Rivista "IBC" XI, 2003, 3

territorio e beni architettonici-ambientali / interventi, progetti e realizzazioni

A Modena la ricerca storica sulle trasformazioni della città e del suo territorio diventa il punto di partenza per la progettazione delle trasformazioni urbanistiche future: nel segno della sostenibilità.
Una città per cambiare

Marco Cattini
[docente di Storia economica all'Università "Bocconi" di Milano]

Il progetto "Le città sostenibili. Storia, natura, ambiente. Un percorso di ricerca" - ideato e promosso dall'Ufficio ricerche e documentazione sulla storia urbana dell'Assessorato alla cultura del Comune di Modena, in collaborazione con gli assessorati alle politiche ambientali e all'urbanistica - si pone tre obiettivi fondamentali: organizzare ricerche e studi sulle trasformazioni dell'ambiente urbano, produrre strumenti di documentazione e di informazione rivolti ai cittadini, supportare azioni di trasformazione urbanistica improntate al criterio della sostenibilità ambientale (per maggiori dettagli: www.cittasostenibile.it).

Alle giornate di studio del marzo 2001, che diedero l'avvio al progetto (quest'anno sono stati pubblicati gli atti a cura di Catia Mazzeri: se ne veda in questo numero la recensione di Achille Castaldo), ha fatto seguito il convegno modenese del 14 e 15 maggio 2003, dedicato al tema "La qualità dell'ambiente urbano nella storia della città". Ad entrambi gli appuntamenti ha partecipato l'Istituto per i beni culturali (IBC) della Regione Emilia-Romagna, che accanto ai diversi partner del progetto (tra cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio) garantisce l'apporto scientifico delle ricerche e dei progetti curati in questo ambito dal suo Servizio per i beni architettonici e ambientali, e insieme all'Agenzia regionale prevenzione e ambiente (ARPA) assicura il raccordo con i programmi e le azioni regionali.

Pubblichiamo qui di seguito l'intervento di Marco Cattini, ordinario di Storia economica all'Università "Bocconi" di Milano, che nell'ambito del progetto ha curato in particolare lo studio delle trasformazioni urbanistiche di Modena tra Ottocento e Novecento.

 

Sotto l'egida di istituzioni locali e governative, un qualificato gruppo di studiosi di scienze sociali e della natura ha scelto il comune di Modena come caso di studio/modello per svolgere analisi volte a progettare miglioramenti della qualità della vita dei cittadini delle città europee nell'attuale congiuntura storica, contraddistinta, dopo oltre un secolo d'ininterrotta crescita, da ristagno demografico e invecchiamento della popolazione, dalla quasi scomparsa del settore agricolo, dal declino dell'industria manifatturiera e dal prevalere di servizi svolti da capitale umano che fa uso dell'informatica come mezzo di comunicazione e di relazione in tempo reale.

Il caso di Modena, sull'arco dell'ultimo secolo e mezzo, compendia una serie di mutamenti paradigmatici comuni alle città dell'Europa occidentale relativamente all'uso del territorio, alle dinamiche demografiche, alla dotazione d'infrastrutture di comunicazione, ai modi di produrre, distribuire e consumare la ricchezza, alle culture materiali, alla formazione di capitale umano. L'adozione di una prospettiva storica che consideri il piano istituzionale - il governo locale - assieme a quelli urbanistico, economico, sociale e culturale permette di sceverare le molte tendenze contemporaneamente in azione nel lungo andare, alternando e integrando analisi e sintesi.

Come in molti altri centri dell'alta Italia, anche a Modena l'avvio della modernizzazione tecnologica si profilò a metà Ottocento a cominciare dalla costruzione delle strade ferrate. La linea proveniente da Piacenza, che collegava l'Emilia con Milano, fu completata ancor prima dell'inclusione dei ducati cispadani nel Regno d'Italia (1859). Quindici anni dopo (1874) fu inaugurata la strada ferrata che collegava Modena con Mantova e con Verona. Negli anni Ottanta dell'Ottocento fu avviata e completata una rete minore che, dal capoluogo, si diramava verso Sassuolo e Vignola e, nella Bassa, collegava all'ex capitale estense Cavezzo e Mirandola, San Felice e Finale. Nei successivi anni Novanta, attraverso il nodo ferroviario modenese, le aree più densamente popolate della provincia giunsero a scambiare materie prime, semilavorati e manufatti artigianali e industriali con mercati nazionali ed esteri.

Contemporaneamente, pur declinando di volume, le merci povere continuavano ad andare e venire lungo il Naviglio raggiungendo il Po, Venezia e i porti dell'alto Adriatico in collegamento con l'estero. Le tramvie urbane e suburbane, la distribuzione di acqua potabile, il riordino e l'ampliamento del sistema fognario cittadino, la fondazione di una municipalizzata che distribuiva l'energia elettrica e gestiva le tranvie cittadine completarono a Modena le infrastrutture di modernizzazione entro la vigilia della prima guerra mondiale.

Dai primi dell'Ottocento al 1911 la popolazione modenese lievitò al ritmo dello 0,8% annuo e, dagli anni Ottanta del XIX secolo, la città prese a espandersi ordinatamente da nord-est a sud-ovest, fuori delle salde mura dell'addizione erculea di metà Cinquecento. Nel quarantennio 1911-1951 il ritmo di crescita aumentò all'1,4% annuo per effetto di un doppio movimento: l'allungamento della durata di vita e l'inurbamento di popolazione proveniente dalle montagne della provincia e dalla Bassa. Nel corso del trentennio 1951-1981 - gli anni d'oro dell'economia della terza Italia - il baby boom postbellico e l'accelerazione dei flussi d'inurbamento proiettarono la popolazione modenese - analogamente a quella dei medi centri urbani dell'Europa occidentale - verso ritmi di crescita tanto alti (+2,1% all'anno) da indurre gli urbanisti a credere che, a fine secolo, la città avrebbe raddoppiato la propria popolazione. Per contro, nel corso dell'ottavo decennio del XX secolo, invertendo la tendenza, la dinamica demografica rallentò vistosamente e quasi si esaurì, fino a denotare, negli anni Novanta, livelli di natalità fra i più bassi nel novero delle regioni europee economicamente più evolute. La popolazione modenese entrò allora in una fase ormai ventennale di ristagno e invecchiamento che ne sta mutando vistosamente la struttura, con effetti già in atto e attesi, nel lungo andare, sia nei comportamenti economici e sociali, sia nei valori etici e politici di riferimento.

Dalla metà dell'Ottocento alla vigilia della prima guerra mondiale l'utilizzo del territorio a fini abitativi e produttivi fu condizionato dalla natura dei suoli e dalla fitta rete di vie d'acqua naturali e artificiali migliorata, attorno e dentro il capoluogo, a cominciare dal XIV secolo. Negli anni Cinquanta dell'Ottocento il passaggio a nord della città della linea ferroviaria Piacenza-Bologna dipese per l'appunto dalle precarie condizioni idrogeologiche dei terreni posti a mezzogiorno della città. Il tracciato prescelto garantì anche un'ottima intermodalità con l'attigua darsena del Naviglio, ch'era stata consistentemente ampliata a metà degli anni Venti. Lo scalo merci adiacente alla darsena del canale, che da secoli collegava Modena all'Adriatico, da metà dell'Ottocento nella periferia nord della città favorì la concentrazione d'officine siderurgiche, meccaniche e chimiche, dando inizio a una localizzazione selettiva che avrebbe contraddistinto quell'area sino al secondo Novecento.

Con la demolizione delle mura cinquecentesche di Porta Bologna (1882) fu avviato un processo d'urbanizzazione del circondario orientato a levante, processo non tanto originato da un aumento della popolazione, quanto piuttosto volto a decongestionare il centro storico, nel quale non pochi quartieri versavano in precarie condizioni igienico-sanitarie. L'amministrazione municipale, fin dagli anni Sessanta e Settanta, riuscì a ottenere la titolarità di vaste aree prossime alle mura messe in vendita dal Demanio pubblico del Regno, a partire dalle quali organizzò un lungimirante piano urbanistico.

Nel ventennio che separò le due guerre mondiali, mentre l'economia locale e nazionale sperimentava una fase di sostanziale ristagno, alcune medie e grandi imprese industriali siderurgiche e meccaniche (Orsi e Fiat Trattori) impiantarono e ampliarono i loro reparti a ridosso della linea ferroviaria Piacenza-Bologna, confermando la vocazione manifatturiera dell'area circostante.

Dai secondi anni Quaranta ai primi anni Settanta del Novecento, in una congiuntura assai favorevole che permise anche al Modenese di sperimentare e compiere il processo d'industrializzazione, l'amministrazione comunale prese a promuovere insediamenti artigiani e industriali mettendo a disposizione degli imprenditori suoli pubblici attrezzati a prezzi relativamente bassi. Mentre sotto la spinta di un tumultuoso processo d'inurbamento e d'immigrazione gli abitanti del comune crescevano del 62% nell'arco di un trentennio, la domanda di suoli da destinare a nuovi insediamenti produttivi non smise di crescere. Un primo "villaggio artigiano" fu inaugurato nel 1953, a compimento di un processo avviato fin dal '49. Nei primi anni Cinquanta, 15 ettari di terreni resi disponibili per 74 imprese artigiane e industriali rappresentarono un primo caso di programmazione urbanistica e, insieme, di calmieramento del mercato delle aree edificabili. Tra il 1962 e il 1967, in condizioni analoghe, un secondo villaggio attrezzato su 38 ettari favorì l'insediamento di 178 stabilimenti. La formula escogitata nel '49, col tempo affinata e perfezionata e più volte sperimentata, si sarebbe rivelata efficace sia per combattere le speculazioni, sia per modellare lo sviluppo urbanistico di una media città che, alla fine degli anni Ottanta, sarebbe giunta a piazzarsi a ridosso delle posizioni di vertice nella classifica del Prodotto interno lordo (PIL) pro-capite delle province italiane.

All'inizio del terzo millennio le aree urbanizzate sono il quintuplo di quelle occupate mezzo secolo prima, il reddito è cresciuto di dodici volte, la densità della popolazione è quasi raddoppiata, i consumi energetici enormemente aumentati: la qualità della vita, però, non è altrettanto migliorata. Lo studio del caso Modena, integrando i saperi delle scienze sociali e delle scienze della natura, ben si presta, dunque, per identificare le linee prioritarie di una strategia orientata al miglioramento delle relazioni umane e di quelle fra uomini e ambiente in piena coerenza con la cultura e con la storia del luogo, in un tempo in cui il solo sviluppo economico sembra ormai un'esperienza irripetibile.

 

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