Rivista "IBC" XXVII, 2019, 4

Dossier: Esplorazioni sul patrimonio culturale in Europa

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

Critical heritage studies e tradizione italiana: un incontro necessario

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Anche un rapido sguardo al programma del prossimo convegno internazionale dell’Associazione dei critical heritage studies (Londra, 26-30 agosto 2020) è sufficiente a render conto dell’ampiezza, in termini metodologici e interdisciplinari, e dell’estrema aderenza alle tematiche della società contemporanea di questo filone dei critical studies dedicato al patrimonio. “Futures” è, programmaticamente, il titolo del convegno londinese che intende discutere e analizzare, fra l’altro, gli impatti dei cambiamenti climatologici, ecologici, economici e sociali sul patrimonio e come il patrimonio culturale possa assumere un ruolo attivo e positivo nella creazione dei futuri scenari sociopolitici e ambientali.

Se i critical heritage studies si riconoscono in un filone di studi autonomo, per quanto composito, solo da una decina di anni, gli heritage studies nel senso moderno del termine possono essere fatti risalire agli anni ’80, a partire da una serie di ricerche che cominciarono a indagare, seppure sotto prospettive molto diverse fra loro, il fenomeno della costruzione e dell’accesso al patrimonio. Fra questi sono senz’altro da citare: The Past is a Foreign Country di David Lowenthal e The invention of the tradition a cura di  Eric Hobsbawm e Terence Ranger e, sul versante francese, Les lieux de Mémoire di Pierre Nora e gli studi di Pierre Bourdieu sul capitale culturale e la critica del gusto.
Il patrimonio cominciò quindi ad essere letto come una costruzione sociale, prodotto e produttore allo stesso tempo di modernità.
Nel loro sviluppo gli heritage studies, fortemente influenzati dal pensiero sociale costruttivista, hanno interpretato  i processi di patrimonializzazione culturale  come risultato di una negoziazione fra gli interessi, spesso conflittuali, della società contemporanea.

A partire dagli anni ’90, mentre sul piano metodologico si ampliava l’attitudine multidisciplinare, gli heritage studies si sono concentrati sull’analisi del discorso relativo al patrimonio inteso in senso “ufficiale”, così come allora interpretato dall’UNESCO che, attraverso la World heritage list, ne esprime l’ideologia universalista. Un patrimonio per lo più monumentale, antico, dotato di caratteristiche di unicità, “autenticità” e di elevato significato estetico-storico, ma soprattutto espressione dei “valori” occidentali così come definiti da una casta di esperti (archeologi, storici dell’arte e museologi), gli unici delegati alla definizione e gestione del patrimonio attraverso quello che dai c.h. studies è stato definito Authorized Heritage Discourse (AHD, Smith 2006).
In stretta  connessione con lo sviluppo dei post-colonial studies gli heritage studies hanno così decostruito l’AHD, interpretato quale  strumento dell’egemonia culturale occidentale. In questo percorso, non per caso, sempre maggiore peso hanno assunto gli studi derivanti da tradizioni culturali non europee, in particolar modo australiane e sudamericane.
Il material-turn che ha caratterizzato scienze umane e sociali dall’inizio del millennio e che riassegna una nuova centralità agli oggetti  e alle loro interazioni con gli uomini, costituisce oggi la cornice epistemologica di riferimento, anche se non esclusiva, dei c.h. studies, ricollegandosi sia all’ actor-network theory così come sviluppata da Latour, sia alla nuova ecologia elaborata da Morton, e in generale alle object-oriented ontologies. Questa evoluzione sul piano teorico si accompagna ad una contemporanea espansione del concetto di patrimonio dilatato fino a non avere più limiti di forma e manifestazione, né di tempo o di proprietà, tanto che ormai le alternative tradizionali – natura/cultura, materiale/immateriale, passato/presente e financo salvaguardia/perdita - si sono mano a mano sfocate, fino ad annullarsi.
Ribaltando la prospettiva dell’AHD che considera(va) il patrimonio come un insieme di oggetti e monumenti dotati di valori intrinseci - per lo più estetici o storici - per i c.h. studies il patrimonio è assimilato piuttosto ad un processo attraverso il quale costruiamo, ricostruiamo e negoziamo identità, valori, memorie e significati culturali e sociali che ci aiutano a dar senso al presente. 

Attivo sul piano simbolico e coinvolto nella legittimazione delle narrazioni storiche e culturali il patrimonio è pertanto - sempre - immateriale, politico e conflittuale in quanto frutto di scelte e selezioni non casuali.
Coerentemente con tali assunti gli assi della ricerca dei c.h. studies  si riconnettono ai temi cardine della contemporaneità. A partire dal tema dell’Anthropocene. Su questo soggetto  i c.h. studies condividono per lo più l’analisi del fallimento del paradigma della sostenibilità, tanto che taluni studiosi preferiscono parlare di “era della distruzione”. Così i fenomeni di perdita del patrimonio sono indagati sia nella loro inevitabilità, ma anche nelle potenzialità in termini di attivazione di nuovi valori e forme di significato inaspettate. Su un orizzonte simile si pone l’analisi del così detto “unruly” heritage degli “unintentional monuments” e delle memorie “involontarie” quali le scorie nucleari o i rifiuti di vario tipo, considerati come “patrimonio” che si contrappone a quello frutto di una selezione volontaria e controllata dall’uomo.
Evidente è, infine, la correlazione con i decolonial studies su di un fenomeno – il colonialismo – che continua ad operare su molteplici livelli, e al quale la così detta archeologia del passato contemporaneo offre strumenti e studi di grande efficacia interpretativa.
Nel complesso ciò che sta emergendo dall’insieme dei c.h. studies, è una struttura interpretativa nei confronti del patrimonio culturale allo stesso tempo più ecologicamente consapevole, meno antropocentrica e definitivamente orientata al superamento degli schemi metodologici occidentali.
A tale effervescenza ermeneutica il riscontro in ambito italiano è stato sinora assai debole. La mancanza, ormai pluridecennale, di un aggiornato filone di heritage studies nella nostra tradizione scientifica è senz’altro una delle cause che hanno reso il dibattito attorno al nostro patrimonio culturale asfittico e avvitato su pochi ripetitivi leitmotiv, come ad esempio le supposte dicotomie tutela/valorizzazione, pubblico/privato, centralismo/autonomia.

Quali che siano le ragioni - molteplici - del nostro ritardo, mentre nel resto del mondo, occidentale e non,  gli studi sul  patrimonio si sono programmaticamente contaminati non solo con antropologia ed etnologia,  ma con un ampio orizzonte disciplinare, dalla geografia umana, alle scienze cognitive o politiche, ai tourism e border studies, solo per citarne alcuni, in Italia gli studi sul patrimonio continuano ad essere dominati dalle discipline umanistiche tradizionali (dalla storia dell’arte all’archeologia).
L’apporto delle scienze sociali all’interpretazione del patrimonio non è ancora concepito in maniera sistemica, retaggio di quell’incompiuto dialogo fra antropologia e discipline umanistiche che ha connotato la nostra accademia fin dall’800 e che non sembra ancora essere stato ricucito.
Tanto più necessario, quindi, a fronte di un conclamato ritardo in questo settore, cercare di ampliare l’orizzonte di una tradizione, quale quella italiana, che, ad esempio, considera ancora marginale la necessità di una profonda decolonizzazione degli strumenti interpretativi, dalle ricostruzioni archeologiche agli allestimenti museali.
Con la sua partecipazione al progetto europeo CHEurope (v. Kristiansen), l’Istituto per i Beni Culturali si colloca in quest’area di studi riaffrontando, con nuovi strumenti e aggiornate prospettive culturali, uno dei temi fondanti del nostro Istituto, quello dei centri storici, ora investiti, in Italia come in Europa, dai fenomeni connessi all’ overtourism con tutte le ambiguità sociali, urbane, culturali che comportano (v. Bugalski).

Oltre a questo tema, CHEurope ripropone, nelle ricerche dei suoi 15 giovani ricercatori, l’ampiezza tematica e metodologica caratteristica dei c.h. studies: dal tema dei migranti, a quello del cambiamento climatico, a quello degli archivi digitali o ancora dell’uso del patrimonio come terapia funzionale al miglioramento della resilienza e del benessere psicologico.

 

Per saperne di più:

L. Smith 2006, Uses of Heritage, London, Routledge.
R. Harrison 2012, Heritage: critical approaches, London, Routledge.
A. González-Ruibal 2018, An Archaeology of the Contemporary Era, London, Routledge.

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