Rivista "IBC" XIV, 2006, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / itinerari

Tra Modena e Bologna, a pochi chilometri dalla Via Emilia, il verde della vegetazione nasconde agli occhi le meraviglie di un giardino che racconta due secoli di storia.
Visita a Villa Sorra

Micol Scondotto
[Istituto cooperativo per l'innovazione, Bologna]

Alle volte capita di imbattersi in luoghi speciali proprio dove non si immaginava potessero esistere, forse perché troppo vicini alla propria casa e alle consuetudini d'ogni giorno. È questo il caso di Villa Sorra, a un paio di chilometri da Castelfranco Emilia (Modena), fra le frazioni di Gaggio e Panzano. Arrivando dalla strada, l'occhio non coglie facilmente, fra il verde intenso dei campi, la zona delimitata della tenuta acquistata dal modenese Francesco Sorra negli ultimi anni del Seicento, ma è certo che l'impianto di villa e giardini affascina chi ha la fortuna di sorvolare la campagna emiliana. All'ingresso è posto un percorso circolare di 140 metri di diametro, circondato da doppi filari di platani, attorno al quale, quando la costruzione fu completata nella prima metà dell'Ottocento, si muovevano con grazia calessi e carrozze. L'ingresso della villa è impreziosito da una fontana da cui oggi sfortunatamente non zampilla più acqua, ma il grande giardino affacciato verso Bologna mostra ancora i suoi antichi fasti (www.villasorra.it).

La villa padronale costituisce un brillante esempio del barocchetto emiliano: in origine di forma spiccatamente piramidale, si impernia su un salone centrale ellittico dal quale è possibile accedere alle logge, che lo mettono in comunicazione con quattro piccoli appartamenti (rosso, verde, giallo, a rasetto) dalle ricche decorazioni parietali, che incorniciavano con grazia gli arredi (trafugati nel corso degli anni), e a soffitto (particolarmente degno di nota è la Minerva che incorona le Arti nella sala della musica, opera ottocentesca di Pietro Fancelli). Uno scaloncino all'imperiale conduceva al piano superiore (che oggi non è visitabile). Di particolare interesse la piccola cappella posta all'interno di due ante finemente intagliate e ricche di ori, che conteneva anche un confessionale, posto in posizione strategica per permettere al padrone di casa di ascoltare le confessioni dei propri ospiti da una stanzetta segreta. L'interesse dei proprietari per coloro che soggiornavano in villa non si arrestava qui: in ogni stanza, infatti, al di sopra di stucchi e bordi decorativi, erano state ricavate delle fessure tramite cui era possibile spiare intrighi e complotti. La villa era poi arricchita da una serie di tele su iuta, che oggi sono state in parte restaurate e conservate presso il Palazzo ducale di Sassuolo, raffiguranti la tenuta, i suoi giardini e alcuni capricci architettonici.

Il giardino storico è suddiviso in due parti: il giardino settecentesco, formale e geometrico, e quello romantico, boscoso e ricco di canali acquatici. L'area del primo è perimetrata da fossati ed è ripartita in otto stanze verdi, un tempo delimitate da siepi rese eccezionali dall'arte topiaria. Alla sinistra dello spettatore si innalza un'aranciera neogotica ornata da undici arcate a sesto acuto. Nel fondo si apre una grande peschiera di acqua purissima in cui venivano posti i pesci per perdere il gusto limaccioso prima di essere portati nelle cucine della villa. Nel 1827 la marchesa Ippolita Livezzani, vedova del conte Cristoforo Munarini Sorra, decide di trasformare il giardino formale in giardino all'inglese di gusto prettamente romantico. Questa parte del giardino racchiude tutta una serie di sorprese che, se dovevano apparire portentose ai visitatori del tempo, non mancano di stupire neppure oggi.

Inoltrandosi nel silenzio della fitta vegetazione, attraverso ponticelli che collegano un'isola all'altra e che interrompono a tratti la visuale dei canali punteggiati di ninfee, per prima cosa ci si imbatte nella "Kaffeehaus" o anche "Stanza del romito", che con i suoi improvvisi spruzzi d'acqua interni faceva sussultare i cuori dei nobili e li divertiva, ricordando loro che in ogni momento, anche il più tranquillo, può accadere qualcosa di straordinario. Il paesaggista bolognese Campedelli inserisce a sua volta nel giardino romantico i resti delle terme affacciate su un laghetto, che anticamente era percorribile in barca. Sulle sue sponde sono posti anche uno scalo abbandonato e una terrazza belvedere, la cui parte sottostante è raggiungibile tramite una breve grotta scavata nella roccia, molto buia e verosimilmente abitata da diversi tipi di animali. All'ingresso della grotta, fino a qualche anno fa, una statua raffigurante un gobbo indicava la scarsa altezza del passaggio sotterraneo. Alzando gli occhi verso le cime degli alberi, dalla terrazza, è facile avvistare il volo silenzioso degli aironi cenerini e il guizzare fulmineo del martin pescatore.

Il paesaggista modenese Tommaso Giovanardi ha invece progettato per il giardino le rovine di un castello medievale, un tempo accessibile, sia all'interno delle alte torri, finemente decorate, sia nelle segrete. Alla magia di tutti questi percorsi bui e tortuosi, di tutte queste grotte silenziose e piene di mistero nostalgico si uniscono le tradizioni locali secondo cui passaggi segreti congiungevano Villa Sorra all'abitato di Castelfranco permettendo scorrerie amorose ai nobili villeggianti. La capanna del pescatore (bisognosa di un accurato restauro) e la capanna del cacciatore (di cui rimangono poche rovine), oltre alle statue e alle urne in pietra in ricordo degli amati cani dei conti Sorra, sono esempi interessanti del ricco repertorio del giardino romantico e della sua filosofia giocosa e al contempo meditabonda.

 

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