Rivista "IBC" XI, 2003, 3

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, mostre e rassegne, pubblicazioni

Una mostra, un manuale e un convegno dedicati ai ponti storici del Bolognese, alla loro catalogazione, conservazione e manutenzione: sono i frutti di una collaborazione tra l'IBC e la Provincia di Bologna.
Per non tagliare i ponti

Sergio Venturi
[IBC]

Il Servizio beni architettonici e ambientali dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna e l'Assessorato alla viabilità della Provincia di Bologna hanno realizzato un manuale per la conservazione e l'adeguamento alle normative vigenti dei ponti di interesse storico presenti sul territorio bolognese. Oltre all'inquadramento storico e tecnologico dei manufatti e all'esame delle problematiche legislative inerenti, il volume propone una classificazione tipologica e una schedatura completa degli interventi manutentivi, con i relativi rilievi grafici e fotografici. Il manuale, edito dalla bolognese Tipoarte, è stato presentato il 19 settembre 2003, nel contesto di una mostra e di un convegno organizzati sullo stesso tema a Villa Smeraldi di San Marino di Bentivoglio (Bologna).

La collaborazione scientifica con la Provincia di Bologna conferma e rafforza uno dei principali filoni di ricerca condotti dall'IBC, quello dedicato allo studio storico della rete fluviale nel contesto territoriale, e si lega idealmente alle iniziative realizzate negli ultimi anni: dalla mostra "Bologna città d'acque" (del 2000) al numero speciale della rivista "Archeologia delle acque" (III, 2001, 5) sui canali e le città d'acque in Emilia-Romagna, fino alla mostra "Attraversare il Grande Fiume" dedicata nel 2002 alla storia degli attraversamenti del Po.

 

La provincia di Bologna è interessata da due fiumi, il Reno e il Santerno. Solo il primo, nel suo continuo divagare in pianura presentava una consistenza idrografica tale da porre problemi nel suo attraversamento. I torrenti sono 31: quelli di una certa importanza sono, a partire da occidente, il Samoggia, il Lavino e, dopo il fiume Reno, il Savena, l'Idice, il Sillaro. I pochi ponti stabili si trovavano sulle direttrici maggiori, quali la via Emilia, la Persicetana, la San Vitale, la Bazzanese e poche altre ancora. Sulla via Emilia hanno resistito per secoli i ponti costruiti in età romana: quello sul torrente Gaiana fu distrutto durante l'ultima guerra. Oggi l'unico ponte romano visibile (si fa per dire!) nel Bolognese è quello sull'Aposa che giace a circa due metri sotto la via Rizzoli nei pressi delle due torri.

I ponti, con la loro persistenza e dislocazione, rispecchiano l'assetto di un territorio attraverso vari secoli, fornendo notizie preziose sul modo in cui esso è stato organizzato, sulla complessa e talvolta mutevole gerarchia dei percorsi, dei commerci e della colonizzazione. L'elevato costo, l'ubicazione condizionata da fattori geomorfologici spesso determinanti, la consapevolezza che l'opera, usata per favorire lo sviluppo della città egemone, può essere anche il mezzo della sua aggressione, impongono delle oculate scelte. Ancora oggi un ponte, per la sua natura di tramite, assume facilmente valenze metaforiche in svariati modi di dire: "fare o gettare un ponte", "bruciare o tagliare i ponti", "tenere o fare una testa di ponte" oppure "far ponti d'oro".

Nel Medioevo, con la decadenza economica e tecnologica, i ponti esistenti sui fiumi maggiori lungo la via Emilia crollarono progressivamente per l'abbandono e solo in età comunale si tentarono, talvolta senza successo, nuove costruzioni. I comuni riorganizzano il contado, ripristinano l'antica viabilità e di conseguenza anche i ponti sono soggetti a particolare attenzione. Negli statuti del 1250 il comune di Bologna dichiara la pubblica utilità di tutti i ponti del Bolognese. Nel 1257 costruisce un nuovo ponte sul Reno: "opera veramente degna della magnificenza de' Romani, il quale infino al tempo d'hoggi si vede in piedi, con archivolti numero ventiuno, di longhezza piedi 870, e di larghezza di piedi 13", come ricorda il Ghirardacci. Nel 1283 Bologna riconosce il possesso del ponte di Casalecchio e l'anno successivo ricostruisce il "ponte antico". Pare che l'attuale costruzione, risultato di numerosi interventi, contenga ancora un'"anima" antica alla quale sono state addossate nuove strutture.

Ancora nel 1250 il comune stabilisce che i ponti siano mantenuti dalle comunità in cui sorgono e che, nel caso dei ponti più importanti, devono essere mantenuti dalle comunità che più li utilizzano, mentre prima, quali luoghi di passaggio obbligato, erano in gestione a congregazioni religiose che vi tenevano ospitali o xenodochi. Verso la fine del dodicesimo secolo Federico I affida il nuovo ponte sul Santerno presso Imola al vicino ospitale di San Giacomo e nella decime del Trecento della diocesi bolognese sono ricordati il monastero di Santa Maria di Reno (Casalecchio), l'ospitale del ponte "novi de Reni de Viola" ossia di Pontelungo di Borgo Panigale; il monastero di Sant'Andrea di "Ponte Maiore" (Pontevecchio sulla via Emilia Levante) e, soggetto alla pieve di Pastino, l'ospitale del ponte Idice e l'ospitale "de Ponte Floriani" (Ponte sul Gaiana) sulla via Emilia sotto Varignana, allora luogo di mercato.

Considerando la precarietà di molti ponti, presso quelli più importanti si trovavano anche delle "naves passatorie", traghetti che alla necessità garantivano il passaggio come nei casi di Casalecchio di Reno e sul Santerno a Imola. A causa dell'importanza strategica commerciale e militare questi ponti sono fortificati e dotati di una piccola guarnigione. Sovente sul ponte vengono erette torri merlate, oppure semplici battifredi lignei. Nel 1301 i soprastanti "alle munitioni delle castella del contado" decidono di fortificare il naviglio a Pegola di Sotto e di rifare il ponte e il battifredo della terra della Massa. L'anno successivo al nuovo rettore dell'ospitale e ponte sull'Idice viene ordinato di "far li merli al detto ponte" e "tener cinque cavalli al servizio del commune di Bologna".

L'importanza dell'efficienza dei ponti sulla via Emilia era vitale per Bologna. Nel 1581 il senato indisse una sorta di concorso progettuale per la ricostruzione di quello sull'Idice presso Ozzano. I disegni relativi sono stati ritrovati alcuni anni fa da Paola Foschi nel fondo "Assunteria di confini e acque" dell'Archivio di Stato di Bologna. Furono chiamati Francesco Terribilia, Bartolomeo Trachini, Domenico Ribaldi, Scipione Dattari e Tommaso Laureti, gli architetti più famosi operanti nel Bolognese. Non si conosce il vincitore di tale concorso-appalto ma la ricostruzione fu iniziata e si protrasse, a fasi alterne, per quasi tutto il Seicento. Disegni del Settecento lo dimostrano praticabile ma ancora incompleto.

I ponti fissi, sia in muratura che di legno, sono per molti secoli un prerogativa del territorio collinare e montano dove il corso fluviale risulta più stabile per l'orografia, mentre nella pianura i fiumi, che spesso esondavano, una volta canalizzati e arginati risultavano più agevolmente attraversati con i traghetti a fune già conosciuti in antichità. Numerose sono le lamentele dei viaggiatori stranieri, particolarmente nel Settecento durante il Grand Tour, nel percorrere la nostra maggiore arteria stradale, per la mancanza di ponti sui grandi fiumi. La situazione era grave specialmente nei ducati occidentali, dove ogni traghetto o guado era un azzardo: lunghe deviazioni e soste in caso di piene, barche precarie e contadini, novelli San Cristoforo, con in spalla il trepidante viaggiatore. Nel ducato di Parma e Piacenza, territorio maggiormente interessato da tutti gli itinerari tra l'Italia settentrionale a quella meridionale, le difficoltà di transito sulla via Emilia vennero meno solo nei primi decenni dell`Ottocento con l'amministrazione di Maria Luigia, che tra il 1819 e il 1836 fece costruire quattro ponti sui maggiori fiumi.

Infine pensiamo al nostro "grande fiume": nel 1902 solo un ponte stradale, quello di Cremona costruito nel 1893, si trovava lungo i 380 chilometri da Pavia al mare! Si può anche ricordare che solo negli anni Sessanta del Novecento i numerosi ponti su chiatte furono sostituiti da quelli in cemento armato. Ancora nella cartografia della prima metà dell'Ottocento i guadi sono frequentemente segnati lungo i maggiori fiumi appenninici verso il loro sbocco in pianura, dove avviene l'allargamento dell'alveo e iniziano i meandri. Vi si trovano segni grafici a seconda della agibilità a piedi o per vetture e nelle ultime tavolette dell'Istituto geografico militare del Novecento troviamo segni convenzionali che distinguono il guado per pedoni, quadrupedi e per carri.

I ponti storici non hanno sempre avuto vita facile. L'ultima guerra ne ha distrutti molti. Sono strutture soggette a demolizioni e ricostruzioni oppure a continue ristrutturazioni per adattarli all'intenso traffico moderno dal peso veicolare una volta impensabile. Ma già nell'Ottocento la sensibilità verso queste architetture e la loro tutela era presente. Il ponte duecentesco sul Savena a San Ruffillo è ricordato per vetustà nel 1881 da Alfonso Rubbiani: "[...] i piloni serbano le tracce di costruzione più antica; forse romana, a giudicarne dall'opera in parallelepipedi di macigno". Notevole fu il rammarico del Rubbiani, espresso in una accorata lettera al "Resto del Carlino" vent'anni dopo, quando se ne progettò la demolizione e ricostruzione. Come si può immaginare, egli non fu ascoltato e la modernità ebbe il sopravvento.

Lo studio dei ponti storici e la loro tutela non può non occuparsi anche delle pedagne o passerelle: numerose furono quelle costruite tra Otto e Novecento usando la tecnica di sospensione a cavi d'acciaio. Tuttora in funzione è quella sul torrente Ghiaie presso La Bersagliera di Castello di Serravalle; non più percorribile, ma ancora in piedi, è quella sul Savena presso le gole di Scascoli di Loiano, mentre sul Reno, a Sibano di Marzabotto, distrutta una testata da una piena, si trova solo un povero troncone di ferraglie.

Ma non c'erano sempre traghetti, passerelle o pedagne a consentire l'attraversamento nei momenti di piena. Ricordo ancora il trefolo d'acciaio teso tra le sponde del Reno ai Piani di Serrazanetti presso la derivazione del canale del Molinaccio sotto Bombiana e penso a quanti passarono il fiume con quella precaria funivia su un carrellino retto da due carrucole e trainato da una funicella. I bambini per andare a scuola, gli uomini al lavoro e le massaie al mercato. E sono passati soltanto poco più di quarant'anni.

 

I documenti cartografici


L'album Gozzadini

Una preziosa fonte iconografica che illustra molti ponti del Bolognese si trova nel manoscritto Gozzadini 171 della Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna. Realizzato nel 1578 al tempo dell'arcivescovo Gabriele Paleotti, contiene 292 disegni dal vero di centri, ville, palazzi e chiese del contado. Risulta essere una sorta di rilevamento dei beni culturali ante litteram, anche se lo scopo fu quello di visualizzare i luoghi strategici della nuova arcidiocesi; nel disegno del Pontelungo di Borgo Panigale è annotato "Addì 6 di Maggio uscij di Bologna a osservare". Questo album costituì poi materiale propedeutico alla realizzazione della Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano a opera di Egnazio Danti nel 1580-1581. Non a caso la carta del Bolognese risulta essere la più precisa e dettagliata. Nelle pitture vaticane gli unici ponti riportati sono quelli lungo la via Emilia e quelli di Casalecchio, Panico e Riola sul Reno; vi compare anche Traghetto di Molinella.

Nell'album sono raffigurati 11 ponti in muratura di cui 8 sulla via Emilia. Il ponte sul torrente Gaiana, disegnato precisamente come era prima della distruzione, fa pensare che anche gli altri piccoli ponti sul Quaderna, sul Magione e sul rio Rosso, fossero ancora quelli di costruzione romana. Gli altri sono sul Sillaro, sull'Idice (diruto), sul Reno e sul Samoggia. I rimanenti si trovavano a Castenaso e alla Riccardina di Budrio sull'Idice, e a Corticella sul Navile. Su questo canale sono raffigurati numerosi ponti lignei levatoi, come prescritto dagli statuti del 1250 per consentire il passaggio dei natanti. Questa tipologia fu sostituita nel Seicento con ponti ruotanti su un perno come si può constatare da un progetto del 27 agosto 1677 che concedeva al marchese Camillo Paleotti e agli Olivetani della Certosa il permesso di costruirlo presso San Marino di Bentivoglio. Nella illustrazione che precede la scheda della parrocchia della Pegola, ne Le Chiese Parrocchiale della Diocesi di Bologna (1844), se ne vede uno simile.


La carta di Andrea Chiesa

La carta del Chiesa (1740-1742) è la prima raffigurazione della pianura bolognese eseguita con precisione geodetica. Sia pur molto precisa non presenta altri ponti se non quelli sulla viabilità maggiore a cui abbiamo accennato. La precarietà degli attraversamenti e delle strutture è denotata dalla presenza di una pedagna sul Savena a Pontevecchio sulla San Vitale.


La carta di Giuseppe Cantoni

La prima carta a grande scala che riproduce in modo attendibile l'intero Bolognese è quella del Dipartimento del Reno eseguita da Giuseppe Cantoni verso il 1810. L'autore, che ha potuto usare svariate fonti eterogenee per scala e per tipo, si è rifatto certamente al catasto Boncompagni (1780-1786) e forse alle prime rilevazioni catastali iniziate in età napoleonica. La legenda segnala: l'idrografia, le strade divise in due categorie d'importanza, le parrocchie e i confini delle antiche comunità, le poste per i cavalli e, per quanto concerne il nostro argomento, le pedagne e i passi con barca oltre ai ponti in legno e in pietra. In appendice elenchiamo tutti i passaggi fluviali.


La carta "austriaca"

Altra fonte cartografica importante è la cosiddetta carta "austriaca" stampata in litografia, in scala 1:86.400, nel 1851. Le fonti, come dichiarato in preambolo, furono i censi, quindi i catasti, che per il Bolognese datano tra il secondo e il terzo decennio dell'Ottocento. Da rilevare sono i ponti sul tratto appenninico del Reno: oltre a quelli di Casalecchio, Panico e Riola è segnalato un ponte a monte di Calvenzano mentre i passi si trovavano al Molino delle Pioppe sotto Sanguineda e alla "barca della Carbona" a sud di Vergato. Sul Savena è segnalato il ponte di Pianoro, sul Santerno quello di Castel del Rio, e sulla via Emilia anche quello, detto "nuovo", a San Lazzaro di Savena. Infine, nella Bassa bolognese, troviamo un ponte sul Sillaro a Portonovo di Medicina, e i traghetti a Molinella, presso Malalbergo, al Passo dei Galli di Bonconvento, al Passo Segni e presso Galliera.

 

Alcuni importanti ponti storici in provincia di Bologna


Ponte di Castrola di Castel di Casio

Il ponte, a Castrola sul Limentra di Treppio, si trova sull'antica strada che collegava la valle del Limentra a quella del Brasimone. È documentato nel 1189 come appartenente all'Abbazia di Montepiano e nel 1370 si ha notizia della ricostruzione di un ponte in legno travolto da una piena. L'attuale ponte a schiena d'asino, costruito a spese delle comunità di Camugnano e Casio nel 1848, è in un deplorevole stato di abbandono e minaccia prossima rovina.


Ponte di Suviana di Castel di Casio

Il ponte, sul Limentra di Treppio, fu costruito nel 1766 per volontà del Senato bolognese su progetto di Gian Giacomo Dotti, figlio del più celebre Carlo Francesco Dotti. L'opera fu affidata a Giovanni Pellegrino Comelli, come si poteva leggere da una iscrizione su un pilastrino. Subito sotto la diga venne intelligentemente risparmiato durante i lavori nel primo ventennio del Novecento.


Ponte degli Alidosi a Castel del Rio

L'interesse a erigere un ponte sul Santerno in questa località ebbe inizio da quando, agli inizi del Trecento, gli Alidosi vennero in possesso della comunità di Osta, alla destra del Santerno, di fronte a Castel del Rio. Documenti che risalgono alla metà del Quattrocento menzionano un ponte sia pur precario. Il 5 agosto del 1499 Obizzo Alidosi appalta al mastro Andrea del fu Guerriero di Imola un ponte in muratura che ancora nel 1518 non era stato completato. Il ponte venne restaurato più volte nel 1698-1699, poi nel 1760 e ancora nel 1818 e nel 1825. Dichiarato monumento nazionale il 20 novembre 1897, fu restaurato nel 1898 e poi nel 1950. Il ponte, a schiena d'asino, con una ragguardevole luce di metri 42,17 e freccia di metri 18,47, è il più antico e interessante della provincia [si veda la copertina di questo numero, ndr].


Ponte a Rastignano di Pianoro

Sorge sul Savena presso Rastignano questo piccolo ponte detto "Il Paleotto". Le dimensioni e la struttura a tre arcate in laterizio, di cui una interrata, lo farebbero ragionevolmente risalire alla fine del Cinquecento: la costruzione sarebbe avvenuta sotto la reggenza arcivescovile di Gabriele Paleotti, oppure a spese di un membro di quella facoltosa famiglia.


Ponte a Vizzano di Sasso Marconi

Si trova sul Reno, presso il complesso del Palazzo Rossi, poco a monte della chiusa di derivazione di un canale. Sospeso a tiranti d'acciaio, fu costruito nel 1930 e recentemente è stato restaurato.


Ponte a Biagioni di Granaglione

Il piccolo ponte si trova sul Reno. È a due arcate in muratura di pietrame e può essere datato alla seconda metà dell'Ottocento.

 

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