Rivista "IBC" XIII, 2005, 3

musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni

Antonio Ligabue. Espressionista tragico, a cura di S. Parmiggiani, Milano, Skira, 2005.
La tigre della Bassa

Mirko Nottoli
[collaboratore delle Collezioni d'arte e di storia della Fondazione Cassa di risparmio in Bologna]

Dal 27 maggio al 18 settembre 2005 Reggio Emilia e Gualtieri (rispettivamente a Palazzo Magnani e Palazzo Bentivoglio) hanno reso omaggio a uno dei loro cittadini più illustri nel quarantesimo anniversario della sua morte. Cittadino d'adozione, non sempre, o almeno non subito, vezzeggiato. Ligabue Antonio infatti - il nome è d'obbligo per non confonderlo con l'altro Ligabue, anch'egli reggiano, come succede più o meno a Bologna con Morandi... - vero nome Leccabue, nasce senza padre in quel di Zurigo e solo alterne e precoci disavventure lo spingono, suo malgrado, a Gualtieri. Quando vi giunge, appena ventenne, espulso dalla Svizzera su denuncia della madre, ha già conosciuto perdite e abbandoni, collegi e cliniche psichiatriche, carenze d'affetti, solitudini ed emarginazioni. La giovinezza non è stata facile per lui e non lo sarà nemmeno il resto della vita.

Come se davvero il buon giorno si vedesse dal mattino, il mattino per Ligabue è stato notte fonda e quel senso di tragedia che ne ha segnato l'infanzia lo accompagnerà fino alla morte, senza che mai lo perdesse di vista, nemmeno quando, negli ultimi anni, la raggiunta affermazione artistica e il benessere economico gli permisero di soddisfare alcune sue innocenti passioni, per le auto e le moto (Guzzi soprattutto). In mezzo a una vita di stenti, errabonda e disadattata, l'unico sollievo sembra provenire dall'arte, scoperta e perseguita freneticamente da autodidatta, nella quale egli può trasfigurare tutti gli spettri che popolavano il suo immaginario. Pochi temi, ricorrenti come un'ossessione, eseguiti in preda a un furor impulsivo e violento in cui convivono l'espressionismo selvaggio di Van Gogh e la naiveté del Doganiere Rousseau, una quantità enorme di opere rese attraverso l'immediatezza di un occhio puro che non ha griglie interpretative da porre tra sé e il mondo ma che tuttavia stupisce per l'abilità tecnica e gli accorgimenti formali che sa di volta in volta adottare.

Pur non dichiarandolo apertamente, la grande mostra curata da Sergio Negri e Sandro Parmiggiani si propone di "esaurire" il "discorso Ligabue" sollevandolo dall'isolamento critico in cui da sempre si trova (tanto che in alcuni manuali d'arte di Ligabue non c'è traccia), per inserirlo all'interno di quel filone "primitivo" che periodicamente riaffiora nel panorama artistico internazionale. Discorso che tuttavia non si esaurisce visto che il problema - se di problema si può parlare - è semmai contrario: non tanto quello di ricondurlo a scuole e movimenti, quanto sottolineare l'assoluta unicità di questo genio inconsapevole che perso tra le brume della Bassa padana ha attraversato come una meteora il mondo dell'arte. Osservazione personale che comunque nulla toglie alla riuscita di una mostra che, seguendo un itinerario cronologico e tematico insieme, raccoglie oltre ai dipinti anche disegni, incisioni e soprattutto le sculture che Ligabue realizzava masticando e modellando l'argilla trovata lungo l'argine del Po.

Opere meno note, queste ultime, rispetto alle tele, ma complementari e parimenti suggestive. Un vero e proprio bestiario fantastico, come l'ha definito Mario De Micheli, che va ad affiancarsi ai temi di sempre: i famosi autoritratti dallo sguardo allucinato (ecco Van Gogh) nei quali egli sembra inseguire un'identità sfuggente come a volerla afferrare e immortalare una volta per tutte, e i combattimenti tra animali, raffigurati in atteggiamenti aggressivi e ostili, in cui al gusto infantile per l'esotico e l'avventuroso (ecco Rousseau) si mescola la tormentata vicenda personale. Perché i combattimenti tra tigri feroci e serpenti visti solo sui libri ci parlano in realtà di ben altri combattimenti: la lotta quotidiana per la sopravvivenza, la vita randagia, il senso di abbandono che ti stringe durante le notti passate nel bosco, in fuga da tutto e tutti. Ma la sua vicenda personale, mirabilmente raccontata da Salvatore Nocita nel film del 1979 (e interpretata altrettanto mirabilmente da Flavio Bucci), non deve offuscare l'opera: basta la prima sala infatti per rendersi conto di trovarsi di fronte a un artista autentico, il cui valore poco o nulla deve alla fama di "buon selvaggio" o di "peintre maudit" che tanto piace a certa letteratura imbevuta di miti e leggende buoni solo per qualche nota di folklore.

 

Antonio Ligabue. Espressionista tragico, a cura di S. Parmiggiani, Milano, Skira, 2005, 280 p., _ 60,00.

 

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