30 ottobre 2009 al 28 febbraio 2010. La mostra, a cura di Luciana Prati e di Sergio Spada, ha seguito a ruota "Madonna è in Rocca" (10 luglio - 31 ottobre 2009), organizzata anche in occasione dei restauri della Rocca di Ravaldino (www.caterinasforza.com).
Di scena, a Forlì, è stato il mito di Caterina, una leggenda che la riguardò mentre era ancora in vita e che qui si è ricostruita nel continuum dei rimandi tra l'idealità e la realtà del ritratto. Quadri, documenti, testimonianze autografe e biografiche ci raccontano oggi la "Signora di Romagna"; ma anche le armature, compresa quella del Museo civico medioevale di Bologna, ritenuta di Caterina, e i costumi provenienti dalla cinematografia. Una mostra densa, che ricostruisce uno spaccato importantissimo per la storiografia romagnola e anche per una storia "al femminile". Si può rimpiangere solo la mancanza di un catalogo a stampa per documentare l'esposizione.
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