Rivista "IBC" XIX, 2011, 2

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Nella letteratura cosiddetta "per l'infanzia" si annidano alcuni dei libri fondamentali per capire le vicende dell'Italia unita. Parola di Antonio Faeti...
Sillabario e baionetta

Loretta Righetti
[Istituzione Biblioteca Malatestiana, Cesena]

"La spada di Domokos" è il titolo dell'esposizione curata da Antonio Faeti per indagare sui temi del Risorgimento e dell'Unità d'Italia nel mondo del fumetto e dell'illustrazione per l'infanzia (il catalogo è edito dalla Bononia University Press). La mostra nasce dalla collaborazione tra le biblioteche comunali Salaborsa di Bologna (17 marzo - 15 aprile 2011), Casa Piani - Sezione ragazzi di Imola (4 novembre 2011 - 5 gennaio 2012), Malatestiana di Cesena (le date di allestimento sono in via di definizione). Per invitare alla visita pubblichiamo il resoconto di un ciclo di conferenze tenute tra ottobre 2010 e gennaio 2011, presso la Biblioteca Malatestiana, da Antonio Faeti, già docente di Storia della letteratura per l'infanzia all'Università di Bologna.


Per ricordare i 150 anni dell'Unità nazionale, la Biblioteca Malatestiana di Cesena ha avviato nello scorso autunno una serie di appuntamenti culturali dedicati alla letteratura per l'infanzia che, forse più di quella per gli adulti, fu chiamata a contribuire alla formazione del cittadino dell'Italia unita. In quegli anni la produzione libraria italiana contava principalmente su due poli editoriali: Firenze per l'editoria scolastica e per ragazzi, sospesa fra educatori illuminati e scrittori appassionati come Ida Baccini, Carlo Collodi, Emma Perodi, Vamba e altri; Milano per la produzione dei grandi romanzi e della manualistica. Celebrare i 150 anni d'Italia attraverso la letteratura per ragazzi, definita spesso la "grande esclusa", ha rappresentato per Antonio Faeti una scelta significativa e stimolante: se non saremo capaci di "scendere in cantina" come Sussi e Biribissi - ha dichiarato il celebre studioso - non sapremo certo ritrovare e riconoscere le radici della nostra storia.

Pinocchio, Cuore e Gian Burrasca, i capolavori letterari di un periodo cruciale della nostra storia, sono stati i titoli scelti e "interpretati" in maniera impeccabile da Faeti: fra il 1881 e il 1883 comparvero le vicende del burattino; nel 1886 uscì il libro più famoso di De Amicis e nel 1907 Il giornalino di Vamba. La personalissima antologia faetiana, composta con i brani tratti dai libri degli autori presentati, ma anche con decine di pagine scelte da titoli "paralleli", che a tali autori afferivano o dagli stessi scaturivano, ha accompagnato piacevolmente ed efficacemente i tre affollatissimi appuntamenti cesenati.


I primi due capitoli della Storia di un burattino apparvero nel luglio del 1881, sul numero d'esordio del "Giornale per i bambini", supplemento del "Fanfulla", diretto da Ferdinando Martini. Dopo quindici puntate la storia terminava inaspettatamente, con un finale tremendo: Pinocchio impiccato su un ramo della Quercia Grande! Spinto forse dallo stesso Ferdinando Martini, figura eminente della nuova Italia, parlamentare e futuro ministro della Pubblica Istruzione, Collodi - che dopo le prime puntate gli aveva scritto il noto biglietto: "Ti mando questa bambinata... fanne quello che vuoi, ma se la pubblichi, pagamela bene per invogliarmi a seguitarla" - non poteva lasciare nel più nero sconforto il pubblico dei piccoli lettori. Così, adeguatamente "accontentato" dall'editore, nel febbraio del 1882 riprese la storia.

Il disegno che apriva le nuove storie del burattino venne realizzato da Ugo Fleres: Pinocchio vi compariva legnosissimo e geometrico, con la corda al collo e pendente da una specie di lampione. Quando dalle pagine del "Giornale" Le avventure migrarono nei volumi della Libreria editrice Felice Paggi (nel febbraio 1883), le illustrazioni diventarono un elemento molto importante. Il primo illustratore di Pinocchio fu Enrico Mazzanti (amico di Collodi e ingegnere edile al servizio del Comune di Firenze), seguito da Giuseppe Magni e poi da Carlo Chiostri, che firmò la prima edizione Bemporad (1901). Col nuovo editore anche Pinocchio vide rinnovata la sua immagine: dal tratto severo di Chiostri si passò ai colori e alla lucentezza del "fastoso" Attilio Mussino.

Antonio Faeti ha ricordato che Collodi, tipica personalità del "mai contento", era uno scrittore profondamente colto, come palesemente confermano le radici raffinatissime del Pinocchio. Per cominciare, il Cunto di Giambattista Basile (per Faeti "Pinocchio è una costola del Cunto"), poi i Contes di Perrault, che Collodi tradusse mirabilmente in toscano: ai tempi di Firenze capitale d'Italia, si aggirava per la città esclamando con caustica ironia: "Quanti sono i fiorentini? Sono tre come i bottoni del mio gilè!". A seguire, il capolavoro settecentesco Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Laurence Sterne, soprattutto per la peculiare tecnica della digressione, perché anche Collodi, all'interno della trama narrativa delle Avventure di Pinocchio, apre parentesi su parentesi e ci presenta più volte un Pinocchio che ripete promesse e propositi: non ruberò più, vorrò sempre bene al mio babbo, andrò a scuola... Quest'ultimo aspetto richiama da vicino anche la maschera di Stenterello, con le sue lagne reiterate, ma c'è anche un'altra marionetta del teatro popolare che ben figura accanto a Pinocchio: quella del celebre Fagiolino, o meglio "Faggiolino", dal faggio di cui è fatto il bastone che la marionetta brandisce di continuo, come ha precisato Faeti.

Nel capolavoro collodiano hanno grande rilievo anche aspetti ed elementi dal sapore noir o gotico: la terribile notte in cui il burattino si brucia i piedi, che dobbiamo leggere come "notte infernale" e non "invernale" come appare nel testo; l'episodio del cimitero, dove Pinocchio, pur non sapendo leggere, legge benissimo la lapide della fatina; lo scavo nel Campo dei miracoli o l'immagine del bambino morto in riva al mare... Ma il personaggio più oscuro e malvagio resta l'Omino di burro, il vetturino che "non dorme mai" e porta i bambini nel Paese dei balocchi, colui che per il cardinale Giacomo Biffi è "la rappresentazione letteraria più alta del diavolo". Intuizione che Faeti condivide pienamente e che rintraccia anche nel sommo Bernanos di Sotto il sole di Satana.


Il maestro e la tromba della Cernaia, ovvero: la vita di Edmondo De Amicis, che fu tutt'uno con i suoi scritti. Fu un grande scrittore, felicissimo nella narrazione giornalistica, come confermano gli efficaci e precisi reportage di viaggio: quelli dedicati alla Spagna (1873), all'Olanda (1874), al Marocco (1876) e a Costantinopoli (1878). Importanti anche i romanzi di indagine sociale, come il Romanzo di un maestro (1890), La carrozza di tutti (1899) e Sull'oceano (1899), scaturito dal suo viaggio in Argentina e imperniato sulle misere condizioni degli emigranti italiani; e quelli di passione civile come Primo maggio, uscito postumo. Con L'idioma gentile (1905) - per Faeti "libro di notevolissima e altissima fattura, patriottico nella grammatica" - De Amicis intervenne sulla questione della lingua, aderendo a un ideale di prosa "moderna e perfettamente italiana", sul modello manzoniano.

Determinante per la carriera dello scrittore fu l'incontro con Treves, editore colto, sapiente e lungimirante, che "inventò" per Edmondo la professione di scrittore di reportage e lo inviò "sul campo". Tutt'altro che l'"Edmondo dei languori" di crociana memoria, Faeti vede in De Amicis il "cronista della filosofia sociale", che ritroveremo negli scrittori americani Dos Passos, Steinbeck ed Hemingway. Cuore e il Romanzo di un maestro completano la seconda fase dell'evoluzione deamicisiana: Cuore sollecita la nuova nazione a elevare i ceti inferiori attraverso la scuola per tutti e la media e piccola borghesia verso un ideale di rispetto delle classi lavoratrici. Il Romanzo di un maestro ricorda a sua volta che non si fa la nazione senza la scuola; ma la scuola non serve se i maestri non vengono sottratti alla miseria e all'arbitrio dei sindaci e degli assessori comunali.

Allora lo Stato unitario non si era ancora dotato di un sistema scolastico unico e scaricava sui comuni i costi e le responsabilità della scuola; comuni che spesso non avevano nessuna disponibilità economica. Le maestre e i maestri si trasferivano nei vari paesi alla diretta dipendenza del sindaco o degli assessori, così come fece la maestra comunale Angela Lariani, di cui De Amicis narra la storia: "[...] era stata oggetto d'una ferocissima persecuzione da parte d'un signorotto campagnuolo, assessore comunale e tirannucolo dei dintorni; il quale, offeso a sangue dalle sue ripulse sdegnose e dalla manifestazione pubblica del suo disprezzo, l'aveva calunniata, diffamata, torturata, fatta sospender dalla scuola e dallo stipendio, e ridotta alla miseria e alla disperazione".

Sembra una tipica storia da romanzo d'appendice, ma la vicenda della maestra perseguitata e suicida è una storia vera, uno specchio dei tempi. Se c'è una differenza, è che De Amicis ci mette il lieto fine, mentre nella realtà la maestra non fu salvata. Si chiamava Italia Donati e nel 1883 era stata nominata maestra in una frazione di Lamporecchio (Pistoia). Fu costretta dal sindaco a vivere vicino alla sua villa. Calunniata da costui, a cui aveva osato resistere, e disonorata dalla conseguente inchiesta ministeriale, Italia Donati si suicidò nel giugno del 1886, lasciando disposizioni perché il suo corpo venisse ispezionato e si accertasse la sua illibatezza. La sua storia è stata narrata nel romanzo di Elena Gianini Belotti Prima della quiete, riedito di recente nella Biblioteca universale Rizzoli.


Giannino è "il terribile cognato dell'avvocato Maralli", il socialista menzognero che sposa in chiesa una delle belle sorelle Stoppani, ma sostiene di non averlo mai fatto per ottenere i voti dei suoi compagni di partito, doverosamente atei e mangiapreti. Il ragazzino "terribile" di Vamba, alla fine delle sue esilaranti e "devastanti" avventure, lascia incompiuto il suo diario e di fatto scompare, un po' come se entrasse in clandestinità, come un carbonaro del Risorgimento, come l'ultimo cospiratore che non tollera più l'ipocrisia e la menzogna.

Il Gian Burrasca compie cento anni, ma per Antonio Faeti la conferenza cesenate è divenuta un'occasione irresistibile per parlare del "Giornalino della Domenica" di Vamba, che rappresentò una pubblicazione unica e irripetibile nella storia del giornalismo per l'infanzia e la gioventù. Quello del "Giornalino" era un mondo a parte, un pianetino come quello del Piccolo Principe: un Altrove, un "territorio separato", dove i bambini si chiamavano Grilli e le bambine Mezze-Signorine. Fra i numerosi e prestigiosi collaboratori del periodico, il professore ha ricordato in particolare Vittorio ed Emma Corcos, Giovanni Pascoli, Ermenegildo Pistelli, Giuseppe Fanciulli e Giulio Gianelli.

Testimoni pedagogici di un'Italia piena di sopite inquietudini, così intense da manifestarsi ancora tra noi, il "Giornalino della Domenica" e il Giornalino di Giannino Stoppani ci parlano di dubbi, di sofferenze, di occasioni perdute. "Un tempo la letteratura per l'infanzia aveva molti segreti da comunicare: dovremmo imparare a decifrare quelli di oggi".

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