Rivista "IBC" XV, 2007, 3

biblioteche e archivi / convegni e seminari, didattica, progetti e realizzazioni

Un nuovo appuntamento con la Biblioteca "Armando Gentilucci", la "Casa dei suoni" di Reggio Emilia.
In principio era il numero

Monica Boni
[responsabile della Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto musicale "Achille Peri" di Reggio Emilia]

Da sempre le biblioteche racchiudono gli effetti documentari della nostra cultura. Tracce del passato ci accolgono con una generosità di stimoli che invita ad approfondire la nostra natura, il nostro modo di essere nel presente, parlando a noi e invitandoci ad ascoltare noi stessi, a guardarci con occhi nuovi. Se poi la musica si interpone a filtrare il nostro sguardo sul mondo, ci accorgiamo che improvvisamente le distanze che ci separano dal passato non esistono più; che grazie alla musica che ci avvolge possiamo percorrere in lungo e in largo l'asse del tempo senza che questo ci condizioni o ci distolga dal reale punto di vista, senza che questa straordinaria "macchina del tempo" ci imprigioni troppo a lungo tra i suoi ingranaggi e ci coinvolga in un viaggio senza ritorno.

Per questo, dopo l'esperienza dell'anno scorso,1 il 19 maggio 2007 la Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto superiore di studi musicali "Achille Peri" di Reggio Emilia è tornata a riflettere sul perché e sul come il contenuto di una biblioteca musicale possa evidenziare le modalità e le condizioni stesse della conoscenza (www.municipio.re.it/peri_biblioteca/). Il discorso della musica, proposta dal vivo a esemplificazione di quanto il discorso sulla musica si propone di "questionare", rafforza e connota la prospettiva linguistica in cui si svolge questa proposta culturale: una sorta di ipertesto vivente sulla musica, verrebbe da dire, in cui "finestre" verbali si aprono dopo che altre finestre, musicali, si sono chiuse.

Con lo stile già sperimentato nella passata edizione, abbiamo cercato di cogliere quest'anno le connessioni tra gli oggetti conservati (le partiture, i saggi musicologici), il loro contenuto reso "risonante" per effetto delle esecuzioni e degli interventi proposti in loco, e il substrato conoscitivo, colto questa volta dal lato del rapporto tra numero e suono. Trattandosi di biblioteca, e dunque di luogo deputato allo studio e all'elaborazione di conoscenze, si è scelto un solo tema unificante e una visione della conoscenza che dall'ambito musicale si affaccia su quello matematico, filosofico, biologico, architettonico, evidenziandone le origini comuni: alla radice vi è il concetto archetipico di numero/suono di ascendenza pitagorica. Perché rifarsi alla musica? In altre parole, a che si deve questo farsi della musica, più propriamente luogo di rappresentazione immaginativa, a vettore di conoscenze altre, fondate su altri presupposti? Cos'ha a che fare il ragionamento per schemi astratti della conoscenza logica con la produzione di "immagini", con il forte appello all'interiorità del vissuto con cui la musica ci cattura?

Ebbene, quando la musica risuona, "il numero si dispone ovunque a proporre ordine e suggerire serie, a disporre simmetrie e a invertire proporzioni [...] a moltiplicare frammenti, a proiettare geometrie e distribuire presenze".2 Nella trasmissione della cultura si documenta il persistere di questo substrato conoscitivo che la musica da sempre porta con sé in forme più o meno consapevoli: un principio ordinatore che informa in astratto le sue strutture di base come intervalli, scale, modi, sistemi, così come gli aspetti che regolano il calarsi nel tempo di quelle strutture e dunque il rapporto col ritmo e con le modalità progettuali e operative che presiedono al comporre.

È un numero inconscio, che dimentica subito sé stesso, quello che emerge all'ascolto delle partiture musicali che la storia ci ha consegnato in più di mille anni. Esso si riconosce soltanto a posteriori quando, invisibilmente, si è già innumerato nelle cose, motivo per cui la percezione della musica non si risolve in mero computo, ma in attività autoconoscitiva in cui ciascuno coglie il proprio ritmo interiore, reso fisico e sonoro. La riflessione sulla musica ha radici molto lontane e la sua rilevanza nel pensiero filosofico, che dall'antichità si estende fino alle soglie dell'età moderna attraverso l'intensa rielaborazione compiuta in epoca altomedievale, è significativa e degna di attenzione. Per comprenderne le ragioni occorre riportarsi alla dimensione puramente speculativa in cui la musica trovava nella scienza dei numeri la spiegazione logica delle sue strutture fondamentali.

Le proporzioni aritmetica e geometrica, applicate in sede sperimentale alle sezioni di una corda vibrante, davano come risultato gli intervalli fondamentali della scala diatonica: la quarta, la quinta, l'ottava. Il pensiero sulla musica non passava perciò attraverso il fallace giudizio dei sensi ma trovava la sua unica spiegazione nei "numeri sonori", in una sorta di simbiosi tra metafisica del numero, fisica del suono e bello musicale. Quanto al numero, lo si è da sempre ritenuto riferimento simbolico per esprimere le realtà trascendenti. Secondo un punto di vista metafisico, ogni numero, assumendo in sé le nozioni di qualità e di quantità, rappresenta il grado di discesa dell'Uno, o archetipo informale, nella molteplicità delle sue manifestazioni formali e perciò numerabili. Ciò spiega l'importanza che rivestono gli aspetti aritmologici nei riti, essendo il numero il principale modello nella mente del Creatore.

Una tavola etimologica distribuita nel corso dell'evento mostra a un certo punto la doppia radice di arithmos greco e di numerus latino, indicatori di direzioni apparentemente opposte interpretate da un unico concetto: numero che unisce e numero che divide, a seconda del punto di vista necessitato della molteplicità declinata in base a principi ordinatori, e necessitante dell'unità che si proietta via via nelle sue manifestazioni particolari. Non è che una delle derivazioni etimologiche, ivi rappresentate graficamente. Le radici di alcune parole-chiave sembrano suggerire una costellazione di intrecci semantici che, opportunamente vagliati, confermano le potenzialità conoscitive della musica: man è la radice comune del termine germanico per "uomo", di quello sanscrito per "mente", così come di quello greco per "imparo" (e dunque conosco) e per "musa", da cui "musica". Il fascino di queste suggestioni mentali in cui numeri, musica e linguaggio sembrano volerci irretire si avvale di alcune coordinate di fondo entro cui si dipanano gli intrecci: il tempo, i vissuti, lo spazio, il gioco, la regola, e, finalmente, il numero, mentre la centralità spaziale spetta al "sette".

Nell'anno settimo del terzo millennio, infatti, non si poteva ignorare il forte richiamo simbolico contenuto in questo numero, in base al quale, per esempio, siamo soliti declinare i giorni della settimana: un riflesso immanente del tempo in cui fu creato il mondo. Tracce della complessa simbologia legata al "sette" passano attraverso le elaborazioni della cultura scolastica medievale, in un intreccio di derivazioni mistiche e religiose che improntano da sempre la vita degli uomini. Anche il posto che la musica occupava fra le sette arti liberali conferma l'ossessivo richiamo simbolico che le sette virtù, di cui tre teologali (fede, speranza, carità) e quattro cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), trovavano negli altrettanti vizi capitali: gola, lussuria, ira, accidia, invidia, avarizia, superbia (a ben vedere è una lista dei rapporti distorti che l'individuo intrattiene con sé, con gli altri o con le cose, come si conviene a una forma di psicoanalisi ante litteram). In quel contesto culturale, la collocazione stessa della musica tra le discipline del quadrivium, insieme ad aritmetica, geometria e astronomia, piuttosto che del trivium (grammatica, dialettica e retorica) ci appare chiarificatrice, e ciò alla luce della funzione propedeutica che quelle sette discipline svolgevano nei confronti della filosofia, vero punto d'arrivo nella ricerca della conoscenza.

Le scienze matematiche quindi dispongono alla conoscenza muovendo dai misteri inaccessibili al pensiero razionale, poiché arrivano a parlare dei rapporti su cui si basa l'ordine cosmico. Alle proporzioni numeriche regolanti l'intero universo, si deve, secondo gli antichi, il concetto stesso di armonia. L'inudibile suono che i pianeti emettono nel corso delle loro circonvoluzioni, trova il corrispettivo teorico nella gamma organizzata della cetra a sette corde che il mito attribuisce al musico Terpandro. Armonia è la scala musicale ottenuta con la composizione di intervalli ricavati attraverso le proporzioni numeriche, e quindi c'è armonia quando si conciliano entità in opposizione: la perfezione e il suo contrario, il pari e il dispari, la consonanza e la dissonanza.

La musica è dunque espressione fisica e metafisica a un tempo dell'armonia che è fuori e dentro di noi. Se nel rapporto tra l'uno e il suo doppio si realizza la prima esperienza di conciliazione degli opposti, in musica, il prototipo di polifonia, che ci viene riferito dai trattati, è un canto apparentemente a due voci in cui l'una è però semplicemente il raddoppio dell'altra. Le oscillazioni intervallari e gli artifici ritmici, che cominciarono ad animare questa maestosa uniformità, favorirono una più intima confidenza dei musicisti con la fisicità del suono e condussero alla ricerca sempre più sofisticata di varietà di rapporti nell'unità di tempo. Nella composizione polifonica più evoluta l'artificio contrappuntistico dette luogo al cosiddetto "canone" (dal termine greco che sta per "regola") in cui l'intera melodia viene riprodotta rigorosamente e integralmente in altra voce, con l'effetto di una simmetrica opposizione. La costruzione di canoni musicali rappresenta un esempio straordinario di elaborazione intellettuale delle possibili relazioni tra i sette suoni. I segreti di quest'arte sono stati dimenticati e i procedimenti che hanno dato luogo alle vertiginose composizioni dei musicisti fiamminghi del Cinquecento e degli eredi immediatamente successivi restano impenetrabili enigmi, nonostante studi recenti abbiano cercato di ricostruirli.

All'opposto, l'asimmetrica suddivisione dell'intervallo musicale di ottava, costituito dalla somma di una quarta e di una quinta, riflette la proporzione nota fin dall'antichità come "sezione aurea". Verso il 1200 il matematico italiano Leonardo Fibonacci dimostra che tale proporzione rappresenta il modello di sviluppo e accrescimento delle forme organiche. I fenomeni naturali si esprimono matematicamente nella serie di numeri naturali in cui ogni termine risulta dalla somma dei due precedenti (1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, ecc.). Le caratteristiche di armonia e proporzionalità di quella che Keplero definì sectio divina si tradusse in un canone, ma questa volta estetico, al quale si riferirono espressioni artistiche della scultura, della musica, della poesia, dell'architettura.

Nello spazio del chiostro su cui l'antica biblioteca del convento si affacciava, si è discusso dell'armonia del "sette", che ispirò nella progettazione il percorso compositivo di un chiostro benedettino poco distante, la cui struttura, mutuata dalle Scritture, venne "presa a testimonianza dei valori trascendenti di cui si volle dotare la fabbrica. Il pensiero originario dei committenti e dei costruttori si dipana nello spazio chiuso-aperto dei chiostri secondo una serie codificata di numeri in rapporto aureo continuo che intesse tutta la costruzione, dal disegno generale agli elementi particolari. Sono gli stessi numeri che, secondo la teoria albertiana della concinnitas, sottendono l'armonia dei suoni nella musica e creano la bellezza della forma nell'architettura".3

Biologia e architettura, natura e manufatto. Se dunque "il numero, entità ordinatrice, porta con sé il concetto di misura, donde la sua applicazione a entità fisiche come oggetti naturali o manufatti [e] la visione si è quindi piegata a percepire la proporzione e la simmetria [...] la musica vista con gli occhi sarà quindi architettura molto prima che le partiture funzionino anche come opere d'arte grafica; sarà cioè trasferire nel tempo funzioni di simmetria".4Fuori dal tempo,5 dunque, la musica è architettura, e nelle sue fasi progettuali possono applicarsi a essa semplici formule o più complesse teorie matematiche. In questa dimensione, sganciati dalla temporalità del flusso sonoro, la concettualità si addentra fin nelle strutture proprie della musica, nel cuore delle sue prerogative ordinatrici, per poi uscirne, fino a toccare altre strutture, quelle fisiche dei luoghi che la contengono, come se il ragionamento guardasse dal di fuori la biblioteca e poi rientrasse per poter continuare a ragionare su uno spartito, su una composizione, sulla sua forma.

 

Note

(1) Si veda: M. Boni, Partiture all'ascolto, "IBC", XIV, 2006, 3, pp. 10-12; l'articolo rifletteva sull'obiettivo di trasformare per un giorno la biblioteca musicale da luogo di conservazione e di studio a vera e vivente "casa dei suoni", mettendo a bilancio gli effetti di una proposta culturale della Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto superiore di studi musicali "Achille Peri" di Reggio Emilia, svoltasi il 6 maggio 2006.

(2) F. Donatoni, Antecedente X. Sulle difficoltà del comporre, Milano, Adelphi, 1980, pp. 153-154.

(3) F. Manenti Valli, L'armonia del 7 nei chiostri benedettini di San Pietro, abstract dell'intervento pronunciato nel corso dell'incontro "La casa dei suoni. In principio era il numero", Reggio Emilia, Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto superiore di studi musicali "Achille Peri", 19 maggio 2007.

(4) M. Zuffa, Simmetrie e ricorrenze, abstract dell'intervento pronunciato nel corso dell'incontro "La casa dei suoni. In principio era il numero", Reggio Emilia, Biblioteca "Armando Gentilucci" dell'Istituto superiore di studi musicali "Achille Peri", 19 maggio 2007.

(5) Si cita la nota opposizione di strutture musicali en temps / hors du temps messa in luce dal compositore-architetto Iannis Xenakis in Musica. Architettura, Milano, Spirali Edizioni, 1982, pp. 35-36.

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