Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3

musei e beni culturali / itinerari, storie e personaggi

Dai musei di Almaty e Samarcanda, scorrendo nomi misteriosi sulle carte, si parte per un viaggio che dal Mediterraneo porta fino alla Cina e all'India, lungo le antiche rotte carovaniere.
Sulle mappe della Seta

Alessandro Califano
[Centro ricerca e documentazione arti visive, Roma]

Due carte geografiche, esposte nel Museo centrale di Stato di Almaty, in Kazakhstan, illustrano approfonditamente "le" Vie della Seta: la prima riporta la rete viaria esistente già tra VIII e IX secolo, la seconda quella che perdurava tra X e XII secolo. Nella prima carta si mostra l'intrico di vie che da Hamadan, in Persia, si univano, a ovest del Caspio, in un doppio percorso - triplo, anzi, se si considera pure quello lungo la costa occidentale del Caspio, fino al porto di Abaskun - che proseguiva poi in direzione nord-est verso Urgench, nel Khorezm (non lontano dall'odierna, omonima città uzbeca).

Qui giungevano altre due vie più settentrionali. La prima, partendo da Hil, prevedeva il passaggio del Mar Caspio e poi la prosecuzione via terra, mentre la seconda si stendeva tutta sulla terraferma, partendo da Bolğar, a oriente dei grandi laghi del Volga. Un'altra strada passava poi a nord del lago Aral, giungendo fino a Chach, l'odierna Tashkent, provenendo da Atil, importante snodo commerciale e capitale del Khanato dei Cazari tra l'VIII e la fine del X secolo, oppure deviava da Atil verso sud, a ovest del Caspio, fino a ricongiungersi al percorso meridionale per Nishapur e Merv. Qui, a Merv (oggi Mary, in Turkmenistan), si proseguiva in direzione nord-est verso Amul - da cui ha preso nome il fiume Amu Darya, l'Oxus dell'età classica; oggi è la città di Turkmenabat, in Turkmenistan - oppure verso nord, lungo una diramazione della via che da Bolğar scendeva poi, via Kiyat e Urgench, fino ad Amul.

Sempre a Merv, si poteva poi piegare verso sud, raggiungendo l'altro grande asse viario che, partendo a oriente di Herat, si dipanava in direzione sud-ovest/nord-est. Di qui si giungeva quindi a Balkh (nell'Afghanistan settentrionale), dove una diramazione consentiva di dirigersi verso sud-est, oppure di proseguire lungo il percorso principale, verso oriente, giungendo fino all'odierna Termez, sull'Amu Darya. Nel primo caso ci si poteva addentrare per almeno due vie attraverso la catena dell'Hindukush, verso l'attuale Hazarajat e l'antico centro di Bamyan, o verso la piana di Kabul, proseguendo poi verso la valle dell'Indo. Nel secondo caso ci si ricongiungeva invece alla via che aveva portato a Termez da Amul, in direzione sud-est, e si proseguiva quindi - passando a breve distanza da Panjakent, nell'attuale Tajikistan - per il Pamir, scendendo poi fino a Kashgar.

Da Amul, invece, oltre ad avviarsi lungo i percorsi che la congiungevano a Urgench, a Merv, o a Termez, la carovaniera proseguiva anche verso Bukhara e Samarcanda. A Samarcanda si avevano due alternative: proseguire per la via meridionale, via Panjakent, Khodjent e Uzgent fino a Kashgar, oppure seguire la via settentrionale, che passava per Chach (dove giungeva la diramazione via terra da Hil, che a sua volta aveva precedentemente incrociato, molto più a ovest, poco prima del lago Aral, la carovaniera Urgench-Bolğar), proseguendo poi per Taraz, Merki e Balasagun (quest'ultima, nell'attuale Kirghizistan, si trovava a ottanta chilometri dall'attuale capitale, Bishkek).

Qui a Balasagun, presso la torre di Burana - uno dei pochi monumenti rimasti dell'antica città della Sogdiana - vi era un'altra triplice possibilità di scelta. Si poteva far rotta verso nord-est, in direzione della Mongolia. Oppure si poteva attraversare la catena dei Tien Shan lungo la via che da Bishkek passa lungo il lato sud-ovest del lago Issyk Kul, scendere verso Aksu e immettersi nella via settentrionale che da Kashgar aggirava da nord il Taklamakan, nel bacino del Tarim, costeggiando il versante meridionale dei Tien Shan fino a raggiungere Kucha e Turfan. Infine si poteva proseguire in direzione est/nord-est, costeggiando il versante settentrionale dei Tien Shan, passando per Almaty e la Zungaria, e giungere a Turfan anche per questa via. Da Kashgar vi era inoltre il percorso meridionale, che aggirava il deserto del Taklamakan da sud e, passando per Jarkent e Khotan, giungeva a sua volta in Cina, ricongiungendosi presso Ürümqi con la via settentrionale per Turfan.

La seconda carta esposta al Museo di Almaty illustra in maggior dettaglio l'area che si stende a est del fiume Syr Darya e a nord del massiccio dell'Altai tra il secolo X e la fine del XII, poco prima che l'arrivo dei mongoli di Gengis Khan ridisegni buona parte della geografia urbana dell'Asia Centrale. L'impianto viario rimane grossomodo lo stesso, ma Taraz, posta a ovest di Almaty, già centro nevralgico dei commerci est-ovest lungo uno degli assi principali della Via della Seta, ora appare al centro di almeno altre cinque diramazioni stradali che dal tronco principale del percorso (proveniente da Chach e diretto verso oriente) si estendono, con maggiore o minore rilievo, in varie direzioni. Già in precedenza, però, la vasta area delle pendici settentrionali dei Tien Shan, ai confini del Kazakhstan meridionale, lungo l'odierna strada verso il Kirghizistan e oltre, aveva visto addensarsi una fitta trama di collegamenti, come attestano i giacimenti di petroglifi ritrovati nella zona. Parlando di quest'area un uno studio del 2005, Renato Sala e Jeanmarc Deom sottolineano che uno dei fattori chiave per la localizzazione dei giacimenti di petroglifi è la presenza di oasi, presupposti favorevoli allo sviluppo di vie di comunicazione regionali o interregionali.1

Nel Kazakhstan meridionale, proseguono gli autori dello studio, oltre alla regione pedemontana dei Tien Shan, "i principali percorsi interregionali consistono in tre raggruppamenti di oasi collinari allineate tra loro: la catena del Karatau [...] costituisce l'unico corridoio verde tra il bacino idrografico del Syr Darya e i territori che precedono gli Urali; la catena dei Chu-Ili [...] costituisce un ponte verde tra le valli del Chu e del Ferghana, a sud, e i territori del Kazakhstan centro-orientale e la Siberia meridionale a nord; mentre le regioni pedemontane della Zungaria [...] offrono una serie di oasi collinari a est del fiume Ili, che collegano il Kazakhstan sudorientale alla Zungaria, al bacino settentrionale del Tarim e alle regioni altaiche". Non ci si può dunque stupire che siti e traffici, presenti lungo percorsi sempre uguali, si susseguano sin dalla tarda Età del Bronzo.

Vadime Elisseeff osserva che, comunque venissero chiamate, le principali vie erano note all'umanità da millenni. "La maggior parte di esse" - sostiene Elisseeff - "discendevano da quei percorsi naturali che seguivano schemi di vegetazione le cui particolarità ecologiche avevano consentito la prosperità agli esseri umani e animali sin dai tempi dei cacciatori dell'era paleolitica".2 Mettendo in contatto tra loro popolazioni nomadi e sedentarie, sin dal Neolitico queste vie consentirono scambi tra le culture dell'Occidente e dell'Oriente, tra la Mesopotamia, la Cina e l'India. I commerci, sottolinea ancora Elisseeff, andavano in ogni direzione, attraversando il Pamir, sempre passando per le oasi. Possiamo dunque dire che la Via della Seta, e le sue innumerevoli varianti di percorso, fosse stata tracciata e fosse ben vitale assai prima che la seta stessa divenisse oggetto di scambio. Come osserva Elisseeff, le testimonianze dello scambio di oggetti in lapislazzuli, giada, bronzo e ferro ce ne offrono un'ampia testimonianza.

In un affascinante libro del 1995, Daniel Taylor-Ide descrive un'area molto circoscritta, quella delle alte valli del Barun e del Sadima, a oriente dell'Everest, nel Nord-Est nepalese, dove si trae qualche profitto illegale trasportando merci tra il Nepal e la Cina: "pentole e tegami di fabbricazione indiana, spezie e generi alimentari prodotti nei caldi bassopiani e, persino, pelli di bufalo". Al ritorno, "i contrabbandieri portano prodotti industriali cinesi di alta qualità, scarpe da ginnastica, vestiti, tazze di porcellana, registratori e detersivi, oltre a merci poco costose dal Tibet, come tè, grembiuli femminili tessuti in casa, carne secca, formaggio e yak per la riproduzione". Per avere successo in questo tipo di commerci, spiega Taylor-Ide, non basta superare clandestinamente i passi portando con sé delle merci convenienti: "Il contrabbando fortunato è una combinazione di rapporti, a cominciare da fornitori fidati con la bocca chiusa, per finire a compratori rapidi e con la bocca chiusa: niente domande, pagamenti sull'unghia".

Poi, naturalmente, il successo dell'impresa dipende anche dalla conoscenza di una via sicura: "L'Himalaya è il più feroce steccato della terra, una barriera di roccia e di ghiaccio, pattugliata con relativa facilità ai passi e nelle gole. Sia le nuvole di pioggia, sia il legittimo traffico a piedi, da lungo tempo seguono l'Arun Gorge. Più antico delle montagne che ancora si sollevano, l'Arun ha ospitato un grande traffico per molti secoli". Strade simili furono seguite sette secoli fa da Marco Polo e, prima ancora di lui, dai pellegrini cinesi alla ricerca dei testi buddhisti. Ma anche oggi il procedimento è più o meno simile e segue il metodo che vale per ogni transumanza periodica, anche al di là delle regioni centroasiatiche: "Le piste nell'Himalaya" - scrive Taylor-Ide - "sono curate da tutti coloro che vi passano. Ogni pastore, mentre cammina dietro i suoi animali, riempie le buche, spostando le pietre, così da costruire una scala per la prossima fila di animali che passeranno di lì, mettendo i pali lungo il bordo in modo che le bestie non prestino troppa attenzione al precipizio. Persino i contrabbandieri... lavorano sulle piste".3

Il Museo statale di Afrasiab, a Samarcanda, sorge tra gli alberi, ai piedi della brulla collina dove un tempo sorgeva l'antica omonima città, conquistata da Alessandro Magno. Il pezzo forte è il ciclo di affreschi, scoperto nel corso dei lavori di sbancamento della strada per Tashkent, poco distante da qui. Risale alla seconda metà del VII secolo dopo Cristo e proviene forse dall'abitazione di re Varkhuman, appartenente alla casata sogdiana che regnò fino a poco prima dell'arrivo degli Arabi, giunti ad Afrasiab-Samarcanda nel 712. Raffigura una missione di ambasciatori in visita allo stesso Varkhuman.

Il museo ha ricostruito al piano terra la grande sala affrescata, disponendovi tutto attorno gli affreschi salvati (la cui parte superiore è danneggiata dalla ruspa che effettuò la scoperta, nel 1965). Quando la visitai, mancava la luce, e la ricostruzione ambientale era appena visibile allo scarso chiarore filtrante dall'atrio. Ma questo, in fondo, insieme alla suggestione degli splendidi affreschi e alle ricostruzioni a china sui pannelli esplicativi, contribuiva a ricreare quell'atmosfera di antico mistero di una missione diplomatica di oltre tredici secoli fa. Una missione che si era avventurata lungo gli stessi percorsi che oggi percorriamo, nella regione delle Vie della Seta.


Note

(1) R. Sala, J. Deom, Petroglyphs of South Kazakhstan, Almaty, Lab of Geoarchaeology, 2005 (estratti, immagini e mappe sono pubblicati sul sito: www.lgakz.org/Publications/Publications.html).

(2) V. Elisseeff, Introduction. Approaches Old and New to the Silk Roads, in The Silk Roads. Highways of Culture and Commerce, edited by V. Elisseeff, Oxford - New York, Berghahn Books - UNESCO Publishing, 2000, p. 2.

(3) D. Taylor-Ide, Sulle orme dello Yeti. Tra Nepal e Tibet, giungla e nevi eterne, una vita all'inseguimento di una leggenda, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 2000, pp. 365-367.

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