Rivista "IBC" XXVIII, 2020, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali

Editoriale
L'IBC e l'epidemia

Roberto Balzani
[Presidente IBC]

Il percorso istituzionale che si conclude ufficialmente il 31 dicembre 2020, relativo al “trasferimento dell’esercizio delle funzioni dall’IBACN alla Regione”, coincide con la lunga e dura fase dell’epidemia di Covid-19 ( 1). Ricordiamo tutti, perché ciò ha inciso sulla nostra attività, la prima reazione, fra marzo e maggio, quando il ricorso al digitale, nelle forme e nei modi più vari, ha rappresentato la modalità prevalente nel rapporto fra istituzioni culturali e pubblico. Abbiamo ancora in mente l’entusiasmo e il volonteroso dilettantismo di quelle settimane, che comunque ci hanno consentito di fare esperienze altrimenti difficilmente immaginabili in tempi tanto compressi. È poi venuta la stagione (col senno di poi, illusoria) della ripartenza, della normalizzazione. L’IBC e l’Assessorato regionale hanno cercato di sostenere le riaperture degli istituti, di allargare gradualmente le maglie dei limiti posti alle attività in presenza, preoccupandosi di rendere omogenea l’applicazione dei DPCM. Siamo riusciti a garantire la sicurezza dei nostri spazi, benché a costi in genere molto alti, accettando comunque la sfida di una cultura che non avrebbe dovuto fermarsi, nonostante la scarsa presenza di stranieri e la riduzione drastica dei flussi. Abbiamo contato perdite di visitatori e utenti fino al 70, 80%; alcune realtà non sono state capaci di riprendersi; l’impossibilità di recuperare personale in grado di far fronte al servizio al pubblico ha condannato altre a ridurre l’offerta in modo consistente. Ciò nonostante, in qualche modo l’estate è passata, con risultati spesso non disprezzabili, e ci si riproponeva di continuare lungo questa via: un recupero graduale, moderato, prudente.
La seconda ondata, da ottobre, ha gelato sul nascere questi timidi tentativi e la cultura nazionale, questa volta, afona e marginalizzata, non ha rigenerato per reazione lo spirito della primavera. Complice l’autunno incombente, le chiusure hanno coinciso con un ripiegamento in molti casi rassegnato, o reso inevitabile dall’esaurimento delle risorse. Le iniziative portate sui social o sui canali digitali non hanno avuto più l’appeal e lo smalto della novità, e hanno perso in parte visitatori; resistono meglio quelle concepite per le scuole, in genere di supporto alle attività didattiche da remoto. Le biblioteche e gli archivi, dopo la fase estiva, contrassegnata da un faticoso ritorno alla normalità, sono tornate deserti; e una parte della ricerca – umanistica, ma non solo – si è fermata. I nostri ragazzi faticano a preparare le tesi; i dottorandi non hanno accesso alle fonti materiali. Gli studiosi sono costretti a dedicarsi ad altro. Questa stasi nella riflessione e nella produzione di idee la pagheremo: gli istituti culturali non sono solo “luoghi aperti al pubblico”, ma infrastrutture necessarie alla ricerca. Senza la quale, fra l’altro, non c’è neppure divulgazione innovativa, né investimento intellettuale sul futuro.
Resta poi il dubbio circa gli effetti permanenti dell’epidemia ( 2). Quante realtà, piccole in genere, ma non è detto, perderemo? Quante non riapriranno più? La corsa alla musealizzazione, dopo trent’anni di successi impetuosi, è destinata a concludersi di colpo? E che ne sarà dei nostri beni? Io credo sia necessario fin d’ora porsi queste domande ( 3), per rilevare e monitorare con precisione processi con i quali domani saremo chiamati a confrontarci. Non lo farà più l’IBC; ma le donne e gli uomini dell’IBC, che continueranno la loro attività al servizio del patrimonio, in Regione, sono pronti a farlo. Il doppio colpo subito dalla cultura – psicologico e materiale – sarà l’oggetto d’indagine privilegiato della fase di “ricostruzione” (perché di una vera “ricostruzione” si tratta), che attende il Paese auspicabilmente già (forse) dal 2021. Gli istituti, pubblici e privati, uti singuli, hanno avviato fin d’ora la necessaria riprogrammazione, leccandosi ferite più o meno profonde, a partire dalla redazione dei bilanci preventivi. Ma le forze che sono presenti in IBC oggi, e che saranno presenti in Regione domani, hanno la possibilità – e il dovere – di offrire dati e chiavi di lettura per una valutazione di contesto, sulla base della quale impostare future politiche coerenti. L’IBC è stato, durante l’epidemia, il collettore del sentimento comune: le riunioni online, in cui ci si scambiavano opinioni e buone pratiche, sono servite a tutti noi, anche solo per affermare la nostra appartenenza ad uno spazio culturale condiviso, esistente e resistente nonostante le separazioni forzate e le distanze fisiche divenute improvvisamente insuperabili. Nei prossimi mesi, questo “capitale sociale” non può andare disperso: costituisce un bene immateriale, fra i tanti accumulati in quasi mezzo secolo, che l’Istituto passa alla Regione. E sono certo che sarà adeguatamente valorizzato.
Per ciò che mi riguarda, è stato un privilegio presiedere l’IBC, al quale sono legato da tanti ricordi indelebili e da tanti bellissimi incontri. Auguro a tutti anni di serenità e di intenso lavoro dalla parte del patrimonio. Come sempre.

 

 

1.François Hartog, Trouble dans le présentisme : le temps du Covid-19, in « AOCmedia », 1 avril 2020.

2.Cfr., per una recente messa a punto concettuale, François Hartog, Il patrimonio, una nozione per i tempi di crisi, in “il Mulino”, 2020, 4, pp. 571-585.

3.Vincenzo Trione, Musei, le cose da fare alla fine della pandemia, in “Il Corriere della Sera”, 22 novembre 2020.

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