Rivista "IBC" XXVII, 2019, 4

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / itinerari, progetti e realizzazioni

Il mosaico per l'arte pubblica negli ambienti delle reti ferroviarie metropolitane. Appunti su New York, Mosca, Londra, Parigi.
Aspettando il metrò

Daniele Torcellini
[Critico d'arte, curatore e docente]

Questo intervento nasce come riflessione ai margini dalla mostra Chuck Close. Mosaics, allestita negli spazi del Museo d’Arte della Città di Ravenna, dal 4 ottobre 2019 al 12 gennaio 2020. Chuck Close (Monroe, Washington, 1940), figura di spicco della scena artistica internazionale, dalla fine degli anni Sessanta affronta il volto umano con autoritratti e ritratti dipinti in scala monumentale a partire da fotografie, sperimentando un’ampia gamma di procedimenti di lavoro, di tecniche e di modi della rappresentazione, dall’iperrealismo ai limiti dell’astrazione. La mostra, curata da chi scrive, è dedicata alla più recente produzione dell’artista americano, in mosaico e in ceramica dipinta e stampata, la cui origine risale al progetto di arte pubblica, Subway Portraits, per la stazione 86th Street della linea di trasporto metropolitano newyorkese Second Avenue.
Dal 1985 il dipartimento Arts & Design della Metropolitan Transportation Authority (MTA) dello Stato di New York promuove interventi di arte pubblica e di progettazione degli spazi delle stazioni e dei corridoi della rete ferroviaria, con l’intento di offrire un’esperienza significativa a chi quotidianamente o saltuariamente si avvale del servizio di trasporto pubblico. Ad oggi sono oltre trecento gli interventi che il dipartimento Arts & Design ha portato avanti, spaziando ad ampio raggio da interventi permanenti di varia natura, prevalentemente parietale, ma anche scultorea o installativa, e muovendosi anche in direzioni meno consuete come quelle dei poster grafici o dei light box, fino a promuovere azioni temporanee come letture poetiche, performance o concerti ( 1). Il primo gennaio 2017 è stato inaugurato il primo tratto della linea Second Avenue. Linea la cui gestazione, lunga e difficoltosa, risale al terzo decennio del Novecento e il cui completamento, nella più recente ripresa dei lavori, ha richiesto una decina d’anni. Quattro progetti di arte pubblica sono stati commissionati per altrettante stazioni, coinvolgendo artisti di grande rilievo internazionale. Sarah Sze con Blueprint for a Landscape per la stazione 96th Street (in collaborazione con Alcalagres e Estudio Ceramico), propone, con piastrelle ceramiche di grandi dimensioni stampate con diverse nuance di blu, un immaginario tra il naturale e l’artificiale fatto di elementi più o meno precari, di varia consistenza, natura e leggerezza, fogli di carta, impalcature, uccelli, alberi e fogliame, investito da flussi di energia e come trascinato da un vento vorticoso che rende fortemente dinamica la composizione, occupando ampie superfici di tutta la stazione. Jean Shin con Elevated, per la stazione Lexington Avenue − 63rd Street (in collaborazione con il designer Tom Patti, con Miotto Mosaic Art Studio s e con l’artista Frank Giorgini per la produzione a mano delle ceramiche), recupera e astrae invece l’immaginario fotografico storico delle linee sopraelevate della Second e Third Avenue, antecedenti dell’attuale linea Second Avenue. Vik Muniz con Perfect Strangers, per la stazione 72nd Street (in collaborazione con il laboratorio Franz Mayer of Munich, Inc.), dopo aver fotografato persone più o meno eccentriche e bizzarre in attesa di salire in treno, le ripropone disseminate nei corridoi della stazione, utilizzando il mosaico in modo spiccatamente realistico. Chuck Close, infine, con Subway Portraits, per la stazione 86th Street, installa dodici teste di grandi dimensioni, nell’ampia varietà di modi di costruire un volto che connota il suo lavoro da ormai oltre cinque decenni, impiegando il mosaico (in collaborazione con il laboratorio Mosaika Art and Design di Montr é al, Canada) e la ceramica dipinta e stampata (in collaborazione con Magnolia Editions di Oakland, California).
Si tratta di quattro progetti di grande rilievo che, come le brevi descrizioni poco sopra evidenziano, riportano al centro dell’attenzione della scena dell’arte contemporanea, l’utilizzo di tecniche e materiali quali mosaico e ceramica dipinta. Questi interventi riconfermano così una via, che affonda le sue radici nell’antichità e che trova nel Novecento significativi impieghi proprio nell’ambito degli spazi delle metropolitane, per materiali vetrosi, lapidei e ceramici chiamati a rispondere ad alcune esigenze specifiche in termini di proprietà chimiche, fisiche e strutturali. La natura effimera o dematerializzata dell’arte, in questo genere di interventi, non è contemplabile. Nella stretta collaborazione che si viene a creare tra artisti e laboratori di produzione, la progettazione, l’esecuzione e l’installazione dei lavori devono seguire stringenti criteri operativi che soddisfino la necessità, per queste opere, di durare nel tempo. Un requisito, quello della lunga durata che, sebbene sia stato volontariamente trascurato da molta parte della ricerca sperimentale dell’ultimo secolo e, in molti casi, del tutto legittimamente, nell’idea di far emergere altre istanze e urgenze poetiche ed espressive, ora si ripropone. Avendo a mente la problematicità della conservazione dell’arte contemporanea, piuttosto sentita negli ultimi decenni soprattutto per quanto riguarda quelle opere che vedono impiegate tecniche e materiali non convenzionali e con approcci fortemente sperimentali, questi interventi offrono un’efficace soluzione a monte.

Il mosaico, storicamente, nasce e si sviluppa in ambito architettonico per far fronte all’esigenza di avere pavimenti e pareti che permettano di coniugare istanze estetiche e funzionalità: superfici impermeabili, di facile manutenzione, resistenti all’acqua, all’umidità, agli sbalzi di temperatura e all’usura del tempo ottenute utilizzando materiali naturali colorati, lapidei, o artificiali e colorabili, come vetro e ceramica, in una gamma cromatica più o meno ampia, fatti aderire al pavimento o alla parete per mezzo di malte, cementizie o a base di calce, che una volta indurite fanno da collante, a sua volta impermeabile. Nella contemporaneità, gli ambienti delle metropolitane, tanto più quelli sotterranei, rendono queste esigenze nuovamente stringenti, innescando un significativo rapporto tra arte pubblica, contesti urbani nei quali trova sede e dinamiche di fruizione che ne scaturiscono.
A ripercorrere la storia del mosaico negli spazi delle metropolitane, la rete newyorkese è senz’altro una delle prime importanti testimonianze di un utilizzo di questa tecnica per la realizzazione di elementi decorativi e delle indicazioni segnaletiche dei nomi delle stazioni, fin dalla sua apertura nel 1904. Tuttavia, un programma decorativo con il mosaico di più ampio respiro è quello della metropolitana di Mosca. Il mosaico è una tecnica che gode di larga fortuna in relazione alle istanze nazionalistiche e propagandistiche sovietiche e, riportando alla memoria gli aulici riferimenti imperiali di epoca bizantina, si presta ad incarnare artisticamente contenuti ideologicamente connotati. Un caso esemplare a questo proposito è la stazione Mayakovskaia, progettata dall’architetto Aleksei Dushkin e decorata con i mosaici dell’artista Aleksandr Deineka, tra il 1936 e il 1938. Se in generale le stazioni delle metropolitane moscovite erano progettate per dare l’idea di non trovarsi in spazi sotterranei, ricorrendo ad una illuminazione particolarmente intensa, a soffitti ad arcate che richiamassero l’idea della volta del cielo e a sistemi di ventilazione meccanica che disperdessero gli odori, la stazione Mayakovskaia si spinge oltre. Perseguendo l’obiettivo, caro al Realismo Socialista, della sintesi delle arti, trentacinque mosaici sono integrati formalmente e tematicamente negli spazi architettonici della stazione. Deineka vuole incarnare nei suoi mosaici l’esperienza dell’elevazione spaziale che connota l’architettura progettata da Dushkin. Si tratta di un programma decorativo, che oggi ascriveremmo all’ambito dell’arte pubblica, che evoca il concetto del volo e della leggerezza aerea, dedicando particolare attenzione al tema dell’aviazione sovietica, sia civile che militare, scorci dal basso verso l’alto di scene naturalistiche, urbane o di momenti di vita lavorativa o sportiva ( 2). La realizzazione dei mosaici vede Deineka collaborare con lo studio di mosaico dell’Accademia d’Arte di Leningrado, guidato da Vladimir Alexandrovich Frolov, responsabile dell’esecuzione anche dei mosaici di altre due stazioni della rete moscovita: Avtozavodskaya e Novokuznetskaya.
Uno dei più spettacolari esempi di arte pubblica, con il mosaico, negli spazi delle metropolitane, è poi senz’altro il lavoro di Eduardo Paolozzi per la stazione Tottenham Court Road di Londra. Si tratta di un ricco e articolato mosaico di circa 950 mq che ricopre diversi ambienti della stazione, dove Paolozzi, pioniere della Pop Art inglese, rielabora, con la libertà espressiva di un jazzista, un immaginario, in bilico tra astrazione e figurazione nonché cromaticamente molto acceso, che affonda le sue radici nell’estetica della meccanizzazione, dell’urbanizzazione, della cultura popolare e della vita di tutti i giorni. L’opera, commissionata nel 1979 e completata nel 1986, ha subito in anni recenti un imponente intervento di restauro, dettato anche dall’esigenza di modificare l’articolazione degli spazi interni della stazione, con l’inevitabile conseguenza di dover provvedere a distaccare una porzione di mosaico dalla sede originaria per essere ricollocata su una nuova parete ( 3), mentre altri frammenti, provenienti dalle due arcate distrutte del precedente ingresso della stazione, hanno invece trovato ricovero presso il College of Art di Edimburgo.
Del 1988 è invece la riapertura della stazione parigina Cluny−La Sorbonne dove un mosaico di 400 mq campeggia nel soffitto voltato del corridoio sotterraneo. Il mosaico raffigura due profili astratti di uccelli immaginari accompagnati dalle firme di diversi ex−studenti della prestigiosa università come Marie Curie, Blaise Pascal, Louis Pasteur, Paul Verlaine, George Sand. Si tratta di un’opera di Jean Bazaine, protagonista della stagione astratta e informale francese, non nuovo all’uso del mosaico ( 4). Di pochi anni dopo, il 1990, è invece l’imponente opera dell’artista e architetto belga Françoise Schein che, nella stazione Concorde, con 49000 piastrelle smaltate, ognuna delle quali corrispondente ad una lettera, riporta l’intero testo della D éclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789.
Ed è proprio a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo che si sviluppa l’idea di riqualificare gli spazi delle metropolitane in termini di attenzioni alla progettazione architettonica, al design degli interni e al rapporto con il contesto circostante. Se in Europa è il movimento della cosiddetta Station Renaissance a farsi notare, negli Stati Uniti riflessioni analoghe sono portate avanti nell’ambito del Context Sensitive Design for Railways. Giovanna Cassese, nel saggio incluso nel catalogo della mostra ravennate, scrive al riguardo: “Le ricerche sul design delle stazioni danno luogo così all’elaborazione e alla diffusione di nuovi standard progettuali, relativi non solo alle caratteristiche di ambienti, finiture, illuminazione, ma anche all’integrazione con opere d’arte site specific” ( 5), precisando come la presenza dell’arte trasformi i “nonluoghi” ( 6) del transito urbano in luoghi identificabili e dotati di identità.
Particolarmente significativo in questo senso è il progetto delle Stazioni dell’Arte della rete ferroviaria metropolitana di Napoli. Un vasto progetto promosso dall’amministrazione del comune di Napoli e curato da Achille Bonito Oliva che ha visto la realizzazione di circa duecento interventi e il coinvolgimento di un centinaio di autori di rilievo nazionale e internazionale, in una felice interazione tra interventi artistici e progettazione architettonica ( 7). A fronte dell’impiego di una vasta gamma di materiali e tecniche, il mosaico trova qui largo utilizzo nei lavori di artisti quali Nicola De Maria, Sandro Chia, Marisa Merz, Luigi Ontani, Francesco Clemente, Enzo Cucchi. La stazione Toledo (2012) è emblematica in questo senso perché in essa si possono vedere due modi diversi, ma anche complementari, di impiego del mosaico: vi si trovano infatti sia i mosaici di William Kentridge, eseguiti dal mosaicista romano Costantino Buccolieri, sia quella suggestiva articolazione degli spazi interni progettata dell’architetto Óscar Tusquets Blanca − un’apertura conica che attraversa tutti i livelli della stazione per quaranta metri di profondità, dal piano della strada fino al di sotto del livello del mare − interamente rivestita a mosaico da Bisazza. Altrettanto significativa è poi la stazione Salvator Rosa (2001), progettata dall’Atelier Mendini. Gli interventi a mosaico ideati da artisti quali Mimmo Rotella, Mimmo Paladino, Gianni Pisani, Ernesto Tatafiore, Ugo Marano, Fulvia Mendini, Renato Barisani, sono felicemente e strettamente integrati all’architettura, con il gusto post−moderno che caratterizza l’estetica di Mendini.
Se muoversi distrattamente e rapidamente nei corridoi, lungo le scalinate, dentro e fuori le stazioni delle metropolitane è quanto di più consueto per la maggior parte di noi, la presenza dell’arte o, allo stesso modo, una progettazione esteticamente rilevante degli spazi, hanno il potere di connotare questi ambienti non solo come ambienti di transito. L’opera d’arte ci suggerisce una sosta, richiama la nostra attenzione, apre un canale di relazioni − di comunicazione e interscambio tra artisti, opere e visitatori −, invita alla riflessione e all’esercizio del pensiero, mettendoci nella condizione di confrontarci, anche quando saliamo o scendiamo da un treno, con la complessità.

NOTE

1 Si veda l’intervista a Lester Burg, vicedirettore di MTA Arts & Design, inclusa nel catalogo di mostra Chuck Close. Mosaics, a cura di D. Torcellini, Cinisello Balsamo: Silvana, 2019, p. 108−110. Ulteriori informazioni e immagini al sito web http://web.mta.info/mta/aft/, ultimo accesso 24/11/2019.

2 J. Friedman, Soviet Mastery of the Skies at the Mayakovsky Metro Station, in Studies in the Decorative Arts, Vol. 7, No. 2 (Spring−Summer 2000), pp. 48−64.

3 https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=JLpwRmy8YIQ&feature=emb_title, ultimo accesso 24/11/2019.

4 http://metro.paris/fr/place/station−cluny−la−sorbonne, ultimo accesso 24/11/2019.

5 G. Cassese, La grande sfida contemporanea del mosaico e della ceramica per l’arte pubblica e nei luoghi di transito, in Chuck Close. Mosaics, a cura di D. Torcellini, Cinisello Balsamo: Silvana, 2019, p. 58−60.

6 M. Augè, Nonluoghi: Introduzione a una antropologia della surmodernità , Milano: Eleuthera, stampa 1996.

7 http://www.anm.it/index.php?option=com_content&task=view&id=687&Itemid=295, ultimo accesso 24/11/2019.

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