Rivista "IBC" XXI, 2013, 1

biblioteche e archivi / convegni e seminari, mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi

L'indagine di un detective della memoria riporta alla luce la storia di Arpad Weisz, l'allenatore amato da un'intera città, poi dimenticato e mandato a morte perché non era di "razza ariana".
Silenzio in campo

Vittorio Ferorelli
[IBC]

3 gennaio 2013, in uno stadio del Nord Italia. Nel bel mezzo di un incontro amichevole di calcio, dopo mezz'ora di insulti di una parte del pubblico ai giocatori di origine africana, uno di loro si ferma, scaglia il pallone in tribuna, si toglie di dosso la maglia e decide che la partita è finita. Il nome del calciatore, quello della sua squadra, e altri dettagli, qui poco importano. Conta di più il senso dell'accaduto. A volte, semplicemente, non si può fare finta di niente.

Poche settimane, dopo, a Bologna, un altro stadio ha onorato il Giorno della Memoria ricordando la storia di un uomo, Arpad Weisz, l'allenatore ungherese grazie al quale, negli anni Trenta, lo squadrone che "tremare il mondo fa" vinse ben due scudetti. Poi, quando Mussolini emanò le leggi razziali e costrinse quell'uomo ad andarsene, e poi a morire nell'inferno di un lager, la città fece finta di niente. Non ci furono cori umilianti, quella volta, ma un unico silenzio compatto. E a nessuno venne in mente di fermare il gioco.

Nei mesi scorsi la vicenda di Arpad Weisz è stata ricordata in diverse occasioni. Se ne è parlato a margine della mostra su "Lo sport europeo sotto il nazionalsocialismo", curata dal Mémorial de la Shoah di Parigi e giunta in Italia grazie all'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna.1 La Soprintendenza archivistica ha promosso a Bologna una serie di incontri scolastici con giornalisti, storici e archivisti, concludendo il ciclo con l'apposizione di una targa per ricordare il figlio di Weisz che qui, finché le leggi fasciste lo permisero, aveva frequentato le elementari.2 Persino una nota televisione commerciale si è interessata al caso, dedicandogli un'appassionata ricostruzione.3

Ma se oggi conosciamo questa storia, il merito è di qualcuno che, di fronte a un delitto di oblio, ha deciso di farsi, come s'è definito lui stesso, "detective della memoria". Matteo Marani, giornalista sportivo, quasi dieci anni fa è partito dalle labili voci su quanto accadde a Weisz dopo che ebbe lasciato Bologna e, un giorno dopo l'altro, con gli strumenti che ogni indagatore della memoria ha a disposizione - documenti, libri, archivi, biblioteche e testimonianze dirette dei viventi - ha ricostruito i suoi ultimi anni di vita.4

Il libro che riassume questo percorso, oltre al valore civile di un recupero postumo, ha qualcosa da dire anche a quanti credono che, in fondo, i luoghi e gli strumenti con cui la memoria si trasmette sono solo una spesa inutile, la prima da tagliare in caso di crisi. Senza quei luoghi e quegli strumenti, infatti, la storia di Arpad Weisz sarebbe rimasta nel buio. E lui, come i membri della sua famiglia, sarebbe morto tre volte: la prima per mano degli indifferenti, la seconda dei nazisti, la terza di tutti gli smemorati venuti in seguito.


Nel 1999, introducendo il volume pubblicato per commemorare i novant'anni del Bologna, Enzo Biagi scrisse: "Si chiamava Arpad Weisz, era molto bravo, ma anche ebreo e chi sa come è finito".5 Da questa coltre di nebbia è partito Marani per cercare di capire, innanzitutto, dove fosse finito quell'uomo, che non era esattamente un signor Nessuno.

Nato a Solt, in Ungheria, nel 1896, calciatore di ottimo livello, gioca per la propria nazionale alle Olimpiadi del 1924, trasferendosi poi in Cecoslovacchia, in Uruguay e in Italia. Divenuto allenatore, nel 1930 porta allo scudetto la squadra dell'Inter (allora Ambrosiana), dove mette a frutto per primo il talento eccezionale di Giuseppe Meazza. Quello stesso anno, con il nome italianizzato in Veisz, dà alle stampe, insieme ad Aldo Molinari, un modernissimo manuale sul gioco del calcio, in cui propugna il sistema "Chapman" che poi fu utilizzato nel dopoguerra da quasi tutte le squadre italiane.6

Arrivato nel 1935 a Bologna, porta i suoi metodi innovativi anche tra i rossoblu, guidandoli alla conquista del campionato l'anno dopo e quello successivo. A Parigi, nel '37, il suo squadrone (Schiavio, Monzeglio, Sansone, Fiorini, Biavati, Puricelli...) batte i maestri inglesi del Chelsea per 4 a 1, vincendo il "Trofeo dell'Esposizione Universale".7 È questo l'uomo che da un giorno all'altro viene dimenticato da tutti, come se non fosse mai esistito:


"Bologna, 26 [ottobre 1938, ndr]

Si apprende da fonte autorizzata che le superiori Gerarchie sportive hanno concesso il nulla osta nella giornata di oggi per il mutamento nella direzione tecnica del Bologna.

A sostituire Arpad Veisz, la cui permanenza nella nostra città datava da tre anni e mezzo, è stato chiamato il dottor Ermanno Felsner già del Milan, il quale ritorna ad allenare la squadra rosso-blu dopo esserne stato il primo istruttore. Il dott. Felsner assumerà senz'altro l'incarico giovedì, in occasione della consueta partita settimanale fra titolari e riserva."8


Piccolo saggio di giornalismo ai tempi del regime, questo trafiletto del "Littoriale" merita la citazione per il tono burocratico con cui liquida la "permanenza" dell'allenatore, per la fretta di tornare alla vita "consueta", per l'impassibilità con cui "senz'altro" chiude il discorso. Il "Resto del Carlino" negli stessi giorni farà anche di meglio, riuscendo a dare la notizia ancora più in breve e senza nominare Weisz neanche una volta.


L'indagine di Matteo Marani comincia dagli archivi dello Yad Vashem, il centro di documentazione mondiale sulla Shoah. Nella banca dati che raccoglie i nomi delle vittime trova la scheda che conferma il luogo e la data della morte di Arpad: Auschwitz, 31 gennaio 1944.9

Il passo successivo consiste nel dare un nome ai componenti del suo nucleo familiare, di cui naturalmente gli annali del calcio non facevano parola. Rivoltosi all'anagrafe storica del Comune di Bologna, l'investigatore riceve il certificato di residenza e lo stato di famiglia, scoprendo che il nostro, con la moglie Elena e i figli Roberto e Clara, viveva in via Valeriani 39, a poca distanza dallo stadio.

Proseguendo le sue ricerche, Marani si rende conto di quanto sia difficile il compito di indagare il passato e di quanto sia a rischio la vita dei documenti; quelli conservati nella Casa del Fascio, dove aveva sede il Bologna, furono in gran parte bruciati da chi aveva interesse a cancellare la storia, così come accadde per i fascicoli della Prefettura relativi a quegli anni. Anche le testimonianze dei viventi, a più di mezzo secolo di distanza, sono difficili da recuperare: il più longevo dei rossoblu, Ettore Puricelli (detto "testina d'oro"), era morto nel 2001. Ma è a questo punto che entra in gioco la creatività del detective.

Presumendo che il primogenito di Weisz, nato nel 1930, avesse frequentato una scuola elementare nel '36 e nel '37, si mette alla ricerca dei registri delle "Bombicci", l'istituto che allora, come oggi, è più vicino a via Valeriani. Quando li trova, sepolti in un vecchio deposito, trascrive i nomi di tutti i compagni di classe del piccolo Weisz e li incrocia con quelli ancora presenti nell'elenco telefonico. Dopo alcune chiamate a vuoto, finalmente gli risponde qualcuno: "Roberto, io, lo conoscevo bene. Era il mio migliore amico. È una vita che cerco di sapere cosa gli è successo". La voce di Giovanni Savigni trema, e non è per via dei suoi settant'anni. "Venga a trovarmi. Ho qualcosa da farle vedere".

A casa di Savigni, Marani scopre alcuni tesori inaspettati. Le vecchie fotografie che ritraggono Roberto e la sorellina Clara danno finalmente un volto a quelli che, fino a quel momento, erano solo due nomi. Ma sono altri oggetti a rivelarsi ancora più preziosi per le ricerche successive: sono le lettere scritte alla madre di Giovanni Savigni da Elena Rechnitzer, la moglie di Arpad. Lettere inviate da Parigi e poi da Dordrecht, in Olanda. Gli ultimi documenti ufficiali sulla vita italiana dei Weisz, le lettere inviate dalla Prefettura di Bologna al Ministero degli Interni (conservate nell'Archivio centrale dello Stato, a Roma), dicevano solo che il 10 gennaio 1939 i coniugi erano usciti dal Regno diretti in Francia. Finalmente si veniva a sapere dove erano andati.

Dopo il breve soggiorno parigino, nella primavera del '39 Arpad e la sua famiglia si spostano nei Paesi Bassi, dove l'allenatore prende le redini del Dordrechtschte Football Club. Manco a dirlo, dopo il suo arrivo la piccola squadra si salva dalla retrocessione e l'anno seguente si piazza nella parte alta della classifica. Ma il confine con la Germania è terribilmente vicino. Nel raccontare i suoi incontri con i giocatori e gli sportivi olandesi che conobbero Weisz, le parole di Marani si fanno scure di presagi. Nessuno di loro sapeva che era ebreo. E lui, nonostante le vittorie in campo, sembrava sempre spaventato. Evitava di farsi fotografare. Poi, quando parlava dell'Italia, all'improvviso diventava triste.

Ai primi di agosto del 1942 la Gestapo bussa a casa dei Weisz e li porta via tutti. Vengono deportati nel campo di smistamento di Westerbork, dove due anni dopo passerà anche Anne Frank; quindi, insieme a centinaia di altri ebrei, vengono stipati come bestie sui treni merci diretti verso la Polonia. Durante il viaggio, probabilmente, l'allenatore viene dirottato con altri uomini verso i micidiali campi di lavoro dell'Alta Slesia; ma è solo un'ipotesi, perché il suo nome non figura tra quelli di coloro che, alla fine di quel viaggio, scesero dai treni. Anche questo dato può essere ricavato da una fonte documentaria, il Kalendarium che riporta gli avvenimenti del campo di Auschwitz.10 Qui, il 5 ottobre, appena giunti, Elena e i piccoli Roberto e Clara vengono subito avviati alla morte nelle camere a gas. Arpad sopravviverà poco più di un anno.


Nel gennaio del 2009, allo Stadio "Dall'Ara", il Comune di Bologna ha posto una targa in memoria di Weisz sotto la torre Maratona, la stessa torre che negli anni Trenta era dominata dalla statua di Mussolini a cavallo. Una targa analoga è stata inaugurata nel gennaio 2012 allo stadio "Meazza" di Milano. Ma gli effetti della ricerca di Matteo Marani non sono ancora finiti.

Di recente, infatti, è nato il "Club internazionale Arpad Weisz", che nel primo articolo del suo statuto ripudia l'antisemitismo e ogni forma di razzismo. Il club, animato dallo storico Stefano Salmi, unisce con un ponte culturale l'università di Bologna, quella di Budapest e quella di Lisbona, città da cui l'allenatore passò da giovane per andare in Uruguay. Su quel viaggio di formazione calcistica e sulla prima parte della sua vita verte il libro che Salmi sta preparando in questi mesi, forte anche di una memoria familiare: suo padre Guerrino, calciatore nella squadra giovanile del Budrio, ebbe modo di conoscere Weisz.

Conoscere. Sembra questo l'antidoto migliore alla stupidità che deriva dalla perdita della memoria. Conoscere e poi raccontarlo, perché questo è ciò che possiamo fare noi che viviamo a distanza dal passato. Nel libro intitolato Gli scomparsi Daniel Mendelhson racconta la storia delle sue ricerche per scoprire qualcosa di preciso su ciò che era successo al fratello maggiore di suo nonno, lo "zio Schmiel", di cui in famiglia si ricordava solo che un giorno, chissà quando, chissà dove, era stato ucciso dai nazisti con la moglie e le quattro figlie. Anche lui, come Matteo Marani, ha molto viaggiato. Anche lui ha interrogato le carte e i sopravvissuti. Alla fine, quel che di preciso è successo allo zio Schmiel, non riuscirà a scoprirlo, ma si accorgerà di avere in mano, forse, qualcosa di ancora più prezioso, "un dato che non può essere trascritto su un diagramma: chi erano, com'erano vissuti".11


Note

(1) La mostra è stata allestita a Bologna dal 6 novembre al 21 dicembre 2012 presso Casa Saraceni: www.assemblea.emr.it/cittadinanza/attivita-e-servizi/percorsi-sulla-memoria/lo-sport-europeo-sotto-il-nazionalsocialismo/.

(2) Il ciclo di incontri si è tenuto nelle scuole elementari "Bombicci" e "Manzolini" tra l'1 ottobre 2012 e il 27 gennaio 2013: www.sa-ero.archivi.beniculturali.it/index.php?id=926.

(3) La trasmissione, "Federico Buffa racconta Arpad Weisz", trasmessa da Sky Sport, può essere vista su YouTube.

(4) M. Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo, Roma, Aliberti editore, 2007.

(5) 1909. Novant'anni di emozioni. La rivista che racconta la storia del Bologna calcio, Bologna, Press club, 1999.

(6) A. Veisz, A. Molinari, Il giuoco del calcio, Milano, Alberto Corticelli Editore, 1930.

(7) Per ripercorrere la storia del Bologna Football Club si veda la versione digitale della mostra allestita dalla Biblioteca comunale dell'Archiginnasio in occasione dei cento anni della squadra ("Quattro matti dietro un pallone", 20 maggio - 26 settembre 2009): badigit.comune.bologna.it/mostre/bologna_fc/.

(8) "Il Littoriale", 27 ottobre 1938.

(9) La scheda cita come fonte la "Lista degli ebrei uccisi provenienti dall'Olanda" della Dutch War Victims Authority: db.yadvashem.org/names/nameDetails.html?itemId=4308844&language=en. (10) Kalendarium. Gli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz 1939-1945, a cura di D. Czech, Milano, Mimesis, 2007 (esiste una versione italiana online: www.deportati.it/librionline/Kalendarium.html).

(11) D. Mendelhson, Gli scomparsi, traduzione italiana di G. Costigliola, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2007, p. 614.

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