Rivista "IBC" XIX, 2011, 3

Dossier: Lo scaffale dei sapori

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Il gusto sullo scaffale

Tullio Gregory
[docente emerito di Storia della filosofia all'Università "La Sapienza" di Roma]

Il testo è tratto dal volume: Lo scaffale del gusto. Guida alla formazione di una raccolta di gastronomia italiana (1891-2011) per le biblioteche, di Rino Pensato e Antonio Tolo, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali - Editrice Compositori, 2011 ("ERBA - Emilia Romagna Biblioteche Archivi", 74), pp. 21-23.


Molto si è autorevolmente scritto, anche nei saggi introduttivi di questa guida, sull'importanza delle pratiche gastronomiche e conviviali nella storia delle civiltà: non solo per la cosiddetta storia materiale (che anche nel nostro caso propriamente non esiste, essendo sempre l'intelligenza dell'uomo a dare significato ai cibi e ai modi di consumarli), ma per la storia delle culture nel loro significato più ampio, che include miti e riti, usi e costumi propri dell'uomo, l'unico essere (al di là degli dèi dell'Olimpo) capace di trasformare i prodotti naturali secondo scelte che fanno riferimento a schemi e valori sensibili e intellettuali, a bisogni elementari e attese intemporali.

Non dunque di questo si vuole qui parlare, né avrei la competenza: vorrei solo ricordare che la lettura di una guida bibliografica come questa può da un lato far meglio comprendere i vari sentieri percorsi dall'uomo nel suo incivilimento, dall'altro mettere in evidenza, con i cambiamenti di gusti, il vario articolarsi nel tempo di un complesso di conoscenze e di tecniche, il mutare dei campi di interesse di una disciplina, la gastronomia, ove al tramontare di antiche tradizioni corrisponde l'emergere di nuove tendenze, di nuovi costumi e usi conviviali, di impreviste zone di ricerca.

Un suggerimento che mi permetterei quindi di dare a chi leggerà la guida, al di là del suo necessario uso ai fini della costituzione di una biblioteca specialistica, è cercare di cogliere l'evoluzione dei modi di far cucina e di concepire il convito. Ma neppure tale argomento vastissimo intendo qui trattare - altri saggi ci orientano in questo volume - bensì solo accennare ad alcune significative variazioni avvenute nel corso dei secoli: non per quanto attiene alle pratiche di cottura e alla rivoluzione indotta prima dai fornelli in serie orizzontali (in luogo del camino) poi dalle più sofisticate tecniche di oggi (fino alla cosiddetta cucina molecolare), ma per la trasformazione di alcuni atteggiamenti e abitudini di significato non marginale, di cui oggi siamo autori, spettatori, vittime.

In un libero vagabondare fra questi problemi e fra i libri qui catalogati, ci si imbatte anzitutto nel tempo dedicato alla cucina. Si pensi al passaggio dalle grandi salse madri e dalle lunghe cotture ai sughi pronti, ai cibi precotti o surgelati. Passaggio che non dipende dal progressivo accorciarsi del cosiddetto "tempo libero" dal lavoro quotidiano, o non solo da questo, ma piuttosto dalla progressiva disattenzione al "far cucina", come fosse un tempo perso, da comprimere, da eliminare. Fenomeno che non investe solo la cucina domestica, ma anche i ristoranti ove la teoria della cottura breve corrisponde spesso al rifiuto di attendere ai fornelli, di sorvegliare le lunghe cotture, che possono peraltro confliggere con gli orari sindacali. Di qui, al limite, la fuga dal cotto verso il crudo, ripercorrendo in senso inverso il cammino della civiltà.

I manuali di cucina rispecchiano questa tendenza: se da Messisbugo a Scappi, da Curnonsky a Bocuse e Carnacina si insegnano ancora le salse madri, i grandi arrosti, gli stufati, già questo diviene più raro in Artusi - l'ultimo grande classico di cucina borghese, che assume e fa propri anche alcuni piatti della cucina povera e forse per questo elimina il capitolo delle salse - mentre nei manuali correnti è materia pressoché sconosciuta: persino il semplice court-bouillon per i pesci è spesso ignorato e degli arrosti restano minime tracce; per non ricordare che nei più recenti manuali - segno dell'affermarsi di nuove tecnologie - si confonde il frullato con il pesto, consigliando di sostituire il mortaio con il frullatore, eliminando anche, per i passati, l'essenziale setaccio. E se nei ristoranti alla moda va prevalendo il grafismo, il segno al posto della vivanda pressoché assente nel piatto, rara l'apologia dell'abbondanza, che ancora Brillat-Savarin considerava essenziale per valutare il livello della cucina e dell'ospite.

Spostamenti di gusti verso la rapidità che coinvolge la cucina domestica e corrisponde solo marginalmente alla mancanza di tempo, quanto piuttosto alla mancanza di interesse. Né risponde a criteri di economicità, giacché, per esempio, un gustoso coscio di castrato (di cui si è pressoché perduta traccia nei manuali) costa meno di due filetti di bue ai ferri. In realtà oggi si preferisce spesso, nella vita domestica, la fuga inutile e costosa del fine settimana alla più pacifica e gratificante sosta domenicale in cucina per attendere a soddisfare il proprio e altrui piacere e anche per preparare - se si vuole - piatti che durano tutta la settimana.

A questa tendenza potrebbe porre rimedio, se non la generica fuga verso il privato che caratterizza molti aspetti della civiltà di oggi, la più ampia diffusione dei manuali di cucina, ove fossero presi e seguiti come strumenti di una più consapevole civiltà della tavola. Da questo punto di vista si dovrà ritrovare il senso e il valore del convito, del piacere di stare insieme per consumare un pasto che non ha solo fini nutrizionali, ma costituisce un punto di incontro e di riposo, di libera conversazione. Non a caso Voltaire consigliava di collocare in sala da pranzo la statua della dea Ragione. Questo aspetto della civiltà della tavola sembra oggi perduto e si rispecchia anche nei manuali: se nei grandi classici molta attenzione è posta agli "apparecchi" di tavola, alla struttura e alla successione dei servizi, oggi i manuali non danno alcun suggerimento non dico per gli antichi - e in gran parte superati - "trionfi", ma per la presentazione e successione delle vivande, la scelta dei bicchieri, la disposizione dei posti a tavola. Così come nessuna indicazione è offerta per il pentolame essenziale in cucina: nelle cosiddette "batterie" preconfezionate mancano alcuni oggetti fondamentali come la pentola per i bolliti, la pesciera, il saltiere, tutti strumenti assai più economici, se acquistati in magazzini specializzati, dell'oggettistica offerta dai grandi designer; così come non si nomina mai il coccio, raramente la ghisa; nei servizi da tavola, rara la zuppiera, assente la salsiera.

Ancora, scorrendo i volumi indicati nella guida, si può osservare come di recente siano cominciati a comparire volumi attinenti ai vini, in rapporto certo ai miglioramenti radicali intervenuti in Italia in fatto di enologia; anche nei manuali propriamente dedicati al cucinare, i vini, dopo essere stati a lungo ignorati, tornano a essere presi in considerazione non solo per le cotture, ma anche per il servizio di tavola.

Tuttavia, persino nei testi di enologia, manca quasi sempre una precisa indicazione sulla conservazione dei vini e sulle temperature di servizio dei vini stessi. Manca anche nei grandi ristoranti: in uno stellatissimo ristorante romano mi è stato servito un Patrimo (merlot in purezza) a 22°. Tarda a morire il mito incolto della "temperatura ambiente", dimenticando che tale temperatura si riferisce alla cantina, 11°-12°. Anche qui non si tratta di problema economico, ma di mancanza di attenzione e di gusto: per chi non avesse cantina, basta un armadietto per i vini (a temperatura uniforme o differenziata) che non costa più di un fine settimana fuori città; quanto ai vini, oggi è possibile procurarsene di alta qualità a prezzi modesti, purché ci si affidi non al primo bottegaio sotto casa, ma a un'enoteca con personale preparato; altrimenti si faccia uso dei manuali, alcuni dei quali ben presenti in questa guida.

Si noterà anche l'assenza quasi completa di guide per la conoscenza e l'uso dei grassi: olio, burro, strutto; è invece essenziale, per esempio, saper conoscere l'olio, tanto più in un Paese ove è possibile mettere in commercio con la scritta "olio di oliva" un prodotto che di olive non ha pressoché nulla, salvo la sansa. Quanto all'uso dello strutto, dimenticato o esorcizzato, si dovrebbe insegnare che esso è necessario quantomeno per i grandi piatti della cucina meridionale italiana (dal sartù di riso, al ragù, alle fritture) e che è assai più leggero di altri grassi in uso; pochissimo si dice anche del burro, che per molti aspetti costituisce una differenza fondamentale fra la cucina del Nord e quella del Centro-Sud.

Se parliamo poi delle guide dei ristoranti, al di là dei giudizi a volte radicalmente discordanti, si noterà che, pur aumentando in numero in rapporto alle mode, nessun autore dichiara mai i criteri adottati per esprimere i propri giudizi; sicché si verifica un'evidente arbitrarietà, tanto più chiara quando le guide si fanno promotrici della cosiddetta "cucina creativa", quella cioè senza riferimenti a tradizioni gastronomiche consolidate. Pure sarebbe opportuno che i critici gastronomici dicessero se accettano di parlar bene di un ristorante quando presenti vivande calde in piatti gelidi, fritture appena tiepide o fredde, cibi sempre porzionati con totale assenza di piatti da portata, tanto per le zuppe quanto per i grandi arrosti; ancora, se accettano che i vini rossi vengano serviti tutti a una stessa temperatura, si tratti di uno giovane o di un Barolo di grande annata; infine, se approvano un lessico che rende impossibile comprendere cosa si propone al cliente. Non a caso sono sempre più attendibili le guide - qui presenti - legate al territorio, che costituisce, sia pur genericamente, un punto di riferimento con i suoi princìpi e tradizioni. Forse anche per l'attuale riscoperta del valore del territorio, negli ultimi decenni si son visti aumentare ricettari, ben presenti nella guida, che ripropongono pratiche antiche e locali. Anche in Francia - che resta sempre un polo di riferimento, se non per il livello di cucina, per la professionalità dei gestori di ristoranti e bistrot - dopo l'entusiasmo per la nouvelle cuisine (di cui proprio i francesi furono gli inventori) si torna a valutare chi presenta una "cucina tradizionale".

Per tutti questi motivi la presente guida - che rispecchia l'andamento dei gusti e delle mode - non solo costituisce uno strumento di grande utilità per chi voglia formare una biblioteca di gastronomia, ma offre documenti assai efficaci per la storia della gastronomia e dell'enologia, per il mutare di molti comportamenti e usi individuali o sociali, e può stimolare nuove ricerche in campi che riguardano non solo il nostro vivere quotidiano, ma il nostro modo di essere uomini.

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