Rivista "IBC" XXIII, 2015, 4

musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni

"De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie", Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 14 novembre 2015 - 28 febbraio 2016.
De Chirico: il grande silenzio

Enzo Vignoli
[collaboratore della rivista "OLFA. Osservatorio letterario Ferrara e l'Altrove"]

"De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie", ospitata fino al 28 febbraio 2016 al Palazzo dei Diamanti, è una mostra che va in dettaglio. Prende in esame, infatti, un arco di soli tre anni (1915-1918), almeno per quanto riguarda la produzione del Pictor Optimus. Di quel fecondo periodo troviamo influenze evidenti, in momenti anche lontani, nelle opere di pittori che seguirono strade diverse da quella di de Chirico, in un processo che, però, sostanzialmente fu a senso unico. Nel saggio introduttivo di Paolo Baldacci - curatore del catalogo e, con Gerd Roos, della mostra - leggiamo di "apporti [...] del linguaggio formale delle avanguardie alla pittura di de Chirico, che tuttavia rimane fedele a se stessa e [...] non fa che fortificarsi". Al contrario, il linguaggio del dadaismo, mutuato dall'"impeto distruttivo comportamentale di tradizione futurista", si esaurirà in pochi anni determinando "il migrare dei vari partecipanti verso altre esperienze". Del sodalizio parallelo con Carrà e De Pisis, come delle influenze che si determinarono in Morandi, Max Ernst, Dalì o Magritte, la mostra dà testimonianza e il catalogo offre numerosi momenti di approfondimento.

Nel saggio segnalato si dipana una storia in cui le vicende dell'artista e la sua creatività si espandono di pari passo. Milano, Firenze, Torino, Parigi e Ferrara sono le tappe di questo girovagare. Il ritmo denso dello scritto, a volte, fa pensare a un racconto il cui personaggio principale è in continua fuga dal presente, dal reale, da un mondo che non sa riconoscere, da un'imminente guerra assurda che lo insegue: in sostanza da ciò che de Chirico definì "la grande pazzia che esisterà sempre e continuerà a gesticolare e a far dei segni dietro il paravento inesorabile della materia".

Alla fine di questo primo periodo della sua lunga carriera artistica, per una casuale concatenazione di eventi, de Chirico approdò, insieme al fratello Alberto Savinio e con la vicinanza di Carrà e De Pisis, nel magico rifugio di Ferrara, immergendosi ancora di più in una dimensione che prescindeva dal tempo storico e che doveva trovarsi nel mito.

Gli albori della sua stagione metafisica, quelli che de Chirico definisce "mistero ellenico" e "mistero italiano", portarono a esiti differenti. Il primo fu dedicato alla ricerca su gli "enigmi del tempo e il sentimento della preistoria e del presagio", dando luogo a opere come L'enigma di un pomeriggio d'autunno e L'enigma dell'ora, oli su tela realizzati nel 1909 e nel 1910. Il secondo momento, il mistero italiano, fu collocato da de Chirico nella città di Torino e ci ha consegnato una serie di dipinti che, più avanti, verranno accomunati nella nota definizione di "Piazze d'Italia". Luoghi chiari, netti, anche se non necessariamente "riconoscibili", immagini pulite, schematiche, riempite da palazzi misteriosi immersi nella luce e nelle ombre pomeridiane, da fontane, da statue e dal treno all'orizzonte con i suoi sbuffi di vapore, gioiosa o triste reminiscenza di un passato di ritorni o di partenze.

Questi enigmi, figli anche delle letture e della memoria ingombrante del filosofo Nietzsche, che a Torino aveva manifestato drammaticamente i segnali della sua follia, sembrano trovare a Ferrara una nuova strada, un luogo segreto in cui appartarsi. De Chirico approda, forse, al nucleo stesso del mistero. Non deve più cercare, non gli occorre più trasporre il sogno nella tela. Ferrara è essa stessa il sogno, il mistero che si ritrae dai grandi movimenti della città metropolitana. Se Parigi era il centro nevralgico in cui si andavano a congiungere tutti i fermenti artistici e sociali della contemporaneità, Ferrara era il luogo dell'ombra, del diniego, della severità. De Chirico non dovrà più fantasticare piazze immaginarie, ma potrà rappresentare il Castello estense, sia pur trasfigurato in colori, luci e forme che non gli sono propri, regione estrema in cui l'artista si avventura e affida la propria fantasia, accostando la massiccia costruzione ora a un microcosmo di oggetti intimi nei Progetti della fanciulla, ora ai manichini delle Muse inquietanti, ora a una sorta di cartolina, il quadro nel quadro di Interno metafisico (con grande officina), o ancora, seppur più defilato, in Interno metafisico (con piccola officina).

Il centro della mostra è costituito da trentaquattro delle trentasette opere compiute, fra dipinti a olio e matite su carta, che de Chirico portò a termine fra il 1915 e il 1918, nei momenti in cui era libero dagli impegni del servizio militare e non avendo a disposizione uno studio. Presenti in tutto settantaquattro opere. Sembrerebbe difficile, in questo caso, poter prescindere dall'ambientazione ferrarese, eppure, dopo il 28 febbraio, tutto l'apparato presente al Palazzo dei Diamanti verrà trasposto "con molte varianti" nella Staatsgalerie di Stoccarda.


De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie, a cura di P. Baldacci, Ferrara Arte, Ferrara, 2015.

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