Rivista "IBC" XXVII, 2019, 3

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, interventi

Contributo in occasione del convegno “Alberi Protetti, Etica, Cura, Diritto”.
Gli Alberi monumentali tra Territorio, Ecologia e Cultura

Alessandro Alessandrini
[IBC]

Gli Alberi monumentali tra Territorio, Ecologia e Cultura
Convegno “Alberi Protetti, Etica, Cura, Diritto” -  Ravenna, 20 settembre 2019

 

Cultura

Cominciamo dall’etimologia della parola “albero”, che in latino, è arbor; questa prende origine da termini precedenti e che nelle diverse lingue indoeuropee si articola in forme diverse, riconducibili a un’unica radice e che si riferisce a concetti, come il crescere, il salire verso l’alto, la fecondità. Nelle lingue sassoni più antiche il termine Irminsul rappresentava l’albero del Mondo, ovvero l’asse intorno al quale ruota il mondo; intendendo con Mondo non la Terra, ma tutto il cosmo di cui la Terra costituiva il centro.
Mi fermo per ora qui; concludendo con un pensiero; quando parliamo di alberi, parliamo di qualcosa che riveste un profondo significato ricco di simbolismi.
Posso citare en passant l’Albero della conoscenza del bene e del male, l’Albero di Jesse, l’Albero della Vita di cui è nota la straordinaria rappresentazione nel mosaico della Cattedrale di Otranto.
Questi simbolismi sono passati quasi intatti ai giorni nostri e a volte li usiamo anche senza rendercene conto. Pensiamo a tutti i modi di dire o proverbi che usano l’albero come elemento di paragone per indicare la stabilità e la forza.
Ma l’albero è anche la rappresentazione di una unione armonica tra la Terra e il Cielo. Le radici sono bene infisse nel suolo, sostengono e alimentano l’organismo; vivono nel misterioso mondo del sottosuolo, laddove si annidano le forze ctonie; simbolo di morte ma anche di rigenerazione (è nel suolo che le sostanze organiche vengono ridotte a inorganiche, rendendole pronte per essere nuovamente assorbite e incorporate nella materia vivente). Il fusto collega le radici con la chioma; il fusto porta verso l’alto la chioma. La chioma infine è la parte espansa, laddove, nelle parti verdi e in particolare nelle foglie, avvengono i processi fotosintetici che rendono possibile l’organicazione dell’anidride carbonica atmosferica. Ma la chioma è anche il luogo dei fiori, dei frutti e dei semi. Il luogo della sessualità, della riproduzione, della disseminazione.
Ed ecco un altro dei simboli dell’albero, quello della fertilità, della produzione di semi da cui l’albero si diffonde attraverso la produzione di prole, potenzialmente innumerevole. Anche su questo le leggende (e raffigurazioni) medievali di alberi da cui nascevano direttamente i corvi, le capre ma persino i bambini possono far sorridere, ma mettono in evidenza questo legame simbolico profondo; che, vale la pena di ricordare, permane ancora oggi ad esempio nel fatto che un albero o è del tutto e sempre femminile (es. la Quercia) oppure lo diventa quando da adulto comincia a produrre frutti e semi (es. l’Olmo che poi diviene l’Olma).
Un altro punto che vorrei rapidamente trattare: nella lingua latina gli alberi sono essenzialmente femminili. Per es.: Salix, Quercus, Tilia, Populus, Fagus, sono tutti sostantivi di genere femminile.
Ma la quercia (consideriamola provvisoriamente una “specie”) in latino è anche Robur, che assume anche tanti altri significati figurati: solidità, forza, durezza, energia, vigore, forza d’animo.
Non è un caso quindi se alcuni nomi di luoghi o stemmi di comuni o di famiglie siano costituiti da alberi; preferenzialmente proprio da Querce.
Uno dei comuni regionali che prende nome da un albero è Frassinoro. In quel territorio, che effettivamente è molto ricco di Frassini ( F. excelsior) ci si potrebbe aspettare che questo nobile albero venisse tenuto in particolare considerazione. Invece avviene esattamente il contrario: sono pochissimi gli individui rispettati; la grandissima parte è invece pesantemente decapitata e danneggiata da tagli inconsulti e del tutto immotivati.
Il Frassino era considerato l'Albero sacro dagli antichi Celti e Germani, che lo identificavano addirittura con la colonna che regge il mondo. Poiché le popolazioni appenniniche sono di origine ligure e quindi celtica questi maltrattamenti danno bene il segno di quanto tutto questo retaggio (che talvolta viene invece sostenuto con orgoglio e anche fuori luogo) sia ormai in realtà del tutto disprezzato e dimenticato.
La raffigurazione dell’albero (o meglio della sua parte aerea) è un utile modo per rappresentare relazioni di somiglianza-diversità tra oggetti complessi. Le figure che vengono originate attraverso procedure di analisi multivariata sono definite “dendrogrammi”, cioè diagrammi ad albero. Anche il modo di pensare per dicotomie, ovvero per diramazioni logiche successive in cui una via ne esclude un’altra, produce schemi di pensiero ad albero. 

Anatomia, fisiologia; struttura e sua complessità

L’albero è un organismo, ovvero è una struttura vivente costituita da diversi organi che lavorano in armonia ed equilibrio, ciascuno con una sua funzione. Già abbiamo accennato all’argomento, ma vorrei sottolineare che l’armonia delle diverse parti può essere modificata artificialmente, ma con grande cautela, usando il massimo rispetto e attenzione; in questo caso il “saper fare” è requisito preliminare per evitare danni permanenti e irreversibili.
Inoltre, l’aumento delle dimensioni produce un incremento non solo quantitativo, ma anche qualitativo; la corteccia si fessura; la struttura dell’albero diviene sempre più complessa; aumentano le biforcazioni di rami e con l’andare del tempo si creano cavità; oppure le cavità vengono create ad es. dai Picchi. A questa complessità morfologica segue un aumento delle occasioni di vita per altre specie. Inoltre, l’aumento in altezza rende l’albero interessante per la nidificazione di specie ornitiche che in questo modo trovano condizioni di sicurezza rispetto a predatori come gatti, volpi, faine, donnole e ovviamente anche Homo sapiens.
Probabilmente considerazioni simili sono (sarebbero) pertinenti anche per l’apparato radicale, ma comprensibilmente su questo tema le ricerche sono molto scarse e intuitive. Di sicuro l’aumento dell’età e della complessità degli apparati radicali esercitano un’influenza sulle produzioni di corpi fruttiferi fungini, sia epigei che ipogei (tartufi).

Ecologia

L’albero è un organismo che vive in stretta correlazione con l’ambiente e con altri organismi. L’ambiente è costituito anche da fattori non biologici come le condizioni climatiche, la quantità e la qualità della luce, la quantità e la qualità di acqua nel suolo e nell’atmosfera, il tipo di suolo (acido, neutro, basico; sabbioso, medio, argilloso-limoso), ecc. E’ inoltre sensibile alle alterazioni fisiche e chimiche dell’ambiente in cui si trova.
L’albero con la sua presenza e con le sue dimensioni contribuisce a modificare le condizioni microclimatiche; ad esempio grazie all’ombra si creano piccole isole con condizioni meno estreme e di grande utilità ad esempio per gli animali e anche per l’uomo.
Inoltre, diviene un punto di irradiamento sia di materiali organici da lui stesso prodotti (fiori, frutti, semi, foglie) sia di organismi sia animali che vegetali (spore di muschi o di felci, propaguli di licheni, semi di piante epifite, uccelli o altri vertebrati, invertebrati, ecc.). In questo modo la sua presenza esercita un’influenza ecologicamente significativa nei dintorni; tale influenza può anche essere descritta sia in termini qualitativi (quali specie? quali materiali?) che quantitativi (biomassa, estensione areale dell’influenza).
L’albero stesso è un ecosistema nel quale si realizzano una piramide ecologica e una rete trofica (organismi animali che compiono il loro intero ciclo sull’albero, nutrendosi ad es. di frustuli di corteccia, rametti, muschi, licheni).
Una linea di ricerca relativamente recente e in grandissimo sviluppo è quella che studia le interazioni tra radichette e organismi fungini. La Micorriza, ovvero la simbiosi tra ife fungine e radichette (apici e peli radicali), è un’interazione la cui importanza riveste un ruolo sempre maggiore; è fonte di alimenti (acqua e soluti) costituisce anche una connessione fisica e biologica tra diversi organismi. E’ un tema molto promettente e già abbiamo una letteratura amplissima che ne esamina i diversi aspetti. Possiamo per ora chiudere l’argomento sottolineando che un fenomeno che un tempo sembrava raro ed eccezionale, la Micorriza, è invece comunissimo; anzi, è vero il contrario: le piante e i gruppi sistematici che ne sono esenti costituiscono un’eccezione.
Inoltre, gli alberi, e i grandi alberi in particolare, ospitano decine di altre specie sia vegetali che animali; si pensi ad esempio ai muschi e ai licheni; ai funghi (non necessariamente patogeni); alle innumerevoli specie di insetti. Ancora una volta è da sottolineare che anche da questo punto di vista l’interazione tra rizosfera e altri organismi è quasi del tutto sconosciuta. Voglio anche sottolineare di nuovo che la (micro- e meso-) fauna che vive nella rizosfera non necessariamente va vista come una minaccia alla salute degli alberi; anzi, probabilmente gli equilibri coevolutivi che si sono realizzati sono di reciproco vantaggio.
A titolo di esempio, posso precisare (Nascimbene, com. pers.) che in Italia le specie di licheni legate agli alberi sono circa 900 su un totale di 2700 specie note attualmente. La buona conservazione degli alberi (e di alcuni lembi di foreste in particolare) risulta decisiva anche per la conservazione di specie licheniche di rilevanza conservazionistica.
Gli alberi inoltre offrono possibilità di nidificazione o di stazionamento per numerose specie di uccelli, alcune anche piuttosto rare e per mammiferi (non dimentichiamo i Pipistrelli!).
Gli alberi nel loro ciclo stagionale attraversano diverse fasi durante le quali vengono prodotti organi temporanei o semipermanenti ognuno dei quali riveste interesse per altre specie: le gemme (si pensi alle “perule” dei Pioppi utilizzate dalle Api per la produzione del propoli), i fiori e le infiorescenze, il polline, il nettare, i frutti, i semi, le foglie. Questi organi inoltre, cadendo al suolo, lo arricchiscono, lo migliorano e facilitano la permanenza di umidità. Le foglie quindi sarebbero da lasciare al suolo anche a beneficio di tutti gli organismi decompositori che se ne nutrono.
L’albero, come è ben noto, è di importanza ecologica anche quando deperisce (a volte il deperimento può durare decenni) e muore. Trattandosi di una grande massa di materia organica, è un alimento attraente che viene via via colonizzata da diverse ondate di organismi demolitori.
Insomma, il “grande albero” sostiene diverse decine di altri organismi in ogni fase dei suoi cicli stagionali e della sua vita.
Un mio progetto, mai realizzato a causa della mancanza di fondi, sarebbe stato quello di identificare qualche grande albero e di analizzarne concretamente il “paesaggio ecologico” che genera, sia in termini abiotici che biotici. 

Problemi di identificazione

Nella realizzazione di censimenti di possibili componenti di un registro degli alberi notevoli un problema può essere costituito dalla corretta identificazione degli esemplari. In base alla mia esperienza, non sempre è possibile pervenire a un’identificazione soddisfacente. Ciò avviene per diverse ragioni; propongo alcuni esempi.
Il gruppo delle Querce caducifoglie. In Emilia-Romagna appartengono a questo gruppo 3 specie certe: Quercus pubescens (Roverella), Quercus petraea (Rovere), Quercus robur (Farnia); singoli esemplari possono essere riferiti quasi certamente a Q. dalechampii. Molto ben distinto invece il Cerro che possiamo tenere separato. Sebbene sapendo quali sono i caratteri da osservare le specie elencate sono identificabili in modo soddisfacente, tuttavia nelle schede di rilevamento (e negli esemplari tutelati) compare molto spesso la Rovere che invece è rarissima. Si tratta per massima parte di Roverelle che pur essendo di grandi dimensioni sempre Roverelle restano. E’ vero che specialmente a fine estate alcuni individui presentano rametti glabri; ma gli altri caratteri distintivi rimangono costanti. Va tuttavia rammentato che la Roverella è specie estremamente variabile, tanto che in campo si ha l’impressione che sotto questo unico nome si nascondano in realtà molti taxa diversi oppure che i caratteri distintivi presentino una notevole variabilità.
Problemi simili danno anche i generi Tilia, Cedrus, Platanus. Il consiglio è quello di identificare provvisoriamente gli individui a livello generico; rimandando a successivi approfondimenti un’identificazione più precisa.
Inoltre, in tempi recenti si sta assistendo a una progressiva ibridazione tra Pioppo nero e Pioppi euroamericani, per cui in natura ormai dominano esemplari che presentano caratteristiche intermedie. I Pioppi euroamericani e relativi cultivar e ibridi, introdotti massicciamente per la coltura industriale stanno diventando un serio pericolo per l’identità genetica del Pioppo nero nativo. Quindi i grandi esemplari di cui parlavo e anche gli esemplari che si trovano nelle aie della pianura bassa costituiscono anche delle “riserve genetiche” che conservano i genotipi del Pioppo nero autoctono.

Il Territorio, il Paesaggio, il Patrimonio naturale

In questo incontro parliamo di Alberi “monumentali”; usiamo questo aggettivo perché è quello utilizzato più di frequente anche nella legislazione. Devo dire che questo termine dà un’impressione di qualcosa di fermo, quasi minerale e quindi lo uso malvolentieri.
Tuttavia mi piace ricordare la famosa (almeno per noi qui presenti) Legge regionale 2 del 1977 all’art. 1 recita: “La Regione … in particolare, promuove azioni volte ad impedire la totale estinzione di specie rare o in via di depauperamento o di singoli esemplari di notevole interesse scientifico, ecologico e monumentale.” È una dizione che, pur essendo di ormai oltre 40 anni fa conserva un suo interesse e una sua completezza.
In questa sede preferisco utilizzare un altro aggettivo: “notevole”, ovvero un albero che per le sue caratteristiche suscita interesse, ovvero “si fa notare”. Il criterio dimensionale è sicuramente uno di quelli che a prima vista emerge sugli altri. Tuttavia, lo dico chiaramente, non deve essere il solo né essere il criterio sine qua non. Mi spiego meglio; se una Roverella (che non è una forma giovanile della Rovere!) non raggiunge i 300 cm di circonferenza ma è ben formata, sana, magari collocata in cima a un colle in relazione con un bell’edificio di architettura rurale oppure nei pressi di un oratorio perché non può entrare a far parte degli “albero monumentali?”
Quando si parla di alberi notevoli, si parla di individui speciali, particolari; ognuno di questi è il risultato di una storia altrettanto speciale che sarebbe interessante tentare di ricostruire. Non è sempre chiaro se si tratti di individui relitti, cioè se costituiscano un resto di antiche foreste primordiali; molto probabilmente si tratta di individui che vennero piantati secoli fa (o anche solo decenni) per marcare un punto (da marcare: rimarchevole, remarquable in francese e inglese). I punti possono essere (mi riferisco al nostro territorio): un bivio, un incrocio di strade, un edificio, un punto confinario; a volte tuttavia gli alberi notevoli non appaiono legati ad alcun punto speciale; penso ai Pioppi neri colossali (e in via di rapida scomparsa grazie ai tagli devastanti) che si ritrovano ai margini delle “larghe” (ex terreni paludosi) nella pianura.
Di sicuro comunque, questi alberi che nel corso dei secoli (o anche solo dei decenni) sono diventati notevoli vennero piantati proprio per essere visibili da lontano; diventano quindi anche un elemento di costruzione del paesaggio (e anche di qualificazione, visti con gli occhi di oggi).
Un esempio importante è quello della “Rovere grande” (ma è una Roverella!) di Pieve di Montarsolo nel Piacentino, che ho avuto la fortuna di vedere ancora nel suo pieno vigore. È in relazione con una Pieve e in una località amena e ogni anno vi si celebrano una messa e una festa popolare. Oggi purtroppo questo colosso è morto.
L’albero notevole quindi va “messo in relazione” con un territorio di riferimento. Un approccio interessante potrebbe essere quello di associarlo alle “Unità di Paesaggio”, oppure ad ambiti territoriali omogenei individuati con metodologia analoga e riconducibili alla stessa classificazione paesistica del territorio regionale. Ad esempio se ci troviamo nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi dove sono presenti decine di migliaia di alberi notevoli, è del tutto inutile identificarne alcuni, se non magari di specie particolarmente rare (es. Tilia platyphyllos o T. cordata e Ulmus glabra). Se invece ci troviamo nella pianura che è poverissima di alberi e di alberi notevoli in particolare, un Pioppo bianco o nero di grandi dimensioni e ben visibili anche da grande distanza divengono importanti anche se, in senso di dimensioni assolute, rivestono scarsa importanza se confrontati a uno qualsiasi dei grandi alberi che formano vaste porzioni delle Foreste Casentinesi.
Un tema collegato al tema “albero e paesaggio”, ma che ha anche un forte influsso sulla salute dell’albero è quello dello spazio di rispetto. È uno spazio tridimensionale, che deve rispettare tutte le parti dell’albero (soprattutto le radici) e permetterne un’armoniosa crescita. Viene definita anche “contesto vitale” oppure Tree protection Zone; sono disponibili diverse modalità per stimarne l’estensione superficiale. Non sarà mai abbastanza ripetuto il concetto che il rispetto per e dell’apparato radicale è una condizione necessaria per la salute dell’albero.
Naturalmente va anche sottolineato il fatto che la flora dendrologica delle diverse aree risente moltissimo delle condizioni ecologiche del contesto; quindi ad esempio nella pianura alta o nei paleoalvei con suoli ghiaiosi e sabbiosi crescono specie diverse (es. la Farnia) da quelle di terreni argillosi e limosi (es. Populus nigra e Salix alba).
Un tema particolare (tra i tanti) è quello delle aree agricole incluse nelle espansioni urbane; spesso queste aree comprendono elementi arborei notevoli che non di rado vengono fortemente danneggiati dalle operazioni di urbanizzazione (danni gravi alle radici o alle chiome, impermeabilizzazione del suolo, o addirittura totale eliminazione degli alberi).
Un altro tema che meriterebbe un approfondimento ad hoc è quello dei Castagneti e in particolare di quelli storici tuttora coltivati. Oltre all’innegabile fascino estetico e al valore storico-culturale, i Castagneti sono indicati come tipologia di interesse comunitario nell’Allegato I della direttiva Habitat. Un altro dei progetti che non sono riuscito a sviluppare, grazie all’azzeramento dei finanziamenti regionali, sarebbe stato quello di circostanziare meglio questo tema, indicando caratteristiche strutturali, fisionomiche e di contenuto biologico (specie vegetali e animali, caratteri vegetazionali) che permettessero di sviluppare meglio questa indicazione di rango europeo, mettendola in relazione con i castagneti presenti in Emilia-Romagna. Cito solo il fatto che, in base ai dati sulla flora presenti nella banca dati IBC, è possibile individuare un gruppo di specie vegetali che risultano significativamente legate a questo habitat.
Un criterio che a suo tempo venne individuato dalla Regione Emilia-Romagna fu quello di dare priorità alle “specie” autoctone (metto specie tra virgolette perché, come già accennato non sempre è facile identificare con certezza gli alberi notevoli) e agli individui liberamente visitabili o almeno facilmente visibili dall’esterno se inclusi in aree recintate.
Termino infine con alcuni esempi di particolarità storico-territoriali che meritano di essere contemplate in un potenziale catalogo di “alberature notevoli”: i “cannocchiali visivi”: filari doppi che orientano lo sguardo verso una villa nobiliare. “Alberi gemelli” che identificano l’inizio di un viale d’ingresso di un edificio. Parchi un tempo di ville nobiliari e che ospitano individui arborei colossali. Filari di Gelsi a suo tempo impiantati per fornire alimento ai bachi da seta; sono piuttosto diffusi nella pianura alta parmense e piacentina. Ma gli esempi potrebbero essere anche altri…

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