Rivista "IBC" XXIII, 2015, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, pubblicazioni

Il patrimonio industriale a Modena. Atti della giornata di studi (Modena, 15 aprile 2011), Bologna, Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale - Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, 2014.
Il patrimonio industriale a Modena

Massimo Preite
[Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale]

La giornata di studi sul patrimonio industriale a Modena svoltasi il 15 aprile 2011 rappresenta un evento significativo per più di un motivo. Essa è frutto anzitutto di un'iniziativa congiuntamente avviata dall'Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale (AIPAI) e da Italia Nostra, iniziativa che non ha niente di occasionale; al contrario, essa testimonia una collaborazione fra le due associazioni già da tempo avviata e sicuramente destinata a un coordinamento sempre più stretto di futuri interventi promossi a difesa del patrimonio industriale. Il secondo motivo di compiacimento deriva dal fatto che questa giornata ha fornito una messa a sistema di un efficiente metodo di catalogazione dei beni industriali. Infine, come terzo motivo di interesse, sono da segnalare una serie di considerazioni che, evitando ogni trionfalismo, ci invitano a riflettere su alcuni aspetti critici delle politiche di riuso delle testimonianze industriali.

La pubblicazione degli atti, sul numero 7/2014 dei "Quaderni del Patrimonio Industriale", a cura di Massimo Tozzi Fontana e di Enrico Chirigu, offre una piena testimonianza dell'ampiezza del dibattito che si è sviluppato intorno ai temi sopra citati. Dibattito salutare, in quanto è riuscito ad affrontare in termini nuovi questioni che solo erroneamente potrebbero essere ritenute scontate; taluni infatti potrebbero domandarsi cosa si possa aggiungere ancora al tema della catalogazione del patrimonio. Personalmente, invece, ritengo che tale questione sia urgentemente da rilanciare, non solo per l'enorme ritardo accumulato, soprattutto in Italia, nelle attività di rilevazione di un patrimonio industriale che, nella sue effettive dimensioni, resta ancora "terra incognita". Ma soprattutto perché tendenze sempre più pervasive a definire il patrimonio come "costruzione sociale", come bene da tutelare e proteggere in nome di valori che riposano su una forte dose di fattori soggettivi (secondo cui la "comunità" è sovrana nello stabilire "cosa è patrimonio") hanno avuto l'effetto di derubricare e far scivolare in secondo piano i lavori di ricognizione "scientifica" sulla sua consistenza e sui suoi elementi di valore "accertabili".

A Modena, in controtendenza rispetto a questo strisciante disimpegno dalle attività di survey, si è tornati a parlare di "schede di censimento" (vedi il capitolo dedicato a Il censimento del patrimonio industriale modenese, di Enrico Chirigu), di "dichiarazioni di interesse culturale" ( La tutela del patrimonio industriale modenese, Paolo Frabboni), di "documenti" ( Documenti per la storia di Modena industriale, Giovanni Losavio). Questi saggi evidenziano l'ammirevole e prolungato lavoro di catalogazione del patrimonio industriale in Emilia-Romagna, attività che assegna a questa regione un'indiscussa leadership nelle operazioni di censimento dei beni legati alla produzione: a una prima fase, che si è svolta fra il 1978 e il 1981 e ha interessato i comuni di Modena, Carpi e Vignola, ha fatto seguito un'altra, condotta fra il 1986 e il 1987, che ha prodotto significative analisi della dismissione industriale in tutta la regione. L'attività di censimento è poi ripresa fra il 2001 e il 2005 per elaborare un atlante del vasto panorama produttivo regionale.

Da queste reiterate campagne di rilevazione è emerso un patrimonio della produzione che affonda le radici nell'età premoderna ed è frutto di una complessa stratificazione, oggi ancora leggibile nella persistenza di numerose testimonianze. Della natura composita di questo patrimonio, Massimo Tozzi Fontana scandisce le tappe salienti nel suo saggio intitolato L'AIPAI per il patrimonio industriale modenese: la rete idrografica, di origine preromana, poi sviluppatasi nelle epoche successive, ha rappresentato l'infrastruttura di base di approvvigionamento energetico di numerose attività (mulini, concerie, torni). Da questa base industriale precapitalistica ha preso slancio, successivamente, un articolato e diversificato sistema di imprese artigiane, la cui varietà non è venuta meno neanche in presenza di marcati fenomeni di specializzazione produttiva, tipici della fase industriale più recente: la leadership raggiunta nel settore automobilistico non ha impedito infatti lo sviluppo di altre filiere di produzione (spesso di altrettanta eccellenza).

Questa polisettorialità del patrimonio industriale modenese è ben rappresentata nei saggi successivi, in cui i diversi autori hanno fornito esaurienti esemplificazioni attraverso ben documentati studi di caso. È bene ricordare che l'accurata analisi delle vicende storiche connesse ai beni indagati non è fine se stessa, in quanto spesso funge da mezzo di contrasto per evidenziare le ferite che il patrimonio ha subìto: sia le menomazioni inferte dalla negazione di quel vincolo conservativo che avrebbe potuto, al contrario, garantirne l'integrità (vedi la demolizione della "rimessa del tram" dell'Azienda municipalizzata del Comune), sia le funzioni improprie a cui tale patrimonio è stato sconsideratamente destinato attraverso improvvidi interventi di riconversione: per tutti il caso della Manifattura tabacchi e la sua "indebita parcellizzazione in 150 pezzi".

Queste meritevoli denunce non esauriscono tuttavia la ricchezza delle esperienze che il convegno di Modena ha messo in luce; ve ne sono altre, infatti, da cui emergono buone pratiche di riuso del patrimonio industriale, in grado di coniugare conservazione e trasformazione in una cornice di mutua sostenibilità: la proposta dell' one square mile potrebbe rivelarsi di grande efficacia. Paradossalmente, essa trae tutta la sua forza dimostrativa proprio dalle debolezze del patrimonio che si intende valorizzare: nonostante le poche tracce rimaste, dalla loro ricomposizione in una dimensione integrata e sistemica si potrebbero ricavare nuovi percorsi di visita, in grado di offrire una molteplicità di piani di lettura diversi per distinti tipi di pubblico (ne scrivono Milena Bertacchini e Rossella Ruggeri).

In una direzione non meno stimolante si muovono il progetto partecipativo e il tavolo di confronto creativo per elaborare le proposte di recupero delle ex Fonderie riunite di Modena (Francesca Govoni e Alice Sighinolfi): in entrambi i casi si intravedono percorsi che offrono una convincente alternativa a pratiche di rycicle del patrimonio industriale urbano in cui, fra le ragioni della conservazione, quelle della memoria tendono a scomparire dietro quelle, sempre più prevalenti, del calcolo economico (la maggiore convenienza del riuso rispetto al "nuovo" in base alla contabilità del life cycle assessment), della socializzazione (i progetti di rigenerazione urbana delle aree ex industriali a fini ricreativi e di intrattenimento) o della commercializzazione tout court (lo shopping come motore della rinascita delle derelict lands).

Nella cornice di questi scenari ,su cui sempre più spesso si decidono le iniziative più recenti di recupero del patrimonio urbano, la memoria dei luoghi del lavoro interpreta un ruolo sempre più secondario. Il convegno di Modena è stato anche questo: un'occasione per ridare al passato una funzione più attiva, e meno servile.


Il patrimonio industriale a Modena. Atti della giornata di studi (Modena, 15 aprile 2011), Bologna, Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale - Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, 2014, 112 pagine, senza indicazione di prezzo.

 

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