Rivista "IBC" XXII, 2014, 3

Dossier: Imperiituro - Renovatio Imperii. Ravenna nell'Europa ottoniana

musei e beni culturali, dossier / progetti e realizzazioni

Quel che resta degli Ottoni

Elettra Stamboulis
[curatrice e organizzatrice di "Komikazen"]

"Secondo Malraux non c'è progresso e nemmeno 'storia' fra la creazione degli stambecchi o dei cervi di di Lascaux o Altamira e il toro inciso di Picasso": così esordiva Jean Clair in un'intervista in forma di dialogo sull'arte moderna. Riprendendo questo paradosso, che mette in crisi qualsiasi ipotesi storicista che veda nell'evoluzione una progressiva conquista di nuove mete, potremmo dire che non c'è evoluzione e soluzione di continuità fra molta dell'arte figurativa medievale e il fumetto contemporaneo. Di tutte le epoche organiche alla costruzione del presente, l'età di mezzo (e in modo particolare l'Alto Medioevo), costituisce una di quelle in cui l'imperativo del linguaggio verbale era meno dominante. L'arte non era solo "guarigione dal concetto" e "riappropriazione della presenza dell'essere", ma era l'unica bussola per orientarsi nel mare magnum dell'esperienza narrativa. E spesso immagine e parola coesistevano ed era naturale districarsi in un flusso sequenziale di immagini che snocciolavano le fasi salienti di una storia.

Non è quindi difficile cedere il passo all'analogia tra nona arte e rappresentazione medievale, soprattutto bizantina. Eppure, la stessa distanza che c'è tra la scelta sintetica di Picasso nelle incisioni, la possiamo ritrovare nei silenzi e nelle scelte figurative dei disegnatori di fumetto contemporanei.

È quindi forse più interessante sottolineare quanto rivela diversità, più che rammendare questo vestito dismesso con le analogie evidenti tra un medium nato popolare come il fumetto (e come l'arte medievale fortemente connotato dagli intenti didascalici e sintetici) e quanto rimane dell'arte figurativa altomedievale. Certo è che il Medioevo è profondamente radicato nel fumetto, sia come tema narrativo che come utilizzo delle tecniche rappresentative: come hanno raccontato in modo piuttosto esauriente le mostre del 2010 nella Torre di Giovanni Senza Paura "Le Moyen Âge en Bande Dessinée" e in modo più sintetico l'esposizione didattica "Nuvole di Medioevo" dell'Istituto Alcide Cervi; l'esposizione francese era concentrata a indagare, con ottimi apparati filologici, come il fumetto abbia riutilizzato moduli visivi e linguistici già presenti nell'età di mezzo, la mostra reggiana più concentrata sul come il fumetto abbia rappresentato il Medioevo.

Di quest'ultimo tema ha scritto anche Umberto Eco negli anni Ottanta, sistematizzando il tema del sogno del Medioevo. Essendo pura rappresentazione, cuore e origine dei nostri mali, non lo si ammira, dice il professore bolognese, lo si abita. "Il Medioevo inventa tutte le cose con cui ancora stiamo facendo i conti, le banche e la cambiale, l'organizzazione del latifondo, la struttura dell'amministrazione e della politica comunale, le lotte di classe e il pauperismo, la diatriba tra Stato e Chiesa, l'università, il terrorismo mistico, il processo indiziario, l'ospedale e il vescovado, persino l'organizzazione turistica, [...]. E infatti noi non siamo ossessionati dal problema della schiavitù o dell'ostracismo, o del perché si debba, e necessariamente, uccidere la propria madre (problemi classici per eccellenza), ma di come far fronte all'eresia, e ai compagni che sbagliano, e a quelli che si pentono, di come si debba rispettare la propria moglie e languire per la propria amante, perché il Medioevo inventa anche il concetto dell'amore in Occidente".

È quindi lì l'armamentario, il baule a cui si attinge, e il fumetto lo fa a piene mani, a volte in modo inconsapevole. Il sogno del Medioevo è anche rappresentato nel Medioevo in forma di fumetto ante litteram: per esempio ne La Grande Cronaca di Francia, il sogno della regina che dorme a sinistra è rappresentato a destra in una serie di vignette che seguono l'ordine di apparizione degli animali onirici. Ci lascia quindi increduli la ricostruzione visiva della rêverie: una modalità di scomposizione e rappresentazione dell'esperienza del sogno che diventa fantasticheria rappresentata e che scomparirà nei secoli della tarda modernità per ricomparire solo nell'Ottocento. Essa diventerà quindi in Bachelard uno strumento cognitivo.

L'andare e il tornare a questa età tenebrosa, da Tasso ai Romantici, da Carducci a Dante Gabriel Rossetti, al fantasy e al thriller monacale, non fanno che posizionarci nel mondo, ricostruire la nostra tela valoriale, rivedere il nostro status del presente, sulla base della nostra mappatura di questo passato immaginario. Questa mappatura diviene linea e segno, costruzione sequenziale e logica, geografia dell'immaginario realizzata in una storia a fumetti. La tela del ragno che invade i sogni diventa visione incarnata, che, per ragioni di permanenza date dalla necessità visiva e delimitante della linea e della costruzione sequenziale delle vignette, ricostruisce stilemi e modalità rappresentative che, proprio nel Medioevo, hanno avuto particolare fortuna.

Si tratta quindi di una rifondazione dell'immaginario che utilizza lo stesso scalpellino e lo stesso alfabeto medievale, mutando codice e funzione. Tale spostamento di significato (dall'analisi alla ricreazione di senso) diventa particolarmente evidente se si prova, come nel caso della mostra alla Classense di Ravenna, a raccontare o evocare gli Ottoni: Adelaide, Teofano, Gerbert ovvero papa Silvestro II. Tre nomi che certo non possono competere nella narrazione popolare, nel sogno del Medioevo appunto, con altri più evocativi e ormai archiviati nella nostra strapiena memoria. Eppure, le loro vite movimentate, il loro essere erranti in un'Europa sempre raccontata come immobile e poco incline al viaggio, li rende fantasmi fosforescenti e a noi più comprensibili. Le vite di Adelaide e Teofano, per esempio, mettono in crisi le figure stereotipate delle donne medioevali. Sono donne che con il potere stringono patti, che il potere lo esercitano e lo diffondono. Papa Silvestro II ha una forte carica simbolica: il suo essere il pontefice che attraversa il pericoloso anno 1000, con un nome altrettanto evocativo che lo lega alla memoria di Costantino, ormai divenuto nella vulgata il cristianizzatore, costituisce un tassello anch'esso dissonante dall'elenco dei papi tenebrosi. E ci spiazza, perché era anche e soprattutto matematico e studioso.

Ma in tutte queste notizie manca un collante visivo, un retaggio patrimoniale, un luogo di accoglienza di disperse indiscrezioni storiche, che rischiano di rimanere erudizione, se non sostenute da un ponteggio che sarà anche sogno del Medioevo, ma d'altro canto i fatti senza narrazione e senza correlativi oggettivi, luoghi e oggetti che fisicamente li richiamino, rischiano di diventare rumore. È vero che la nostra "storiografia percettiva" si concentra su quello che ci rende vicina ed empatica la storia. Sulla voce in prima persona, sul segno autoriale di disegnatori che non nascondono la loro attitudine artistica e quindi interpretativa. La storia diviene la loro, e ci viene restituita in un formato accogliente, un guscio che racconta di noi. L'esotismo di questo luogo temporale, lontano per gestualità e pensiero, diviene un elemento di continuità culturale. D'altro canto il fumetto affonda le sue radici proprio nelle rappresentazioni e narrazioni medioevali, quando l'altro si interseca con la fiaba e con un ignoto che per essere compreso diviene forse "orientalismo storico": mutuando questa categoria nel senso interpretativo di Edward Said si può dire che il rafforzamento degli stereotipi derivanti dal mondo elettronico e postmoderno hanno avuto effetto anche sulla rappresentazione del Medioevo. Riuscire a scartare consapevolmente o meno gli elementi fondativi della visione consolidata di un'epoca di cui ancora viviamo le strade e gli spazi, ma da cui ci sentiamo profondamente ed esoticamente lontani, non è processo semplice. Tanto più in un contesto in cui si ricostruisce sottotraccia un elemento identitario geopolitico attraverso la rivisitazione di un periodo e di una dinastia: continuità e permanenze, Ravenna e gli Ottoni, il qui e l'allora, in un dialogo in cui è l'hic et nunc ad acquistare in spessore e senso.

Niente può essere aggiunto a quanto già stato. La saga di questa tutto sommato breve stirpe di potenti, che visse nel continuo balenio dell'universale, una categoria che doveva ricucire un mondo in disgregazione entropica, una dinastia che vide nelle donne d'Oriente e d'Occidente figure carismatiche, in questo ultimo rapporto vero tra il vecchio Oriente, che di lì a poco chiuderà per qualche secolo il rapporto con un'Europa assertiva e proiettata verso nuovi centri, è sicuramente un luogo di racconti che facilmente scuotono la nostra sensibilità di ascoltatori. Anche oggi nell'Europa politica e in quella geografica che continuano a non combaciare c'è un richiamo continuo, non sempre funzionante, a categorie universali che uniscano. Il fatto che questi richiami non si tramutino in veri ponti non è materia di questo contributo: vero è che la costruzione dell'Europa è un fattore che coinvolge l'immaginario più che la fisica da sempre.

Non c'è quindi intento didascalico, come spesso erroneamente si attribuisce anche solo nominando il medium del fumetto. L'obiettivo è rigorosamente ermeneutico, apertamente e dichiaratamente soggettivo e di attribuzione di nuovo senso. Nelle brevi e fulgide storie di Gianluca Costantini, Giuseppe Palumbo e Rocco Lombardi che si possono ammirare in mostra, segni diversi e diverse sensibilità pittoriche pescano dal naufragio della storia piccoli amuleti che ci dicono soprattutto chi siamo noi, che cosa resta del giorno. Una sorta di rêverie storica che, come ci insegna Bachelard, non può essere raccontata, ma va messa su pagina.

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