Rivista "IBC" XXVII, 2019, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne

Una serie di piatti, quelli che normalmente si usano in casa o al ristorante, dipinti per l’occasione da noti artisti romagnoli.
Museo da gustare

Orlando Piraccini
[Studioso d'arte]

Per le feste artusiane di Forlimpopoli c’è stato il tempo dei Mangiari dipinti, la fortunata serie d’arte realizzata con la diretta partecipazione dell’Istituto Beni Culturali entro la suggestiva cornice della Chiesa dei Servi. Poi si è candidato il MAF ( Museo Archeologico di Forlimpopoli intitolato a Tobia Aldini e diretto da Silvia Bartoli) ad ospitare arti visive del nostro tempo nel segno e nel nome del celebre autore del manuale del ben mangiare e confidando nel fascinoso gioco della contaminazione tra antico e moderno.
In questi due ultimi anni, tra i reperti del museo si sono viste le pittoriche composizioni di Miria Malandri tratte dalla cinematografia novecentesca (come ai tempi dell’ormai leggendaria Biblioteca dipinta, la serie eseguita dall’artista forlivese per la mostra itinerante promossa dalla Soprintendenza per i beni librari dell’IBC nei primi anni duemila) e le Ovarole della compianta pittrice cesenaticense Tonina Cianca, dedicate alla tipica figura dell’“arzdora” romagnola.
Il Museo è servito, questo, invece, l’invitante titolo della rassegna inaugurata durante l’ultima festa artusiana (e aperta al pubblico fino all’8 settembre), comprendente una serie di piatti, quelli che normalmente si usano in casa o al ristorante, dipinti per l’occasione da noti artisti romagnoli. Non lucentezze e preziosità ceramiche, ma improvvisati effetti speciali tra brillantezze di smalti, svirgolate di pastello, pastosità acriliche e trasparenze d’acquerello, fantasie di collaggi e… le più varie tecniche miste. Un bel vedere insomma, e un bel gustare: per ogni piatto un’artusiana pietanza dipinta.

Menù a base di pesce ci propongono Tommaso Magalotti, Amissao Lima, e Adriano Maraldi il cui piatto si presenta come una sorta di tavolozza ai frutti di mare. Delizioso il pesciolino dipinto da Anna Maria Nanni, e davvero si fatica ad immaginarlo nel rombo in gratella dell’artusiana ricetta 465 citata nel titolo.
Barbara Antonelli serve sugose tagliatelle e Claudio Irmi pone nel suo piatto delle uova. A proposito della buona pasta ecco cosa precisa Artusi a pagina 84: “Le chiamo tagliatelle perché dovendo essere cotte nell’acqua e condite asciutte, va tirata la sfoglia alquanto più grossa e tagliata a striscie più larghe dei taglierini. Si tratta sempre di un impasto d’uova e farina, senza punta acqua se le desiderate ben sode e buone”. E poi avverte: “A parer mio questa è una minestra molto gustosa, ma per ben digerirla ci vuole un’aria come quella di Romagna”.
Bella storia racconta l’Artusi sulle uova: 

ci fu una volta il figlio di un locandiere da me conosciuto, un giovinastro grande, grosso e minchione, il quale essendosi sciupata la salute nel vizio, ricorse al medico che gli ordinò due uova fresche a bere ogni mattina. Datosi il caso favorevole e sfavorevole, insieme, che nella locanda v’era un gran pollaio, ivi si recava e beveva le uova appena uscite dalla gallina. Ma, come accade, il tempo dando consiglio, dopo qualche giorno di questa cura il baccellone cominciò a ragionare: «Se due uova fanno bene, quattro faranno meglio» e giù quattro uova. Poi: «Se quattro fanno bene, sei faranno meglio che mai» e giù sei uova per mattina. E con questo crescendo arrivò fino al numero di dodici o quattordici al giorno; ma finalmente gli fecero fogo, e un forte gastricismo lo tenne in letto non so quanto tempo a covar le uova bevute.

C’è tanta frutta nei piatti: Mario Bertozzi propone vere e proprio microsculture, Luciano Cantoni un succoso grappolo d’uva dipinto alla bella maniera, Oria Strobino e Luciano Paganelli attraenti melagrane, Luciano Navacchia una sorta di prima mela evocando Eva.
Mangiari poveri sono quelli dipinti da Ugo Pasini (in miniatura una delle sue ben note nature morte) o da Marino Trioschi, il quale titola il proprio piatto Il pranzo del bracciante: c’è il pane, c’è la piadina, ci sono vari salumi. Quello di Miria Malandri può essere considerato un vero e proprio “ritratto” di buona pittura alla pagnottella michetta. Mentre Roberto Casadio deve proprio aver pensato al mangiar bene dell’Artusi dipingendo il pranzo di due sorelle sedute a tavola.
Sul genere salumi, certamente fantasioso è il piatto di Nevio Bedeschi con la scena di un maialino calante da un elicottero su Forlimpopoli, volante come il prosciutto dipinto con bella inventiva da Giovanna Benzi, in arrivo a Forlimpopoli dalla Carpegna e parlante il dialetto romagnolo. In diversi piatti non mancano fiaschi, caraffe, come nella composizione a tutto bordo di Loris Pasini.
Sono recipienti adatti al buon vino e allora val la pena riprendere quest’altro buon consiglio del nostro Pellegrino: “Alcuni igienisti consigliano il pasteggiar con l’acqua anche durante il pranzo, serbando il vino alla fine. Fatelo se ve ne sentite il coraggio; a me sembra - sottolinea Artusi - un troppo pretendere!”. 

Non mancano il dolce e un finale a sorpresa. Alla gola pensa Massimo Sansavini con il suo inconfondibile stile da colorista digitale. Ispirandosi alla ricetta 675 ci offre una magnifica zuppa inglese che l’Artusi critica se fatta alla maniera toscana, perché troppo lenta la crema, a suo dire, come la fanno lì e dunque “non si presta per una zuppa inglese nello stampo e non fa bellezza”.
La mostra chiude con la stravaganza di Lucio Cangini: una misticanza di cuoricini all’aceto balsamico che di sicuro non si trova nell’arte del mangiar bene. Si può però pensare che dispiaciuta non sarebbe al buon Pellegrino, al pari del ritrattino della tipica Marietta che si può vedere se si gira il piatto.

Mostra:
Il Museo è servito, 23 giugno-8 settembre 2019
Museo Archelogico di Forlimpopoli "Tobia Albini"

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