Rivista "IBC" X, 2002, 1

Dossier: Scienze e natura al Salone di Ferrara

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /

L'orogenesi: un tempo scandito dai monti

Gian Andrea Pini
[ricercatore presso il Dipartimento di scienze della terra dell'Università di Bologna]

Pensate come simbolo di stabilità nel tempo, le catene montuose sono invece soggette a fenomeni di crescita e smantellamento.

La genesi delle catene montuose, l'orogenesi, è associata ai processi di mobilità generale del pianeta. La superficie planetaria è suddivisa in vaste zolle in costante movimento relativo. Queste zolle si estendono in profondità sino ad un centinaio di chilometri e costituiscono la parte più pellicolare e meccanicamente rigida del pianeta, la litosfera, che "galleggia" su un materiale interno più denso e viscoso, l'astenosfera. Il movimento di queste zolle (o placche) litosferiche è relativamente lento, da alcuni centimetri sino ad un decimetro all'anno, ma la sua durata è estesa a decine e centinaia di milioni d'anni, determinando un costante cambiamento dell'aspetto della superficie planetaria. L'orogenesi avviene quando due zolle, sia al margine dei continenti che negli archi insulari attorno agli oceani, vengono a collidere.

La distribuzione geografica delle catene montuose non è quindi casuale: ad esempio, le Alpi e gli Appennini sono legati ad occidente, attraverso la Sicilia, alla catena dell'Atlante e a oriente, attraverso le catene Dinarica ed Ellenica, i monti della Turchia, i Monti Zagros e l'Hindukush, all'Himalaya. Questa fascia borda il margine meridionale della Placca Euroasiatica e rappresenta la zona di collisione con le Placche Africana, Arabica e Indiana. Lo sviluppo di questo sistema di catene è legato agli stessi processi di dinamica planetaria, ma i tempi e le modalità per ogni catena sono diversi ed articolati.

L'Appennino è una delle catene più giovani del sistema. È caratterizzata nella parte padana da rocce che costituivano il basamento e i sedimenti di un antico oceano, l'Oceano Ligure, creatosi a partire da circa centottanta-centosessanta milioni di anni fa nello spazio liberatosi tra le Placche Eurasiatica e Africana in progressivo allontanamento. Tale oceano è stato chiuso a partire dai cento milioni di anni fa in ragione del riavvicinamento delle stesse placche. Come conseguenza, le rocce magmatiche del basamento di questo oceano e i sedimenti ad esse sovrastanti sono stati corrugati e accatastati, dando origine ad una prima catena preappenninica. Le vestigia del fondo di questo antico oceano possono essere osservate ad esempio nella zona di crinale tosco-emiliano, tra i Passi della Futa e della Radicosa, nei due speroni rocciosi di Monte Beni e Sasso di Castro.

La chiusura dell'Oceano Ligure coincide con la collisione delle due placche continentali. I movimenti convergenti non sono però cessati con la collisione, ma sono continuati sino ai giorni nostri, determinando il piegamento e l'impilamento di una parte delle rocce del margine della placca Africana. Si è venuta a creare così una struttura a livelli successivi, spessi alcuni chilometri, caratterizzati da crescenti condizioni di seppellimento. La vecchia catena derivata dalla chiusura dell'Oceano Ligure ha partecipato come distinta unità alle fasi post-collisionali, rimanendo sempre nella parte più alta dell'edificio appenninico e giustapponendosi (sovrascorrendo) a porzioni sempre più orientali del margine continentale che venivano progressivamente integrate nella catena e impilate. La catena Appenninica in formazione si è spostata, è quasi migrata, progressivamente da sud-ovest verso nord-est, sino ad assume l'attuale posizione e configurazione.

Le rocce deformate del margine continentale africano, sottostanti geometricamente alle unità liguri, affiorano ora nell'Appennino romagnolo e caratterizzano tutto il crinale appenninico e buona parte dei più alti rilievi toscani. Nelle Alpi Apuane affiorano le rocce che sono state portate a maggiori profondità, subendo temperature dai 370° C ad oltre 400° C e pressioni di circa 6 Kbar. A tali pressioni e temperature si deve lo sviluppo dei famosi marmi delle Alpi Apuane partendo dai depositi carbonatici di ampie lagune e sistemi di isolotti e barriere coralline, cioè ad un equivalente giurassico delle attuali Bahamas.

Ovviamente, nulla sarebbe evidente di questo edificio se la catena appenninica non si fosse innalzata e se, contemporaneamente, le parti più elevate della catena non fossero state rimosse. I processi che determinano l'esumazione delle rocce più profonde sono: i collassi crostali innescati dalla migrazione della catena nel tempo oppure dall'instabilità meccanica della catena sotto il suo stesso peso ed elevazione; l'erosione legata al disgregamento delle rocce ad opera degli agenti atmosferici.

Si calcola che ben venti chilometri di roccia siano stati asportati per liberare i marmi di Carrara. Questa misura, che sembra incredibile, va valutata nell'interazione dinamica dei processi di sollevamento, collasso ed erosione di una catena montuosa. Se si pensa alla Pietà di Michelangelo ed a tutti i beni architettonici ottenuti da queste "rocce" non si può che riflettere sul legame tra l'uomo e la geologia.

 

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