Rivista "IBC" XIV, 2006, 1

musei e beni culturali / restauri, pubblicazioni

L'arte della tessitura racconta la storia della nostra civiltà, dalla preistoria ai tempi moderni. Un volume della collana IBC "Immagini e documenti" delinea una mappa dei beni conservati nei musei dell'Emilia-Romagna.
L'ordito dei secoli

Marta Cuoghi Costantini
[IBC]
Iolanda Silvestri
[IBC]

È significativo, e non casuale, che in un momento segnato da una preoccupante contrazione della spesa pubblica nel settore della cultura, come è l'attuale, l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna abbia trovato le risorse necessarie per dedicare un volume della propria collana "Immagini e documenti" al tema poco frequentato dei tessuti antichi.1 L'intento principale della pubblicazione è richiamare l'interesse e l'attenzione sulle numerose e belle collezioni che si conservano in Emilia-Romagna, dando conto altresì dei risultati conseguiti in oltre vent'anni di lavoro sia sul versante teorico dello studio e della ricerca metodologica, sia su quello operativo del censimento e della catalogazione, sia, infine, su quello pragmatico della conservazione e del restauro.

Arte nata con l'uomo, la tessitura ne accompagna il lungo e faticoso cammino attraverso i secoli assumendo forme organizzative diverse. Praticata da sempre in ambiente domestico, nell'ambito di una economia di sussistenza, è soprattutto in opifici di corte o monastici e in botteghe artigiane cittadine che essa trova le attestazioni più significative, prima che la meccanizzazione degli strumenti e delle macchine, assai precoce in questo settore, la trasformino in vera e propria industria. In ogni caso i suoi prodotti, multiformi e polifunzionali, non risposero solamente al mero compito materiale di riparare l'uomo e renderne più comode e confortevoli le dimore, ma in ogni epoca e civiltà, sin dai tempi più remoti, furono segni di distinzione relativi a età, sesso, casta, mestiere e professione, simboli del potere esercitato da re, signori e imperatori, veicoli di messaggi politici e religiosi e, più in generale, espressione di precisi rapporti sociali.

La cospicua messe di manufatti pervenuti sino a noi sotto forma di abiti civili, militari, liturgici, di complementi d'arredo o di abbigliamento, e ancor più spesso di frammenti, costituisce dunque un patrimonio prezioso e raro di testimonianze storiche, la cui intrinseca fragilità impone ogni sorta di prevenzione e sforzo conservativo. Muovendo in tale direzione, Il filo della storia compone una sintesi dell'esistente e si propone come guida di lettura non solo per specialisti e studiosi ma per quanti sono interessati a questa forma particolare di artigianato artistico. Avvalendosi dei contributi di numerosi qualificati autori, il volume delinea una mappa dei beni conservati all'interno di istituzioni museali pubbliche e private, dando conto non solo delle diverse tipologie tecniche e storiche ma anche della loro distribuzione territoriale entro i confini della regione.

Le raccolte più consistenti e significative sono conservate nei Musei civici di Bologna, Modena, Reggio Emilia, nonché nel Museo nazionale di Ravenna, titolare di rari nuclei di tessuti copti e medievali. Alla formazione di queste raccolte - circoscrivibile grosso modo fra la fine del XIX secolo e i primi trent'anni del Novecento, e in taluni casi correlata alla nascita dei primi grandi musei di arti industriali in Europa - contribuirono personaggi di spicco della cultura locale. Se il conte Luigi Alberto Gandini fu il fautore unico dell'enciclopedica raccolta modenese, il reggiano Naborre Campanini raccolse la documentazione relativa alla locale arte della seta, l'eclettico Luigi Parmeggiani arricchì la città di un patrimonio di interesse internazionale trasferendo a Reggio Emilia la raccolta parigina del pittore Leon y Escosura, il conte Malaguzzi Valeri concepì le raccolte bolognesi legandole essenzialmente al contesto locale cittadino, mentre lo studioso Corrado Ricci, infine, si adoperò in veste di soprintendente per l'acquisizione dei reperti medievali ravennati.

La tipologia prevalente dei materiali è quella dei frammenti, ma non mancano indumenti, accessori e arredi civili e liturgici, fra i quali si segnalano manufatti di particolare pregio artistico o valore storico, come lo straordinario abito da gentiluomo inglese della fine del Cinquecento, forse un costume di scena maschile del teatro elisabettiano, un'autentica rarità, o il trecentesco piviale ricamato con scene della vita di Cristo esposto nel Museo civico di Bologna ma proveniente dalla locale chiesa di San Domenico.

Cospicua è la messe di vesti e arredi sacri conservata nei numerosi musei ecclesiastici presenti nella nostra regione, fra cui spiccano per unicità e pregio il velo bizantino della Collegiata di Piacenza, le due pianete in pizzo d'oro del cardinale Rinaldo d'Este del Museo arcivescovile di Reggio Emilia, oltre ai sontuosi ricami in oro e argento conservati nel Tesoro della Basilica di San Pietro e nel Museo di San Petronio, dono di papi e alti prelati bolognesi. In testa a tutti si pone comunque un rinvenimento sensazionale compiuto recentemente nell'Abbazia di Nonantola (Modena): si tratta di due sete antichissime che rivestivano le reliquie di santi o abati benedettini, una decorata con aquile imperiali entro ruote, opera bizantina dell'VIII-IX secolo, l'altra, più tarda, ricamata in un laboratorio palermitano o nell'Egitto fatimita fra XI e XII secolo.

Portatori di profondi significati sacri e simbolici sono anche i tessili di provenienza ebraica ancora conservati nelle diverse sinagoghe del nostro territorio sotto forma di rivestimenti (i meil e i mappah) dei rotoli da preghiera (la torah) e di tende di accesso ai sacri testi (i parokot), documentati nelle loro diverse forme storiche nel Museo multimediale della cultura ebraica di Bologna (il MEB) oltre che nei Musei di Ferrara e Soragna (Parma).

Materiali di grande interesse documentario sono i reperti precolombiani conservati a Modena, Reggio Emilia, Rimini e Faenza, provenienti in gran parte da scavi effettuati nell'area sudamericana del Perù, per lo più frammenti ma anche oggetti e indumenti che esercitano su di noi un fascino particolare in quanto testimoni di lontane civiltà scomparse.

Ben rappresentata in regione è la categoria dei cosiddetti "militaria", con i patriottici cimeli risorgimentali come la bandiera reggiana del Tricolore esposta nel museo a essa dedicato (di recente inaugurazione), gli abiti appartenuti a Garibaldi e ad Anita conservati alla Classense di Ravenna, le uniformi storiche dei cadetti dell'Accademia di Modena, insieme alle divise indossate dai partigiani della Repubblica di Montefiorino e dai militari italiani e stranieri nelle ricostruzioni multimediali dei due conflitti mondiali allestite nel Museo della guerra di Bologna e nel Museo memoriale della liberta di Castel del Rio (Bologna).

Meno nutrita, ma sicuramente interessante, è la documentazione teatrale con gli abiti di scena dell'attore Gandusio e le due vesti esposte a Gualtieri (Reggio Emilia), realizzate dalla rinomata sartoria "Tirelli" per il Ludwig di Visconti e l'Enrico IV di Pier Luigi Pizzi.

Il variegato repertorio di manufatti tessili, integrati da relativa strumentazione tecnica, presenti nei musei di Villa Sorra nel Modenese, di San Marino in Bentivoglio nel Bolognese e in quelli romagnoli di Santarcangelo (Rimini) e di Russi (Ravenna), documenta la produzione tessile della civiltà contadina e attraverso corredi di vestiario e biancheria domestica molto povera (dove primeggiano i filati di canapa e lana) ci restituisce un'idea esauriente dei modi del vivere e dell'abitare di questa cultura.

In un volume a carattere monografico sui tessuti antichi in Emilia-Romagna non poteva mancare un contributo dedicato al tema dell'arazzeria, non solo in considerazione della fortuna goduta dalle tappezzerie tessute nell'ambito dell'arredamento aristocratico ed ecclesiastico per il lungo arco di tempo che va dal Medioevo all'Ottocento, ma anche del nutrito patrimonio pervenuto sino a noi, composto sia da esemplari isolati che da importanti raccolte. Primeggiano fra queste la serie tessuta a Ferrara a metà del Cinquecento per il Duomo, oggi riallestita nel Museo attiguo alla Chiesa di San Romano, quella settecentesca conservata nella Basilica metropolitana di Bologna, proveniente dalla famosa arazzeria romana di San Michele, il nucleo cinquecentesco di provenienza fiamminga in dotazione al Duomo di Modena, e infine lo straordinario patrimonio del cardinale Giulio Alberoni, conservato nell'omonimo Collegio di Piacenza, composto da serie secentesche oltre che da due veri e propri capolavori tessuti a Bruxelles agli inizi del Cinquecento dallo stesso arazziere che eseguì gli arazzi Vaticani disegnati da Raffaello.

La ricognizione sull'intero patrimonio tessile regionale trova infine nel volume una sua configurazione appropriata all'interno di una trattazione storica che ne ricomprende la funzione e il significato, e che interessa i manufatti più rilevanti e significativi. Per l'età antica rivestono particolare rilievo le attestazioni preistoriche del primi insediamenti terramaricoli di Castione dei Marchesi (Parma) e di Montale (Modena), l'eccezionale documentazione di abiti, tessuti e strumenti villanoviani rinvenuta a Verucchio (Rimini), nonché quella ritrovata in due necropoli della Mutina tardo romana e nei resti della nave romana di Comacchio (Ferrara).

A partire dai primi secoli del Medioevo lo scenario si fa via via più documentato e ricco, per essere identificato in prevalenza dall'eccellenza dei suoi manufatti, ovvero quelli lavorati con il più nobile e prezioso dei filati, la seta. Documenti di ardua e specialistica lettura, le sete medievali provengono precipuamente da reliquiari, come nel caso di Nonantola, o da corredi tombali di santi, martiri e beati, come nel caso dei teli di San Giuliano conservati a Ravenna, di San Procolo nell'omonima chiesa bolognese, o del Beato Giacomo Salomoni conservato nel Duomo di Forlì ma proveniente dalla locale chiesa di San Domenico.

Le testimonianze più accattivanti sono indubbiamente quelle che riguardano l'età moderna, il mondo elegante e aristocratico del Rinascimento, evocato dai preziosi velluti della Galleria "Parmeggiani" e dal rivestimento dello scrittoio da viaggio estense della Galleria nazionale di Modena, l'iperbole barocca declamata dagli sfavillanti ricami dorati delle chiese bolognesi di San Pietro e di San Petronio, la riproposizione della classicità romana operata dall'Impero, discretamente ostentata dalle tappezzerie di Palazzo Milzetti a Faenza (Ravenna).

All'interno di questo itinerario storico che lega virtualmente tra loro generi tessili di epoche e ambiti geografici diversi e lontani, non sono mancati affondi interessanti sulla tessitura locale, come quelli riguardanti la lavorazione dei veli bolognesi, ornamenti eterei della moda aristocratica dal Medioevo all'Ottocento, e la produzione serica intrapresa nel corso del Settecento dalla manifattura reggiana "Trivelli-Spalletti", impegnata nella produzione di sete operate a piccoli decori geometrici e floreali di gusto rococò, già di tipo seriale, destinate all'alta borghesia.

La scelta di affrontare il vasto arco temporale che va dalla Preistoria agli inizi dell'Ottocento può sembrare ambiziosa ma trova una sua spiegazione plausibile non solo nell'avvertita necessità di ricomporre un quadro sintetico e il più possibile esaustivo dell'esistente, ma anche e soprattutto nel fatto che la storia della tessitura, benché segnata da profondi cambiamenti, per lunghi secoli si svolge nel segno della continuità, nell'interazione ancora manuale e diretta dell'uomo sulla macchina. Poi, con l'introduzione del telaio meccanico nel 1810 e la successiva comparsa dei primi filati artificiali, si aprono scenari nuovi, che modificheranno radicalmente la costruzione del manufatto nell'iter completo della sua filiera produttiva, ponendo le basi dell'industria tessile contemporanea.

 

Nota

(1) Il filo della storia. Tessuti antichi in Emilia-Romagna, a cura di Marta Cuoghi Costantini e Iolanda Silvestri, Bologna, IBC-CLUEB, 2005.

 

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