Rivista "IBC" XXVI, 2018, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne

A Forlì la mostra L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio , propone il ‘500 tra realtà e ideale.
Un secolo di linguaggi

Elisabetta Landi
[IBC]

È una mostra esemplare L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio, l’esposizione forlivese di quest’anno allestita al San Domenico e nella navata grandiosa di San Giacomo, restaurata e integrata per la prima volta agli spazi museali. La rassegna si propone come un percorso diacronico lungo il ‘500, uno dei secoli più affascinanti – ma anche dei più complessi – della storia dell’arte. É un progetto ambizioso, e senza precedenti, diretto da Gianfranco Brunelli e realizzato dal comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci e composto dai curatori Andrea Bacchi, Daniele Benati, Paola Refice e Ulisse Tramonti con contributi scientifici di Barbara Agosti, Cristina Ambrosini, Marco Antonio Bazzocchi, Francesca Cappelletti, Luisa Caporossi, Silvia Danesi Squarzina, Francesco Leone e Patrizia Tosini. Collaboratori all’impresa il Comune e la Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì, il Polo Museale dell’Emilia Romagna, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, i Musei Vaticani, il Museo di Capodimonte, Gli Uffizi e il FEC (Fondo Edifici di Culto).

I risultati sono straordinari. Oltre all’arrivo di tanti capolavori, l’elemento di richiamo, qui, è il pensiero geniale alla base dell’esposizione. É una panoramica ampia – il ‘500 tra realtà e ideale – affrontata con pensiero chiaro e con un racconto che percorre l’arco di un secolo. Protagonista è la nascita dell’età moderna ripensata attraverso un filo estetico di rimandi. Dal raffaellismo e dalle astrazioni della Maniera si arriva al Buonarroti e di qui, passando per la controriforma, ci si immerge nel Tempo e si raggiunge Caravaggio, intravvedendo, persino, i bagliori del secolo barocco. É un disegno audace, ma affrontato con un allestimento efficace che ragiona sulle vicende e ce le spiega con una lettura incrociata. Che parte dall’aggiornamento. Grazie ai pannelli, uno strumento formidabile e un accompagnamento didattico d’eccezione – mai didascalico – le formule imparate al liceo trovano consistenza, e stimolano la riflessione. Afferrato il filo della storia, l’intuizione prende il volo, e decolla. Un’occasione imperdibile, quindi, per chi studi o insegni storia dell’arte; ma anche per chi, di arte, non ne conosca granché e voglia capire come sono andate le cose, e come si è evoluto il pensiero. Godendo, al contempo, dello spettacolo di opere famose.

Si comincia nell’aula monumentale di San Giacomo con la rappresentazione del sacro, l’iconografia prevalente nella produzione del ‘500 che si muove tra Raffaello e Michelangelo, i due poli obbligati. La scelta delle opere è mirata: ci accoglie, non a caso, un lavoro del Sanzio, uno degli arazzi Vaticani commissionati da Leone X ( La Pesca miracolosa), perfetto nell’equilibrio di natura e storia e valido come manifesto di quell’arte che era al tramonto e lasciava spazio a una possibilità nuova: lo “sperimentalismo anticlassico”, rappresentato in mostra da una tavola del Beccafumi proveniente dall’Ermitage e dalla Madonna di San Ruffillo del Pontormo, espressioni di un’inquietudine formale che introduce alla stagione successiva. Quella, per intenderci, della Maniera, l’arte per l’arte, il codice di un linguaggio elitario e dai rimandi sottili interpretata dagli allievi dell’urbinate, Perin del Vaga e Giulio Romano, sconvolti per la morte del maestro (1520) e in cerca di una formula diversa; o da Rosso Fiorentino che ci sorprende, nel percorso di mostra, con i colori accesi dello Sposalizio della Vergine ispirato ai cromatismi della Sistina.

Poi, c’era stato il Sacco di Roma (1527), e quel sogno narcisista era entrato in crisi. I riformatori tuonavano sugli altari. I tempi erano cambiati, e gli artisti lo avevano percepito. Piano piano, si erano spogliati di ogni modalità capziosa. Lo aveva intuito il Buonarroti, sia nella vicenda umana che nel suo percorso di artista. La riforma spirituale, filtrata attraverso il neoplatonismo, lo aveva plasmato. I nudi, nella Sistina, erano il luogo del sé, l’espressione di una “ricerca” e lasciavano capire che qualcosa, nell’universo delle arti, era tramontato. Quei corpi erano una filosofia, una meditazione sul destino dell’uomo e un “itinerario” che portava al “centro”. Così, nella prima sezione e nel mezzo della navata, ecco un calco da Michelangelo, lo Schiavo ribelle in atto di sottrarsi alla morsa della materia e in fondo, sulla tribuna, due immagini trionfanti, classiche e vigorose: il Cristo portacroce della Minerva e il Cristo Giustiniani, come dire i modelli figurativi imperanti.

Il Sacco della Città Eterna aveva portato alla dispersione. Gli artisti erano fuggiti. Fiorivano centri nuovi: Firenze, Genova, Bologna, Mantova e, al di là delle Alpi, Fontaineblau. La Maniera era diventata europea, ma si continuava a guardare a Roma. In Emilia, però, i referenti centroitaliani si erano imposti in modo meno normativo e Correggio aveva elaborato un suo “modo”, una reazione “in negativo” che all’eroismo del Buonarroti contrapponeva una sensibilità femminea: quella, ad esempio, della Maddalena chiusa in un dolore adorante nel Compianto della Galleria Nazionale di Parma, tra i capolavori del pittore e tra le perle di questa sezione della mostra che non dimentica Lorenzo Lotto ( San Cristoforo) né Moretto da Brescia, rappresentato da una Caduta di San Paolo sorprendente che gioca sui valori dell’atmosfera, e anticipa Caravaggio.

Dopo avere ammirato le terrecotte policrome di Alfonso Lombardi ( Visitazione, San Girolamo) provenienti da Castel Bolognese (chiesa di San Petronio), due capolavori ispirati al versante bolognese del raffaellismo, si passa alla fortuna di Michelangelo che come “un fiume impetuoso” (Benati) attraversa il XVI secolo. Nella sezione successiva si ammirano i disegni del maestro dati in prestito da Casa Buonarroti (studi di figura) e si apprezza la ricaduta della sua produzione sui lavori degli artisti che ne divulgarono le “invenzioni”. Invenzioni non di rado dalla spiritualità turbata, dove si legge un desiderio di purificazione e una volontà di fuga nell’Eterno. Utilissima, per la comprensione di quel mondo mentale, è la riflessione sul rinnovamento evangelico degli spirituali, alla base dell’inquietudine di molti artisti (non ultimo il maestro di Caprese). È un capitolo di storia, e di storia mistica, di grande interesse che ci guida e ci fa capire le sfaccettature della religiosità riformata che si riversava sulle immagini: una religiosità che odorava talvolta di eresia. Le idee eterodosse -che preoccupavano il clero- erano quelle di Juan de Valdés convinto della necessità di un rapporto diretto con le scritture perché, nel rapporto con Dio, non era indispensabile una mediazione. Tutto ciò era piaciuto al cardinal Pole, e a Vittoria Colonna, l’amica di Michelangelo. In rapporto con gli evangelici era Lorenzo Lotto ( Sacrificio di Melchisedech) e si lasciarono affascinare dallo spiritualismo Sebastiano del Piombo ( Cristo portacroce) e il Pontormo che negli anni caldi della Riforma luterana studiava la “maniera tedesca”, e preparava gli affreschi per San Lorenzo (opera perduta) con i fogli visionari presentati in mostra, una testimonianza dell’influenza valdese sulle arti figurative italiane che si intuisce nella centralità del tema della giustificazione per fede.

Ancora, dopo un excursus sulla ridefinizione dello spazio che offre nuove possibilità alle immagini e fa centro sulle figure di Giuliano da Sangallo e del Vignola nell’epoca in cui si incrociano novità architettoniche e grandi committenze, il percorso prosegue con un altro tema, quello della controriforma e dell’epopea dei pontefici. Il cantiere del nuovo era Roma. Dal mecenatismo di Paolo III collegato alla Cappella Sistina al rilancio del rinascimento nell’età di Giulio II, e dal primato dei bolognesi negli anni di Gregorio XIII Boncompagni a Clemente VIII Aldobrandini, il papa delle “rivoluzioni”, quella di Annibale e quella di Caravaggio, l’esposizione attraversa la produzione artistica fiorita all’ombra dei pontificati. Cuore della mostra è la sala dedicata al “neofeudalesimo farnesiano” espresso nei due capisaldi del potere, il palazzo di Roma e la reggia di Caprarola. Qui l’allestimento, giocato sapientemente sui contrasti tra luci e ombre, ci impressiona con capolavori famosi; tra questi, il ritratto di Paolo III Farnese con i suoi nipoti, opera del Tiziano conservata a Capodimonte, il Ragazzo che soffia su un tizzone acceso, quadro straordinario di El Greco, il Cristo in pietà di Federico Zuccari e alcuni saggi delle statue antiche ( Antinoo Farnese, Venere accovacciata) che all’epoca dei Carracci sfilavano lungo la galleria affrescata da Annibale.

Dall’ampiezza delle proposte stilistiche maturate nell’ambito farnesiano l’allestimento ci introduce poi ad un altro argomento fondamentale per il XVI secolo: l’arte come biblia pauperum, libro per gli illetterati così come l’aveva concepita nel Dialogo delle immagini il cardinal Paleotti (1582). Una serie formidabile di pale d’altare documenta la nuova emotività dell’iconografia sacra, e ci commuove con i dipinti di Federico Barocci: un artista sui generis, che non abbandonava Urbino e inviava nella Capitale tele su tele, opere straordinarie e di intonazione sentimentale che facevano leva sul Correggio, e toccavano le corde più sensibili della religiosità popolare.

I “sensi terreni” fiorivano in modo specialissimo a Bologna, d’intesa con il Paleotti: nella sezione dedicata ai Carracci il linguaggio modernizzante dei tre pittori si qualifica con un respiro assolutamente nuovo, lontano dal lume eterno del rinascimento o dall’arte senza tempo di Scipione Pulzone, ritrattista “di corte” ( Ritratto di una principessa medicea) e autore di pale straordinarie ( Crocifissione) dove il soggetto si sottrae all’azione mutevole della natura; protagonista, invece, nel Martirio di San Toma e nella Conversione di San Paolo di Ludovico, capolavori nei quali lampeggia un lume crepuscolare e l’azione dialoga con l’ambiente.

Di qui, non prima di un tributo al classicismo bolognese, da Annibale ( Crocefissione di Santa Maria della Carità) a Guido Reni ( Trinità), gli spunti di riflessione offerti dalla mostra si spostano sul versante scientifico dell’osservazione e sul rapporto tra arte e natura. Un rapporto proficuo, nella Bologna dell’Aldrovandi, rappresentato in un’apposita sezione da tele formidabili di Bartolomeo Passerotti: scene “ridicole”, come all’epoca si chiamavano, ma da stare alla pari con la produzione di Cornelis van Haarlem ( Il monaco e la beghina) o con l’esattezza fiamminga di una natura morta famosa (Jan Brueghel il Vecchio, Vaso di fiori con gioiello).

L’itinerario nel “Tempo” e la riflessione sul “vero” proseguono poi con il Caravaggio. Nel Sacrificio di Isacco e nella Madonna dei pellegrini, dove un’umanità reale bussa alle porte del Cielo, il racconto è provocatorio. L’Eterno scende nel Tempo, e la “Storia” si trasforma in storia di tutti i giorni. All’aprirsi del nuovo secolo, la produzione sacra si ricongiunge al vivere quotidiano, e diventa un’esperienza interiore.

A Roma, anche con Rubens l’Eterno si cala nel Tempo, e nell’ Adorazione dei pastori si fa spettacolo: qui, in quest’opera coinvolgente che chiude in bellezza l’allestimento, la luce che si ispira alla Notte del Correggio si trasforma in una pirotecnica abbacinante e il fedele -o lo spettatore- attratto entro un vortice di colori non assiste più a una rappresentazione pittorica ma ne è partecipe, e la vive da protagonista.

Un grande evento, quindi, al quale si collegano manifestazioni parallele: a Bologna, presso la Pinacoteca Nazionale e fino al 17 giugno 2018, l’esposizione dedicata a I Carracci tra natura e storia. Bologna e la Riforma dell’Arte, e a Castrocaro la mostra intitolata Sacro e Profano. Le Arti tra ‘500 e ‘600, organizzata nel Padiglione delle Feste di Castrocaro Terme (FC) dal 10 marzo al 17 giugno 2018.

Mostra
L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio
Forlì, Musei di San Domenico 10 febbraio-17 giugno 2018

Catalogo
L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio, a cura di Antonio Paolucci, Andrea Bacchi, Daniele Benati, Paola Refice, Ulisse Tramonti, Cinisello Balsamo, Silvana Editrice, 2018.

 

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