Rivista "IBC" XX, 2012, 2

Dossier: Le case delle parole - Viaggio nella Romagna dei poeti e degli scrittori

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

Le finestre degli scrittori

Eraldo Baldini
[scrittore]

Nel suo celebre romanzo Il giovane Holden del 1951, Jerome David Salinger fa dire al protagonista, nel linguaggio sgangherato che gli attribuisce: "Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare tutte le volte che ti gira". Vorrebbe conoscere i suoi scrittori preferiti, insomma, il giovane Holden Caulfield. Sentirli al telefono. Magari fargli visita, entrando nelle loro case. Perché nella casa di uno scrittore, forse, c'è molto da vedere, da capire, molto in grado di evocare suggestioni e fornire informazioni sull'artista stesso, i suoi gusti, i suoi pensieri, la sua modalità di "creare". Molto della sua vita interiore e segreta, come delle sue abitudini più quotidiane e persino prosaiche.

Salinger - che pure, per bocca di Holden, ipotizza questo bisogno dei lettori - ai suoi non concesse mai tale possibilità, segnalandosi come uno degli uomini più schivi che si possano immaginare; ma chissà che ora, a qualche anno dalla sua scomparsa, non si possano aprire alle visite le porte della casa di Cornish, New Hampshire, in cui rimase relegato per trentaquattro anni rifiutando ogni contatto col mondo. Un altro grande della narrativa, Cormac McCarthy, vive isolato nella sua fattoria in Texas e si dice che minacci col fucile chi osa avvicinarsi troppo alla sua dimora. Esempi di misantropia o di agorafobia che, oltre a definire caratteri e comportamenti individuali, sottolineano un dato: per certi autori, quello della casa è uno spazio non solo privato, ma così intimo, unico e prezioso da dover essere protetto da ogni intrusione, da ogni "contaminazione".

Non tutti sono stati o sono così ostici nell'aprirsi al mondo, è chiaro, ma resta il fatto che le loro dimore, agli occhi altrui, si presentano a volte come sacrari entro i quali può nascondersi - e all'occorrenza svelarsi - il genius loci capace di ispirare, ciò che ha avuto peso nel modo di essere, di sentire e di scrivere di chi ha eletto quelle stanze a rifugio e a luogo di lavoro. Le case-museo degli autori, per questo, vengono visitate più come case che come musei. Se spesso nella percezione comune (fuorviante finché si vuole) il museo è laddove un oggetto, esaurita la propria parabola vitale, va a collocarsi nella staticità, le case degli autori rappresentano al contrario il punto in cui una parabola è iniziata e perpetuamente re-inizia sotto gli sguardi di chi pensa che lì, in quel luogo, in quelle stanze, sia nata una parte di sé, se è vero che noi (con le nostre emozioni, il nostro immaginario, il nostro modo di vedere le cose) siamo fatti anche dei libri che abbiamo letto e che ci hanno influenzato e formato. C'è insomma, in queste visite, una specie di "ricerca genetica", la stessa che muove, per fare un esempio, molti americani a viaggiare nei paesi d'origine delle loro famiglie (Irlanda, Italia, eccetera) alla ricerca delle radici, del posto dove "tutto ebbe inizio".

È anche per questo che le case degli scrittori non mancano di attrarre molto, e oggi quelle visitabili (e alcune persino affittabili per brevi periodi) sono centinaia in tutto il mondo. A volte sembrano concentrarsi in zone particolari, ed è difficile dire se queste zone siano particolarmente dense di atmosfera e adatte a divenire rifugio di pensatori, o se invece tale abbondanza sia dovuta a superiori capacità nella gestione turistico-culturale del territorio. In Scozia, per esempio, sono numerosi gli itinerari organizzati verso le dimore e sulle tracce di Robert Burns, Walter Scott, Robert Louis Stevenson, Arthur Conan Doyle, e dei contemporanei Ian Rankin e Joanne Rowling (la "mamma" di Harry Potter), che là hanno avuto nascita, residenza o ispirazione. Lo stesso dicasi per il Massachusetts, ricco di mete simili e dove, a una trentina di chilometri da Boston, c'è addirittura una dimora, chiamata The Wayside, che pare beneficamente "stregata" in tal senso, essendo stata in passato abitazione di Louisa May Alcott e delle sue sorelle, cioè dell'autrice e delle protagoniste di Piccole donne, poi di Nathaniel Hawtorne, infine di Margaret Sidney. Altro luogo particolare è San Pietroburgo, in Russia, dove si possono vedere le case e/o i luoghi del cuore di Dostoevskij, Gogol, Puskin, Blok, Nabokov. Di Dostoevskij è divenuta museo l'ultima residenza; visse in diverse case e luoghi, ma pare avesse un'ossessione: voleva sempre un appartamento con le finestre affacciate su due strade e vicino a una chiesa, in modo da poter ascoltare le campane, un suono che calmava il suo spirito. A dimostrazione che una particolare atmosfera la si può cercare, oltre che costruire.

Questi posti speciali, lo abbiamo detto, non mancano di attrarre visitatori (spesso convogliati da tour operators) e di suscitare interesse, oltre che nel pubblico, anche nei mass media e in altri artisti, che sembrano richiamati dallo spirito del luogo. Sono nati e nascono così numerosi reportage e lavori sull'argomento. Limitandoci ad alcuni esempi recenti, fra le centinaia che si potrebbero citare, ricordiamo un bell'articolo apparso sul britannico "The Observer" nel giugno del 2008, in cui si ripropongono le atmosfere offerte dalle abitazioni e persino dalle stanze d'albergo che hanno ospitato Dickens, Kipling, Doyle, Kafka, Tennessee Williams, Hemingway e altri; e il reportage fotografico del quotidiano "la Repubblica" del gennaio 2012, che contiene le immagini delle dimore di undici grandi autori, fra i quali Shakespeare, Hugo, Twain, Vonnegut.

Tralasciando le innumerevoli pagine e rubriche sul tema oggi presenti in internet, arriviamo ai libri; da menzionare è Pellegrinaggio, della grande fotografa americana Annie Leibovitz, che offre un vero e proprio "pellegrinaggio per immagini" attraverso i luoghi e gli oggetti degli autori e pensatori più illustri degli ultimi due secoli, da Emily Dickinson a Virginia Woolf, passando per il cottage di campagna di Charles Darwin.1 Poi Storia delle camere, di Michelle Perrot: il libro, partendo dalla teorizzazione di Virginia Woolf relativa a "una camera tutta per sé", porta l'attenzione sulle stanze più intime, spesso le camere da letto, che autori come Proust, Kafka, Perec e altri elessero a luogo di riflessione e di scrittura (del resto Pascal, nei suoi Pensieri usciti postumi nel 1670, attribuiva l'infelicità dell'uomo "a una sola causa: non sapersene restare tranquilli in una camera").2

Da ricordare anche La scrittrice abita qui, di Sandra Petrignani, che ci porta dalla Sardegna di Grazia Deledda all'America di Marguerite Yourcenar, dalla Francia di Colette all'Africa e alla Danimarca di Karen Blixen. La Petrignani, con una sorta di "seduta spiritica" nei luoghi e tra gli oggetti, li interroga conducendo il lettore in un viaggio concretissimo e favoloso allo stesso tempo. Perché è così che sono le case in cui sono trascorsi i giorni e nate le opere dei grandi artisti, spazi della loro ritualità domestica e professionale: favolose e concrete, intrise di alto immaginare e di umile quotidiano.3

Altrettanto interessante è un volume di Francesco Piccolo, Scrivere è un tic: un itinerario non solo nei segreti delle poetiche, ma anche nelle case e nei luoghi di alcuni famosi autori, da Pasolini a Marquez, dalla Allende a Delillo, alla ricerca dei modi con cui questi hanno predisposto l'esistenza all'espressione del proprio talento; modi che nel luogo in cui si scrive vedono un elemento importante, e non certo uguale per tutti (dalla solitudine della propria stanza richiesta da Kafka, a una casa affollata di amici della Allende, fino ai tavolini dei bar su cui ama lavorare Claudio Magris).4

Sono interessanti e fascinose, dunque, le dimore degli scrittori. Lo sono così tanto da avere ispirato, in una sorta di contraltare letterario, un'apologia a rovescio, una dissacrazione come quella operata da Brock Clarke nel suo romanzo Case di scrittori del New England: la guida del piromane, in cui il protagonista, dopo aver incendiato involontariamente la casa di Emily Dickinson e scontato per questo qualche anno di prigione, cerca di lasciarsi la brutta storia alle spalle. E forse ci riuscirebbe se, all'improvviso, non cominciassero ad andare a fuoco anche le case di altri celebri autori, cioè quelle di Twain, Frost, Hawthorne, Melville, in una concatenazione di roghi che suscita la disperazione di lettori e studiosi, e il folle plauso di iconoclasti e squilibrati. Scritto con ironia pungente, il romanzo porta a una riflessione sul rapporto tra lettore e opera letteraria, tra passato e coscienza, sottolineando in fondo, pur in modo tanto originale e politically incorrect, il valore simbolico dei luoghi in cui hanno abitato e scritto i grandi.5

Quei luoghi che per loro, gli scrittori, hanno forse rappresentato l'ombelico del mondo, un omphalos. Mircea Eliade, nel suo I riti del costruire, scrive che riparandosi in una casa l'uomo non si isola dal cosmo, ma al contrario va "ad abitare proprio nel suo centro", essendo la casa stessa una imago mundi.6 Quel riparo, quel microcosmo sito al centro del Cosmo, può rappresentare il punto da cui lo sguardo dell'autore si muove, il luogo di irradiazione della sua ottica. Delimitato da muri e tetto, corredato di oggetti scelti e significativi, è capace di separare e proteggere la dimensione più intima dal "fuori" che si apre oltre la soglia e che si può occhieggiare materialmente dalle finestre (o percorrere con gli slanci della mente).

In proposito, va ricordata un'iniziativa del quotidiano "l'Unità", che nel 2004 chiese a quarantanove autori italiani di scrivere, in poche righe, cosa vedevano dalle proprie finestre: il risultato di quel "gioco letterario" (così fu definito) è raccolto nel volume Le finestre sul cortile.7 Finestre dunque che si fanno occhi, sguardo sulla realtà, proiezione della casa, e di chi la abita, sul mondo. La curatrice Stefania Scateni scrive nella sua prefazione: "Ogni racconto è anche un dialogo tra colui che scrive e il 'suo' fuori". E ciò che lo scrittore vede "dalla finestra", in senso metaforico oltre che materiale, si fa importante, rappresentando forse il senso stesso della letteratura. Come scrive Giulio Ferroni nell'introduzione al volume appena citato, "gli scrittori guardano anche per noi, ci aiutano a guardare tutto ciò che si agita e passa con un'attenzione tanto più necessaria quanto più sembra esclusa dalla nostra vita vorticosa, dagli schermi e dalle finestre virtuali che riempiono le nostre giornate".

Finestre virtuali: la televisione, internet. Lo stesso sistema operativo più usato in campo informatico, d'altronde, si chiama Windows, "Finestre". Le stesse, tra l'altro, che oggi consentono ai lettori di sbirciare nelle case degli scrittori, quando questi ultimi offrono scorci della propria quotidianità e della propria "bottega" attraverso Facebook, Twitter, le web pages. E gli autori compongono in genere i propri lavori usando il programma Word per Windows, magari interrotti frequentemente dallo squillo del telefonino. La globalizzazione, i cambiamenti degli stili di vita, dello status e del ruolo della maggioranza degli autori, dei modi stessi di abitare, trasformano anche l'importanza della casa, nell'esistenza e nell'opera degli scrittori di oggi? Chissà. In ogni caso, questa è un'altra storia.


Note

(1) A. Leibovitz, Pellegrinaggio, Novara, De Agostini, 2011.

(2) M. Perrot, Storia delle camere, Palermo, Sellerio, 2011.

(3) S. Petrignani, La scrittrice abita qui, Vicenza, Neri Pozza, 2007.

(4) F. Piccolo, Scrivere è un tic. I metodi degli scrittori, Roma, Minimum Fax, 2011.

(5) B. Clarke, Case di scrittori del New England: la guida del piromane, Torino, Einaudi, 2010.

(6) M. Eliade, I riti del costruire, Milano, Jaca Book, 1990.

(7) Le finestre sul cortile. Frammenti d'Italia in 49 racconti, a cura di S. Scateni, Roma, Quiritta, 2005.

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