Rivista "IBC" X, 2002, 1

musei e beni culturali / didattica, interventi

I modi di comunicare al pubblico il museo dipendono da molti fattori: il tipo di collezioni disponibili, il contesto territoriale, le richieste della scuola e della società, la professionalità e la creatività degli operatori. Per scegliere l'approccio didattico più opportuno bisogna partire dalle domande giuste.
Era un lusso per pochi...

Cristiana Morigi Govi
[direttrice del Museo civico archeologico di Bologna]

Romano Prodi, nel presentare dieci anni fa il XXXVIII convegno nazionale dell'Associazione italiana biblioteche, ha usato su questa rivista uno slogan particolarmente efficace, "non si può vivere ricchi e stupidi per più di una generazione", per affermare che "la cultura non costituisce più una spesa di consumo, ma sotto ogni aspetto una spesa necessaria di investimento".1 Ciò che importa - concludeva Prodi - "è di portare al centro dell'attenzione pubblica il problema della diffusione della cultura, il tema della scuola e delle biblioteche", e io aggiungo: il tema dei musei e, più in generale, delle istituzioni culturali.

La nascita del museo pubblico è fortemente legata ad un fine educativo. Emblematico è il "Patto di famiglia" con il quale nel 1737 Anna Maria Ludovica, l'ultima discendente dei Medici, passando ai Lorena l'immenso patrimonio artistico dichiarava quali erano i fini della sua donazione: l'onore dello Stato, l'educazione dei cittadini e l'utilità dei forestieri. L'educazione dei cittadini ha un posto centrale e, significativamente, precede l'interesse per i forestieri: a che cosa servirebbe infatti il museo se non si rivolgesse, in primo luogo, ai "suoi" cittadini?

Il successo di un museo si misura in termini di formazione e diffusione culturale e non di utile economico (quando anche fosse possibile raggiungerlo!); può sembrare un paradosso ma anche i bookshop dei musei svolgono soprattutto una funzione di servizio per il pubblico, non essendo certamente una ricca fonte di reddito (anche se spesso, contro ogni evidenza, se ne parla a sproposito).

Il fine educativo è dunque un impegno prioritario del museo. Tutto dovrebbe essere rivolto a questo fine: dal progetto espositivo ai testi delle didascalie di cui ciascun oggetto deve essere fornito, ai pannelli generali, alle guide, cartacee e acustiche, ai gadget, ai CD con le visite virtuali dei percorsi museali, ai siti web che, se ben concepiti (e in rete se ne trovano di ottimi) devono prima invogliare ad una visita e, successivamente, fornire la possibilità di approfondire quello che si è visto. Anche i risultati dell'attività scientifica, che è il motore primo di ogni museo, devono avere una sollecita visibilità; è doveroso quindi trovare i modi per rendere note anche ad un pubblico di non specialisti le scoperte di uno studio o di un restauro.

Generalmente per didattica dei musei intendiamo l'azione frontale che gli operatori del museo intrattengono con il pubblico scolastico ed adulto; non è qui il caso di ripercorrerne la storia, già ben delineata da Maria Lisa Guarducci,2 ma è bene ricordare che il percorso è stato lungo e molto travagliato, soprattutto perché l'idea di servizio educativo non era insita nel DNA dei nostri musei, come invece è accaduto soprattutto per quelli di cultura anglosassone: basti pensare che il Brooklyn Museum di New York nel 1895 aveva un Educational Department.

In Italia, solo trenta anni fa, la didattica museale era considerata una bella aspirazione, un lusso che si potevano permettere poche grandi istituzioni italiane quali la Galleria Borghese, la Galleria d'arte moderna di Roma, Brera, gli Uffizi, il Poldi Pezzoli, la Galleria nazionale di Parma. Il Museo civico archeologico di Bologna, anche se in forma più artigianale, ha iniziato i primi incontri didattici con la scuola nel 1973.

La situazione per fortuna è cambiata, e oggi molti nostri musei, anche piccoli o piccolissimi, hanno un programma didattico soprattutto per le scuole, ma spesso anche per il pubblico adulto. Nel 1999 il Ministero per i beni e le attività culturali ha creato il Centro dei servizi educativi, con un giornale online, S'ed, dove compaiono i programmi didattici svolti soprattutto dai musei statali.

Questo notevole progresso è la risposta ad una richiesta sociale molto forte, nata a partire dagli anni Settanta, ma è anche il risultato dell'attività pionieristica e coraggiosa di pochi museologi quali Paola della Pergola, Paola Bucarelli, Fernanda Wittgens, Maria Rossi Todorow, Palma Bucarelli, Lucia Fornari Schianchi, Alessandra Mottola Molfino, e del sostegno di illustri studiosi da Romanelli ad Argan, da Bianchi Bandinelli a Pallottino a De Angelis D'Ossat.

Le forme della didattica sono pressoché infinite ed è difficile, ma anche sbagliato, volerle ingabbiare in schemi, perché qualità e caratteristica dell'approccio dipendono da molti fattori: il tipo di collezioni del museo, il contesto territoriale, le richieste della scuola e della società (che è importante sapere cogliere per non tornare ad esercitazioni puramente accademiche), senza dimenticare la professionalità e la creatività dell'operatore. La prima domanda che il Museo si deve porre è: a quale pubblico mi rivolgo? quali sono le nozioni che possiede un visitatore comune? E quindi quale scopo mi prefiggo? E ancora: quali sono le informazioni stimolanti e sollecitanti per invogliare un visitatore a ritornare, per conoscere meglio un'opera d'arte o solo per il piacere di guardarla con più attenzione?

Pur nella varietà degli approcci, si possono comunque individuare alcune tipologie più ricorrenti di didattica, che esaminerò brevemente.

 

Visite guidate

La visita guidata è la forma ancora più diffusa, benché più volte condannata a morte in quanto ritenuta una forma passiva di apprendimento, soprattutto per quello che riguarda la scuola. Negli anni Settanta tutti abbiamo creduto che il museo si dovesse preoccupare di fornire gli strumenti perché ogni insegnante potesse gestire in prima persona il museo, in relazione al programma che intendeva svolgere in classe.

Ma nonostante le energie profuse - numerosissimi sono stati i corsi di aggiornamento organizzati da tutti noi per i docenti - ci siamo accorti che ciò avviene molto raramente. Gli insegnanti, con lodevoli eccezioni, non si sentono generalmente in grado di affrontare argomenti che continuano a ritenere troppo specialistici; perciò la scuola continua a chiedere visite guidate; e il museo non si può sottrarre a questa richiesta: una guida preparata e capace è utile sia agli alunni, sia agli insegnanti che in classe dovrebbero continuare ad approfondire l'argomento perché la visita abbia qualche efficacia didattica e non si esaurisca in una uscita da scuola, più o meno noiosa.

 

Laboratori / atelier

La disponibilità di spazi appositamente dedicati alla didattica è un elemento di grande forza di un museo perché consente di proporre in un rapporto più diretto con la classe percorsi diversi all'interno dei quali si possono notare alcune tendenze:

- la lettura di un oggetto, o di un gruppo di oggetti, anche col ricorso a materiale illustrativo di supporto, in un rapporto attivo tra scolaresche e operatore che ha l'obiettivo di insegnare a saper vedere, a sapere collegare le informazioni;

- la riproposizione di antiche tecniche di lavorazione quali la ceramica, il bronzo, la tessitura e la filatura, ecc.;

- la creazione di atelier veri e propri, dove i ragazzi lavorano direttamente con pennelli, creta, ecc.

Nei musei archeologici viene proposta anche la tecnica dello scavo, in genere attraverso la simulazione di un sedimento archeologico; mentre tra archeologia ed etnografia possiamo collocare le ricostruzioni di ambienti e di monumenti antichi, dove il pubblico viene direttamente in contatto con il modo di vivere di antiche comunità: largamente diffuso soprattutto nell'Europa del Nord, questo tipo di approccio didattico comincia a diffondersi anche in Italia.

 

In ogni caso è fondamentale il ruolo dell'operatore didattico: tale figura dovrebbe fare parte integrante dell'organico di un museo, come indica chiaramente l'ottimo, recentissimo lavoro della Regione Lombardia sui profili professionali degli operatori dei musei.3 Ma poiché per ora non è così, i musei hanno cercato di porre rimedio alle carenze strutturali facendo ricorso spesso a personale esterno. Questa situazione non costituisce un problema finché la didattica resta al museo e nel museo in un rapporto dialettico con la scuola.

 

 

Note

 

(1) R. Prodi, Non si può essere ricchi e stupidi per più di una generazione, "IBC", I, 1993, 1, pp. 4-5.

(2) M. L. Guarducci, Musei e didattica. Esperienze e dibattiti in Italia dal dopoguerra ad oggi, Firenze, Becocci, 1988.

(3) Il documento è disponibile all'indirizzo web: http://www.lombardiacultura.it/ricercaProfili.cfm

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