Rivista "IBC" XIV, 2006, 2

Dossier: Oltre il Codice

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Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: uno strumento in mezzo al guado

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Il dossier di questo numero presenta una selezione di interventi svolti all'interno di un seminario proposto dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) nel dicembre del 2005 a prosecuzione di un percorso di analisi sul Codice dei beni culturali e del paesaggio iniziato con il convegno del maggio 2004 (www.ibc.regione.emilia-romagna.it/regioni-ragioni/). Mentre in quella prima occasione l'attenzione era posta soprattutto sul rapporto centro/periferia, ovvero Stato/Regioni, così come configurato da questo nuovo strumento, in questa seconda manifestazione si voleva proporre una sorta di monitoraggio sull'evoluzione legislativa del Codice da un lato, mentre l'altro obiettivo era quello di illustrare le sperimentazioni che alcune regioni, unitamente alle diverse direzioni del Ministero, avevano intrapreso, in applicazione del Codice stesso, in oltre un anno e mezzo dalla sua entrata in vigore.

All'epoca di questo secondo momento di riflessione era in dirittura finale la fase di revisione del Codice prevista dal suo carattere di legge-delega. Revisione che, lungi dal limitarsi a qualche chiarificazione o limatura terminologica, ha scatenato - soprattutto per la parte terza del Codice, quella dedicata al paesaggio, interessata da più ampi e incisivi emendamenti - una contrapposizione netta fra Ministero e Regioni nel loro insieme, che hanno respinto, nel metodo e nel merito, lo schema proposto (e ormai approvato) per quanto riguarda i beni paesaggistici.1

In estrema sintesi, per quanto riguarda i beni culturali le modifiche, in questo caso discusse e condivise con la Conferenza unificata delle Regioni, hanno decretato, per esempio, il definitivo superamento del tanto discusso meccanismo del silenzio-assenso per quanto riguarda la verifica dell'interesse culturale e quindi dell'alienazione dei beni del patrimonio culturale. Importanti precisazioni e integrazioni sono state inoltre introdotte per quanto riguarda le norme dedicate alla conservazione e alla figura del restauratore e la sua formazione professionale. Interventi correttivi riguardano anche le alienazioni dei beni culturali e l'esercizio del diritto di prelazione; ancor più accentuata, infine, risulta l'attività di valorizzazione dei beni culturali tramite forme di gestione diretta e indiretta.

Più consistenti, nel merito, appaiono le modifiche alla parte terza: i beni paesaggistici. Fra le novità di maggiore rilievo si segnala il tentativo di razionalizzare il sistema sanzionatorio e il procedimento di vincolo, precisandone i termini. Viene poi reintrodotto, in via transitoria, il carattere vincolante del parere della Soprintendenza, ma soprattutto si cerca di individuare per le Regioni un indirizzo generale per orientare l'eventuale delega dell'esercizio della funzione autorizzatoria paesaggistica verso specifici livelli, individuati di preferenza nelle Province.

Purtroppo queste ultime nuove disposizioni correttive e integrative, come detto, non nascono in un'ottica di condivisione Stato-Regioni e questa genesi pare prefigurare una nuova stagione di conflitti e contenziosi sulla determinazione delle rispettive attribuzioni in ambito paesaggistico: da parte della Conferenza unificata delle Regioni è stato lamentato, nel metodo, il mancato coinvolgimento nel procedimento di adeguamento e, nel merito, il tentativo di riappropriazione, da parte degli organi centrali dello Stato, di competenze precedentemente delegate all'ambito regionale.

Negli interventi qui riportati l'insieme di tali provvedimenti, per quanto riguarda da un lato i beni culturali e dall'altro il paesaggio, è illustrato con ampiezza e rappresentatività delle posizioni in campo e ci sembra che i testi proposti, pur nel tecnicismo del lessico giuridico che talvolta li caratterizza, presentino un quadro molto circostanziato, e a tratti appassionato, degli elementi di miglioramento, degli spazi ancora aperti alla discussione, quando non di aperta contrapposizione.

Fin dalle prime fasi di elaborazione il Codice ha avuto il merito di sollevare un ampio dibattito sulla situazione del nostro patrimonio culturale: tale discussione ha accompagnato il Codice - e le disposizioni legislative "limitrofe", quali quelle di riordino del Ministero, o di ambito "tangenziale", come il decreto di delega ambientale - fino a tempi recentissimi e ha visto il contrapporsi di posizioni tecnicamente, ma più spesso politicamente, in conflitto. Da un lato il Codice è stato interpretato come una minaccia per l'integrità del nostro patrimonio e, nel suo complesso, una diminutio dei meccanismi della tutela così come ereditati dalla mitica legislazione del 1939 o dal decreto Galasso, mentre d'altro lato è stato presentato come una pietra miliare, una sorta di rifondazione della legislazione in materia, con ampi spazi di innovazione e di ammodernamento. Una visione più realistica si colloca probabilmente a metà strada, soprattutto dopo le ultime revisioni.

Abbandonati, anche per opera dell'intensa attività di vigilanza scientifico-mediatica di un drappello di note personalità del settore, gli aspetti più discutibili, quali quelli del meccanismo del silenzio-assenso o dell'archeocondono, il Codice rappresenta, nella versione attuale, un discreto punto di mediazione fra esigenze diverse: prima fra tutte quella della conciliazione nella diversificazione di funzioni fra Stato e Regioni imposta dalle modifiche al Titolo V della Costituzione, vero motore dell'azione legislativa. Ancora, sembra di poter affermare che i principi e gli strumenti della tutela nel loro complesso non ne escono granché indeboliti, ma il Codice si pone in una logica di continuità sostanziale con il Testo unico del 1999, che costituiva a sua volta l'ultima riscrittura di una delle legislazioni più evolute in materia di beni culturali. Apprezzabili, anche se non completamente risolti, appaiono i tentativi definitori dell'insieme del patrimonio e delle funzioni che su di esso si esercitano, così come innovativa, anche se più accennata che coerentemente perseguita, la ricongiunzione di beni culturali e paesaggio come elementi inscindibili di un unico irriproducibile patrimonio comune.

Il lavoro da fare è ancora molto: sia perché la frattura istituzionale creata in quest'ultima fase non potrà non essere ricomposta il prima possibile, sia perché, come già era stato sottolineato da più parti, in molti ambiti il Codice si limita a indicare delle linee d'azione senza proporre strumenti attuativi, demandati a una fase successiva. Una fase che per molti versi si presenta, adesso, alquanto delicata, e per affrontare la quale l'IBC non mancherà di proporre i propri strumenti di analisi.

In realtà, come per ogni strumento legislativo, l'efficacia del Codice deriva e soprattutto deriverà innanzitutto dal contesto istituzionale in cui sarà calato e dalla dotazione di risorse non solo economiche sulle quali potrà contare per operare. A seguito di recenti disposizioni legislative il termine per l'introduzione di emendamenti alle leggi delega è stato portato a 4 anni: ancora 2 anni di verifiche ci attendono, quanto mai opportuni per "digerire" l'insieme delle novità e per dare avvio, a livello di Stato-Regioni, a quelle sperimentazioni e azioni programmatiche che ancora mancano per saggiare l'operatività di questo strumento e la sua reale efficacia in termini di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio.

 

Nota

(1) Il Codice dei beni culturali e del paesaggio e i due decreti legislativi con le integrazioni e correzioni sono consultabili sul sito del Ministero per i beni e le attività culturali (www.beniculturali.it, sezione Normativa-Norme statali).

 

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