Rivista "IBC" XV, 2007, 4

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / mostre e rassegne, editoriali, pubblicazioni, storie e personaggi

A un anno dalla scomparsa, l’IBC rende omaggio a Lucio Gambi, suo primo presidente. Al suo insegnamento, calato nel vivo delle cose e dei problemi, dobbiamo il concetto di paesaggio integrato: uno spazio vivente popolato di forme e di presenze umane, da riconoscere e da interpretare come un insieme organico di natura e cultura.
Un atto di vita

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Il 15 novembre 2007, a Bologna, il Dipartimento universitario di discipline storiche e l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) hanno organizzato una giornata di studio per ricordare la figura e l'opera del geografo Lucio Gambi (Ravenna, 1920 - Firenze, 2006). A seguire è stata inaugurata la mostra "Uno sguardo lento. L'Emilia-Romagna nelle raccolte fotografiche dell'IBC", anch'essa dedicata alla memoria di Gambi: l'esposizione è allestita al Museo civico archeologico fino al 6 gennaio 2008. Pubblichiamo il testo introduttivo del catalogo (Bologna, IBC - CLUEB, 2007).

A un anno dalla sua scomparsa l'IBC vuole rendere omaggio alla cara memoria di Lucio Gambi, suo primo presidente, e ricordarlo come il maestro e l'amico di tanti dialoghi e incontri, affabile e insieme severo, lucido e appassionato, schivo e composto, risoluto e tenace nell'indagine critica con l'alacrità sorridente della sua figura minuta e del suo volto sempre attento alle ragioni dell'altro. Vero è che in lui il metodo dell'esperto si traduceva in misura umana, così come lo scienziato, per dirla con il suo e nostro Cattaneo, era insieme "zelatore del bene pubblico", interprete virtuoso di un "inestinguibile affetto di paese". E al suo insegnamento, calato nel vivo delle cose e dei problemi, dobbiamo per l'appunto il concetto paradigmatico di ambiente e di paesaggio integrato, la geografia e la storia di uno spazio vivente popolato di forme e di presenze umane da riconoscere e da interpretare come un insieme organico di natura e cultura.

Come spiegava lo stesso Gambi in una pagina esemplare, che è anche un esercizio sapiente di osservazione e di lettura del territorio, "il paesaggio consiste" per l'appunto "in quell'insieme di cose, di oggetti, che noi vediamo per uno spazio più o meno grande intorno a noi", ossia "le forme e le dimensioni dei campi, i modi con cui i vari tipi di coltivazioni occupano i campi, i modi con cui i campi sono arati, con cui le acque di pioggia o provenienti da zone più elevate sono fatte scolare, con cui si mettono in comunicazione i campi con le case, modi che sono molto diversi in pianura e in montagna. E poi le case ove abitano coloro che coltivano i campi e le strade, principali o minori, che intersecano come una ragnatela la campagna per unire queste case ai villaggi, alle borgate, alle città. E poi le forme del terreno, che sono orizzontali nella pianura, ma più o meno ondulate o fortemente inclinate o dirupate in montagna. E poi i fiumi che hanno solcato per secoli e secoli con i loro percorsi serpeggianti i rilievi montani e hanno inciso e plasmato le valli e che invece, in pianura, scorrono contenuti fra alti argini che difendono le campagne dalle loro piene. Queste cose, forme del rilievo, fiumi, campi, coltivazioni, villaggi, ecc., non sono indipendenti, separate le une dalle altre, ma si legano strettamente fra loro. E si legano ad altre cose che il nostro occhio non può cogliere nel paesaggio, ma che lasciano egualmente sul paesaggio i loro importantissimi effetti: cose che si riconoscono solo per mezzo di uno studio compiuto con altri strumenti e in particolare con qualunque tipo di documento scritto. Ma è precisamente dalla accurata osservazione su quanto possiamo vedere coi nostri occhi, su quanto cioè forma il paesaggio che ci sta intorno, che noi impariamo a porci delle domande. Per mezzo delle risposte che diamo a queste domande impariamo a capire la storia di come è stato costruito e organizzato il mondo in cui abitiamo, in cui ci muoviamo, le forze che lo hanno prodotto".

Di qui anche un'idea allargata di bene culturale, un'antropologia dell'"oggetto che non dà solo gradevoli impressioni o suggestioni estetiche, e non va inteso come un unicum che non si può ripetere in termini di identità totale: è un'opera d'arte ma di tipo diverso da quelle studiate per lo più dagli storici d'arte: cioè un oggetto che si esprime in una forma funzionale nel tempo alla società a cui deve servire e nello spazio al quadro ambientale che lo accoglie. In base a tali requisiti, beni culturali non sono solo quelli che escono dalle mani di un maestro che li firma (o di un meno illustre ma rinomato artigiano) e che sono in grado di vivere isolati o adunati in un museo. Ma sono anche gli oggetti costituenti parte di un maggior complesso e non estraibili da esso (se non devitalizzandoli): quelli cioè che le comunità umane si creano per vivere". E di pari passo, a partire dal caso specifico della "casa agricola", ecco l'ipotesi complementare di una "anagrafe", di una "rilevazione integrale", restituendo alle "forme" la "propria storia", anche nei suoi "valori ambientali".

È un programma esplorativo e conoscitivo, che il nostro Istituto regionale ha condiviso sin dalla fondazione e che ha laboriosamente ed efficacemente messo alla prova negli anni fervidi e generosi del primo assetto regionale, quando sembrava e forse era il preludio necessario di un'Italia finalmente ordinata e moderna. Poi, come si sa, i tempi sono cambiati e gli effetti si sono sentiti anche nel nostro lavoro e nelle sue motivazioni ideali. Così ci è parso che il ricordo di Lucio Gambi, proprio perché non restasse soltanto un rito dovuto, potesse associarsi a un ragguaglio della nostra attività istituzionale più vicina, per così dire, alla sua lezione e ai suoi propositi, tanto più nel trionfo della civiltà dei consumi e della globalizzazione. Ciò che si presenta nella mostra è una sorta di retrospettiva che testimonia la continuità di un'esperienza e di un sapere, ma più ancora vuole essere un'interrogazione e un confronto con il modello che ci viene da un maestro, per riproporne la tensione e il calore contro la scienza grigia della routine, che ha il sopravvento ogni volta che viene meno il fermento, l'inquietudine delle idee. L'esame di coscienza a più voci che si accompagna al dialogo delle immagini, se da una parte investe il passato e ne ricostruisce un possibile profilo, dall'altra si proietta verso il futuro, verso un nuovo cammino che attende l'IBC se il suo passo è ancora vigoroso e non inerte, nel momento in cui nascono nuove difficoltà e nuovi problemi. L'importante è avere ancora al nostro fianco l'ombra di Lucio Gambi e fare della sua memoria un atto di vita, una parola che continua anche quando si trasforma.

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