Rivista "IBC" XXI, 2013, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, mostre e rassegne

"Pei soli pedoni. Modena senz'auto nell'estate del '73", Ponte Alto (Modena), 27 agosto - 22 settembre 2013.
Pei soli pedoni

Piero Orlandi
[IBC]

Curata da Fausto Ferri, e aperta tra il 27 agosto e il 22 settembre 2013 all'interno della festa del Partito democratico a Modena, "Pei soli pedoni. Modena senz'auto nell'estate del '73" è una mostra di oltre 400 delle fotografie che Paolo Monti scattò nell'agosto di 40 anni fa al centro storico di Modena, oggi conservate nella Biblioteca civica d'arte "Poletti".

Chi ha avuto occasione di visitarla si è trovato coinvolto in un'esperienza spaziale originale, un'immersione a piccola scala nel tessuto urbanistico della città estense: il pavimento su cui il visitatore camminava riproduceva infatti la planimetria della città entro le mura, così che si potessero relazionare con facilità gli scorci fotografici alla loro localizzazione urbanistica. Un merito dell'allestimento, ispirato dalla pubblicazione che l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna curò pochi anni dopo la campagna fotografica di Monti, dove alcune mappe registravano la progressione costante con cui il fotografo novarese affrontava le emergenze architettoniche e la trama urbanistica, muovendosi a piedi, incurante delle alte temperature, catturato dal proprio lavoro e dal fascino silenzioso della città vuota.

Il "censimento fotografico" - come allora si chiamavano queste monumentali ricognizioni del patrimonio edilizio storico - era naturalmente propedeutico all'elaborazione del piano di conservazione, ne era l'elenco fondativo, quella che oggi in modo ormai rituale si dice "indagine conoscitiva". Ma quello che stupisce, guardando queste immagini, è la loro naturalezza, frutto della capacità dell'autore di trattare con il bianco e nero la patina delle superfici murarie, dei portici, delle pavimentazioni, che paiono emergere da anni molto lontani. È tutto vero, molto più di quel che vediamo dal vero, percorrendo oggi quelle stesse strade, più o meno restaurate, ma falsificate da usi globalizzati che paiono innaturali e privi di personalità.

Si dice spesso che quella è stata un'epoca d'oro dell'urbanistica emiliano-romagnola, e di quella modenese in particolare: Osvaldo Piacentini e Giuseppe Campos Venuti firmavano il piano regolatore e quello per l'edilizia economica e popolare, Mario Pucci (come ricorda Giovanni Leoni in uno dei testi che accompagnavano la mostra) ridisegnava la città come amministratore, pianificatore e progettista di architetture-chiave capaci di identificare le specificità della Modena postbellica: il mercato del bestiame, la stazione delle autocorriere, l'edificio alto - il vituperato condominio che svetta dietro la palazzina dei giardini. Architetture e spazi urbani che Monti non vedeva, perché qui a Modena - come anche a Bologna, a Cesena, a Ferrara, a Forlì, a Rimini, in tutti i centri storici che fotografò in quel volgere di anni in regione - il suo compito era di non vedere altro che il tessuto edilizio storico, di isolarlo e addirittura di salvarlo dal generale contesto urbano. Forse un po' come si era fatto un tempo con i monumenti, restaurati e liberati dal tessuto edilizio circostante, una pratica che poi le teorie della conservazione dei centri storici più innovative presero a criticare e finirono per sconfessare e superare negli anni Sessanta.

Oggi siamo lentamente divenuti consapevoli che si dovrebbe tendere a riconnettere la percezione, la fruizione e la pianificazione della città storica con quella moderna, facilitando relazioni fisiche e culturali, e persino psicologiche; e anche per questo sono nate ricerche come quella che la stessa città di Modena ha concluso presentando proprio quest'anno il volume Città e architetture. Il Novecento a Modena, dove infatti sono proposti alcuni degli scatti di Monti affiancati ad altri di Gabriele Basilico, dedicati appunto all'urbanistica e all'architettura sociale del Novecento.

Tornando a Monti, la mostra modenese ha il grande merito di proporre alle istituzioni - comuni, Regione, lo stesso IBC - che sono gli eredi dei committenti del lavoro sui centri storici delle maggiori città emiliano-romagnole, una rinnovata attenzione critica, aggiornata ai tempi, verso quella ricerca visiva; della quale sarebbe opportuno definire meglio e ricordare i confini, i luoghi, le quantità.

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