Rivista "IBC" XX, 2012, 4

Dossier: Il monumento mette radici - Progetti per nuovi itinerari verdi a Bologna

territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

Con la public art per nuove reti

Mili Romano
[Accademia di belle arti, Bologna]

Anche gli alberi, nelle nostre città, seguono la sorte che spesso è dei monumenti: diventano invisibili ai più, nell'indifferenza dello sguardo veloce, assorto e ripiegato in sé stesso che accompagna il nostro muoverci. È così che, come sollecitazione a uno sguardo rinnovato, di nuova energia verso alcuni alberi monumentali, con il desiderio di reinserirli in un flusso di relazione vitale con il contesto e la città, è stato scelto per questo bando di concorso un percorso di public art, che, lontana da ogni retorica e dall'idea di monumentalità e decorazione tout court, possa accompagnare alla riscoperta di alcune oasi di paesaggio naturale nel paesaggio di pietra e spingere a dare attenzione ad alcuni dei suoi secolari abitanti.

L'arte pubblica - intesa come contestuale e site-specific, oltre che capace di creare un rapporto tra arte e contesto ambientale, culturale e identitario del paesaggio urbano e naturale - riesce molto spesso ad attivare reti di relazioni e nuova comunicazione e, senza enfasi, con tocchi lievi e capaci di coinvolgere attivamente il pubblico, può stimolare un sentimento diverso del luogo in cui gli abitanti verdi hanno radici da decenni o secoli, perché una nuova consapevolezza e rispetto del luogo possano "mettere radici".

Da qui l'invito, rivolto ad artisti e giovani allievi dell'Accademia di belle arti di Bologna, a un progettare consono alle memorie del luogo e capace di attivarle; un progettare rispettoso delle peculiarità naturali e dei flussi e movimenti della vita che intorno agli alberi scelti si muove quotidianamente; un progettare che tenesse conto della sostenibilità dei materiali e che riuscisse a prevedere, non solo nell'ideazione ma anche nella manutenzione, un'educazione progressiva al senso di responsabilità, di attenzione e di cura.

I progetti presentati in concorso sono stati tanti e molti di essi, cogliendo in pieno lo spirito e le esigenze del bando, hanno risposto suggerendo interventi ora ludici, interattivi e formativi (gruppo AvantGarden, Cinzia Delnevo), ora di elegante design di arredo urbano in cui la memoria e la vita degli alberi potesse intrecciarsi, nell'uso, con le abitudini del pubblico (Alessandra Montanari).

I due progetti selezionati e realizzati hanno in comune, oltre alla poeticità e alla leggerezza del segno, la capacità incisiva (perché presuppongono, già nella fase di realizzazione, di attivare la partecipazione) di essere sorgente di nuove narrazioni e di relazioni in un tempo lungo, capace di tramandarsi e rafforzarsi anche in assenza dell'artista che il progetto ha ideato. Sono stati capaci dunque di attivare un processo culturale che preveda l'arte all'interno della dinamica quotidiana, in uno spazio pubblico generalmente non deputato a essa.

Nell'installazione permanente di Rita Correddu, Everybody needs a place to think, l'artista si è messa in ascolto e il respiro, la voce dei sei alberi prescelti, non solo si lega alle voci e ai rumori della città e di chi frequenta abitualmente la zona dove l'esemplare si trova, ma entra in relazione con gli spazi di sei biblioteche in quartieri diversi di Bologna, le quali - adottando ciascuna un'immagine di esso, installata come tenda leggera alla finestra di una delle proprie sale, insieme alla traccia sonora della voce dell'albero - continueranno ad accompagnarlo e a farlo "divenire", rinnovando l'ascolto della sua voce, e l'attenzione e la memoria, con una rete di cura crescente.

Anche nelle Soft Stories, i cuscini-memoria progettati da Letizia Maestri, la storia della Farnia di via del Bordone si fonde indissolubilmente alle trasformazioni e agli usi, nel tempo, del luogo che la ospita, attraverso immagini e racconti che creano comunità, calore, e chiedono quotidiano rispetto, ascolto e cura.

Credo che un intervento d'arte nella natura (ma anche nello spazio urbano) dovrebbe essere sempre capace di mescolarsi alle maglie della quotidianità, fors'anche di "sparire", cancellando ogni segno forte e identitario dell'artista per trasformarsi in energia e in materiale del luogo, naturalmente e antropologicamente dinamico. Un po' come nel racconto di Jean Giono L'uomo che piantava gli alberi (che è stato probabilmente lo spunto per uno dei più straordinari interventi di land art, quello di Beuys per "Documenta" nel 1982), racconto in cui un pastore - un eccentrico? un visionario? comunque uno caparbio come molti artisti - ogni giorno, mentre fa pascolare gli animali, raccoglie, seleziona e pianta migliaia di ghiande, dalle quali nascerà una foresta di querce che si estenderà in tante altre foreste, che a loro volta rilanceranno l'economia del luogo e la sua vita. Dell'artista non si sa nulla ma l'opera della sua vita, lungimirante seppure semplice, rispettosa, silenziosa e stupefacente, è ancora lì, si è trasformata in natura e va avanti da sola.

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