Rivista "IBC" XVII, 2009, 4

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / didattica, progetti e realizzazioni, pubblicazioni, storie e personaggi

A quarant'anni dalla nascita della Regione, l'Emilia-Romagna racconta la sua storia a tutti coloro che, partendo da qui, sono andati a stare nel mondo.
Nove passi nella storia

Valeria Cicala
[IBC]
Vittorio Ferorelli
[IBC]
Gina Pietrantonio
[Ufficio per le relazioni con il pubblico della Regione Emilia-Romagna]

Dal 6 al 9 ottobre 2009, a Bologna, la Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo ha riunito i presidenti delle oltre cento associazioni che raggruppano i nostri corregionali sparsi per il mondo. Concentrate soprattutto in Argentina, Brasile, Stati Uniti, Svizzera, Francia, Gran Bretagna e Germania, queste associazioni testimoniano le storie di un'emigrazione che tra la fine dell'Ottocento e oggi ha portato via dal nostro territorio un milione di uomini, donne e bambini. Durante la conferenza, la presidente della Consulta, Silvia Bartolini, ha presentato i nuovi esiti del gruppo di lavoro costituito nell'ambito della Regione per approfondire, sul sito web degli emiliano-romagnoli nel mondo, la storia e la cultura della loro terra d'origine.1

Tra gli obiettivi del gruppo c'era anche la messa a punto di uno strumento di comunicazione semplice e divulgativo, utile per lo studio e la conoscenza della lingua italiana: per questo, oltre alla versione web, per raccogliere i contenuti prodotti è stata progettata una nuova collana di libri illustrati, in cui è stato coinvolto il talento immaginifico di Sergio Tisselli, raffinato acquarellista e ultimo allievo di Magnus. Il primo numero di questa collana, Nove passi nella storia. L'Emilia-Romagna si racconta, sarà inviato a tutte le associazioni all'inizio del 2010, in occasione dei quarant'anni della Regione. Il viaggio nelle vicende storiche del nostro angolo d'Europa (di cui qui presentiamo in anteprima il testo) è contrappuntato da nove splendide immagini ad acquarello. Come in ogni storia che si rispetti, anche qui c'è un personaggio-guida, testimone di ogni scena. Per sapere chi sia, non resta che sfogliare il libro.


L'Adriatico, il mare che a est segna il confine dell'Emilia-Romagna, era frequentato già nella preistoria. Fu l'approdo di genti che poi si insediarono nella penisola italiana lasciando tracce nel territorio e nei racconti degli autori antichi. Tra il XVII e il XVI secolo avanti Cristo, nell'età del Bronzo, qui si diffuse una civiltà che prende il nome dalle "terramare", i villaggi costruiti sulle palafitte: questa cultura primitiva, che riguardava molte aree dell'Emilia-Romagna e raggiungeva anche le prime zone dell'Appennino, ha lasciato ricche testimonianze nei territori di Modena e di Parma. Il mare Adriatico viene evocato anche nei miti greci, come quello di Ercole, e nei racconti degli eroi omerici. Dal VII secolo avanti Cristo la navigazione greca divenne intensa: in buona parte si dirigeva verso il delta del Po, soprattutto a Spina, come testimoniano le splendide ceramiche oggi esposte nel Museo archeologico di Ferrara. Per tutto l'evo antico questo scalo mantenne la sua funzione di mercato fluviale verso la Padania e le Alpi, quindi verso l'Europa.

"Protovillanoviano" e "Villanoviano" sono i termini usati oggi per definire le culture che anche in questa regione, tra l'VIII e il VI secolo avanti Cristo, segnarono l'incontro con la civiltà etrusca. Gli Etruschi, provenienti dalla valle del Reno attraverso le città di Marzabotto e di Bologna (che si chiamava Felsina), si incontravano anche sul delta del Po. Di qua dall'Appennino, i principati e le diverse città etrusche esercitarono un dominio mercantile soprattutto nella parte orientale della regione, per esempio attraverso la valle del Marecchia, dove su un fiorente centro protovillanoviano sorgeva l'abitato di Verucchio. Nella parte occidentale, il dominio etrusco si attuò come un vero monopolio politico, sia a Felsina, lungo la via per Spina, sia nel Modenese, nel Parmense, nel Piacentino, e anche al di là del Po. Ne derivarono una vera e propria produzione artistica e una raffinata cultura urbanistica, come nella città fondata a Marzabotto, nella valle del Reno. Sull'Appennino occidentale, la cultura etrusca si incontrò e si amalgamò con quella delle popolazioni liguri lì stanziate, che conobbero poi l'invasione celtica e il successivo arrivo dei Romani.

In Emilia-Romagna i Celti si insediarono in villaggi che di frequente dominavano le vallate appenniniche: come a Monte Bibele, nella valle bolgnese dell'Idice. Ritornando al mare, la costa adriatica continuò sempre a essere toccata da una navigazione costiera: gli approdi principali furono Rimini e Ravenna; da Ariminum (cioè Rimini, la prima colonia creata da Roma nell'area padana, nel 268 avanti Cristo) merci e uomini, attraverso i valichi appenninici, scendevano nella valle del Tevere. In età romana la valle del Po prendeva il nome di Gallia Cisalpina: ovvero la terra dei Galli cinta dall'arco alpino. Al suo interno il corso del fiume Po (dal latino Padus) identificava due regioni: la Transpadana e la Cispadana (che corrisponde all'Emilia-Romagna attuale). La fondazione di Rimini preparò la penetrazione romana: nel 218 viene fondata la colonia di Placentia (l'attuale Piacenza). La seconda guerra punica e il passaggio di Annibale arrestarono per diversi anni l'espansione romana nella regione. Tra il 189 e il 183 avanti Cristo la colonizzazione riprese con la fondazione di Bononia (Bologna), di Mutina (Modena) e di Parma. Per collegare le colonie romane si avviò la creazione di un unico asse stradale, opera del console Emilio Lepido. La Via Emilia, che parte da Rimini e termina a Piacenza, divenne l'elemento portante di una trasformazione totale, nel paesaggio come nell'economia del territorio: si bonificarono le terre paludose, si divisero le terre coltivabili, si crearono fornaci per la costruzione delle città.

Dal I secolo avanti Cristo e con l'imperatore Augusto, Ravenna, grazie al suo particolare territorio lagunare, fu la base della flotta romana d'Oriente (la classis, da cui il nome di Classe, la località che fu il porto della città). Qui, di conseguenza, affluirono marinai reclutati anche in terre molto lontane. Numerose strade continuarono verso nord il tracciato della Via Emilia. Fondamentale, per le sue opportunità di comunicazione, anche il percorso interno alla laguna: attraverso gli specchi palustri costieri, questo itinerario univa Ravenna ad Altino e ad Aquileia (negli attuali Veneto e Friuli Venezia Giulia). La romanizzazione portò a un sistematico trapianto di popolazioni: una traccia evidente di questo processo resta nelle espressioni della religiosità e negli sviluppi dell'alfabetizzazione. Durante l'età imperiale romana l'Adriatico registrò l'afflusso di numerosi culti provenienti da paesi del Vicino Oriente, di cui restano tracce in oggetti, iscrizioni e monumenti: un grande santuario dedicato a divinità orientali era situato a Sarsina, nel cuore dell'Appennino sopra Cesena.


Nel V e VI secolo dopo Cristo, Ravenna fu il principale centro politico della Penisola: già nel 402 l'imperatore Onorio vi aveva stabilito la capitale dell'Impero romano. Dopo il confuso periodo delle invasioni barbariche, nel 493 l'Italia passò sotto il dominio degli Ostrogoti, e a Ravenna si insediò il loro re Teodorico. Nel 527, con l'avvento dell'imperatore bizantino Giustiniano, Ravenna diventò sede del governatore d'Italia (l'Esarca) e visse un periodo di grande splendore, testimoniato dalle basiliche di san Vitale e sant'Apollinare in Classe. Nel corso del VI secolo l'unità politica della nostra regione venne interrotta dall'invasione dei Longobardi, che occuparono vari territori ma non riucirono a sconfiggere definitivamente i Bizantini. I Longobardi occuparono l'Emilia fino a Bologna e Imola, e si concentrarono a Reggio; ai Bizantini restò la zona adriatica, che prese il nome di Romagna perché apparteneva ai Romani di Bisanzio.

Contro i Longobardi il Papa chiese l'aiuto dei Franchi, che scesero in Italia e nel 773 li sconfissero. I territori della nostra regione entrarono a far parte del Sacro Romano Impero, costituito con l'incoronazione del re franco Carlo Magno nell'anno 800. Durante i primi secoli del Medioevo, nei conventi e nelle grandi abbazie, gli amanuensi ricopiarono i testi della tradizione classica, come accadde per lungo tempo a Bobbio, sull'Appennino piacentino. Il lavoro di quelle mani contribuì alla nascita delle grandi biblioteche: tra le prime, la Malatestiana di Cesena.

La successiva evoluzione dell'impero portò alla suddivisione amministrativa del territorio in feudi. Con il tempo, la sovranità dei feudi venne attribuita ai vescovi, che iniziarono così a costituire piccoli domini locali. In questo periodo si costituirono in regione due poli di notevole influenza: nell'Emilia occidentale si affermò il dominio della casa di Canossa (ne fu protagonista la contessa Matilde); il territorio romagnolo, invece, si organizzò intorno alla sovranità dell'Arcivescovo di Ravenna. Impero e Chiesa si trovarono contrapposti nella "lotta per le investiture", cioè per il diritto di nominare i vescovi. Proprio presso il castello di Canossa, sulla collina reggiana, avvenne l'umiliazione dell'imperatore Enrico IV di fronte a papa Gregorio VII (1077). In questo contesto, le classi più ricche delle città (proprietari terrieri e mercanti) manifestarono la loro insofferenza verso i poteri feudali, e promossero un nuovo tipo di ordinamento politico che mirava ad amministrare, a livello locale, le leggi, la giustizia, i tributi, l'economia: il Comune. Tra XI e XII secolo, nei centri emiliano-romagnoli, come in tutta l'Italia settentrionale, si formarono nuovi governi, guidati da consoli eletti da un consiglio dei cittadini, che progressivamente estesero la propria influenza politica ed economica sui territori circostanti. Con l'imporsi del modello comunale, le città divennero i centri di una rinascita economica e culturale.

Inizialmente, alleandosi tra loro, i Comuni garantirono la propria indipendenza dagli assalti delle truppe imperiali. Una volta sconfitto il comune nemico, però, emersero rivalità tra le città vicine, e contrasti interni tra le fazioni cittadine: le parti in lotta si proclamarono a favore del Papato (i Guelfi) o a favore dell'Imperatore (i Ghibellini). Le continue lotte intestine indebolirono le magistrature comunali e prepararono il terreno per l'instaurarsi di governi personali, in mano a famiglie nobili. In tutte le città emiliano-romagnole si consolidarono dunque le signorie: Piacenza, Parma, Mirandola, Carpi, Correggio, Scandiano, Imola, Faenza, Forlì, Ravenna, Rimini. Ferrara, in particolare, dal 1242 divenne il centro della signoria degli Estensi, che poi coprì anche Modena e Reggio. A Bologna il regime comunale durò più a lungo, e solo per brevi periodi si affermarono la signoria dei Pepoli e poi dei Bentivoglio. Dopo una serie di guerre tra le potenze regionali confinanti (Milano, Venezia, Firenze, la Santa Sede), all'inizio del Cinquecento Bologna e la Romagna entrarono a far parte dello Stato Pontificio.

Nonostante le guerre e l'instabilità politica, durante l'età dei Comuni e delle Signorie si svilupparono con maggior fervore e varietà la vita culturale ed economica, l'industria, l'agricoltura, i traffici, l'arte, la poesia: la città di Ravenna conserva tuttora le spoglie del poeta Dante Alighieri. È il tempo in cui nasce e si afferma l'Università di Bologna, la più antica del mondo. Vengono costruite le cattedrali, i palazzi comunali, castelli e rocche, e le mura delle città si allargano progressivamente per accogliere un crescente numero di abitanti.


Il Cinquecento si aprì con il consolidamento del dominio pontificio sulla parte orientale della regione. Papa Giulio II, con una serie di offensive militari, conquistò prima le città della Romagna e poi, nel 1506, Bologna. Alla fine del secolo, nel 1597, morì il duca Alfonso d'Este, senza lasciare eredi diretti: lo Stato Pontificio occupò Ferrara e il suo territorio, mentre agli Estensi restò il possesso di Modena e Reggio. Si stabilizzava così, in Emilia-Romagna, un assetto politico destinato a durare, con la sola parentesi napoleonica, fino all'Unità di Italia; il territorio regionale fu suddiviso in tre Stati: il ducato di Parma e Piacenza (creato nel 1545 da papa Paolo III per la sua famiglia: i Farnese), il ducato di Modena, e i possedimenti dello Stato Pontificio (Bologna, Ferrara, la Romagna). Tra i grandi personaggi della cultura che lasciarono traccia in Romagna durante il Rinascimento, significativa fu la presenza di Leonardo da Vinci, che nel 1502 disegnò il progetto del porto-canale di Cesenatico.

Nonostante la stabilità politica, i secoli XVI, XVII e XVIII furono segnati solo per brevi periodi dalla pace. A più riprese la regione venne attraversata dagli eserciti stranieri, con il loro strascico di epidemie e di carestie: l'invasione dei Lanzichenecchi, la guerra dei Trent'anni, le guerre di successione nella prima metà del Settecento. Nelle province dello Stato Pontificio si andò rafforzando la struttura amministrativa centrale: crebbe, di conseguenza, il potere dei rappresentanti del Papa, i cardinali "legati", da cui deriva il nome di "Legazioni" per i territori di Bologna, Ferrara e Ravenna. I piccoli ducati di Parma e di Modena, invece, per sopravvivere tra le maggiori potenze utilizzarono la diplomazia. Nel corso del Seicento si assiste alla ristrutturazione edilizia e all'abbellimento delle nuove capitali ducali: nel 1617, a Parma, Ranuccio I Farnese affida a Giovan Battista Aleotti la costruzione del teatro ligneo nel Palazzo della Pilotta, palcoscenico ideale delle fantasiose scenografie barocche; nel 1634, a Modena, Francesco I d'Este fa edificare il Palazzo ducale, destinato a ospitare la sua meravigliosa collezione di opere d'arte.

Nella seconda metà del Settecento, anche nella nostra regione si diffusero le idee dell'Illuminismo, e i tentativi di affrontare con approccio laico e razionale i problemi sociali, politici ed economici. Soprattutto il ducato di Parma, passato nel 1732 alla dinastia francese dei Borbone, sembrò sensibile agli influssi culturali europei, che in politica si tradussero nella lotta contro gli abusi e i privilegi ecclesiastici, e in economia nella modernizzazione dell'industria della seta, della carta e della stampa (a Parma fu attivissimo il grande tipografo Giambattista Bodoni). A Modena molti intellettuali, e fra tutti Ludovico Antonio Muratori, parteciparono direttamente all'attuazione di riforme nel campo della giustizia e dei tributi.

Quando incominciò l'offensiva di Napoleone in Italia, i princìpi di uguaglianza trasmessi dalla Rivoluzione francese erano già molto diffusi nella nostra regione, anche tra i ceti popolari che si ispiravano alle posizioni più radicali dei giacobini. A seguito dell'occupazione militare napoleonica del 1796, a Bologna, Ferrara, Modena e Reggio si formarono dei governi provvisori, che avviarono profonde riforme contro i privilegi feudali e nobiliari. Dall'unione di queste quattro città nacque la Repubblica Cispadana, che nel congresso di Reggio del 7 gennaio 1797 proclamò come proprio simbolo il tricolore verde, bianco e rosso: la futura bandiera italiana. Pochi mesi dopo, per volere di Napoleone, la Repubblica Cispadana entrò a far parte della nuova Repubblica Cisalpina, che si estendeva in tutto il Nord del Paese e che successivamente si chiamerà Repubblica Italiana. Nel 1805 la Repubblica diventò Regno d'Italia, di cui era re Napoleone Bonaparte. Parma e Piacenza, invece, furono annesse direttamente alla Francia.

Dopo i primi entusiasmi per l'ondata rivoluzionaria, nelle popolazioni italiane nacque una forte ostilità verso i francesi, che di fatto avevano il controllo sulla Repubblica e poi sul Regno d'Italia. Il peso delle imposte, la leva militare obbligatoria, il continuo stato di guerra creavano malcontento in tutte le classi sociali. Cominciò quindi ad affacciarsi l'idea di una sollevazione popolare per l'indipendenza e l'unità d'Italia, come si legge nel proclama di Rimini di Gioacchino Murat (era il 30 marzo 1815). Ma il Congresso di Vienna ripristinò l'assetto politico precedente al periodo napoleonico e pose l'Italia sotto il controllo austriaco, rinviando ai decenni successivi l'esito delle aspirazioni patriottiche.


Tra il 1814 e il 1815, anche nel territorio emiliano, il Congresso di Vienna restaurò l'antico ordine, restituendo le Legazioni (Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna) allo Stato Pontificio, Modena agli Estensi, e Parma all'ex imperatrice Maria Luigia d'Austria. Ma il malcontento si diffondeva, soprattutto tra coloro che avevano avuto un ruolo politico di rilievo nel periodo napoleonico o che avevano tratto vantaggi economici dall'apertura delle frontiere e dallo sviluppo di commerci nell'area padana e che ora venivano nuovamente penalizzati. Per esprimere questo disagio nacquero varie associazioni, più o meno segrete.

L'ondata di insurrezioni che dalla Francia dilagò in molte parti d'Europa nel 1831 ebbe il suo fulcro a Modena, con Ciro Menotti: da qui il moto riecheggiò a Parma e nelle Legazioni. L'intervento delle truppe austriache ristabilì ancora una volta l'ordine, anche se a Modena e nelle Legazioni vi furono pesanti reazioni. Anche la rivoluzione del 1848 investì l'Emilia: i Ducati insorsero e, grazie al coinvolgimento popolare, costrinsero i principi alla fuga e proclamarono l'annessione al Regno di Sardegna. Mentre a Roma veniva proclamata la Repubblica, lo Stato Pontificio concesse la costituzione a Bologna, a Ferrara e alla Romagna, negando però la partecipazione alla guerra contro gli austriaci, che così ripresero il controllo. La caduta della Repubblica Romana e la ritirata di Garibaldi attraverso le Valli di Comacchio conclusero questa epica vicenda.

Nel maggio del 1859, quando le truppe alleate di Napoleone III e del re di Sardegna Vittorio Emanuele II passarono il Ticino, l'insurrezione antiaustriaca si ripetè, con il coinvolgimento del nuovo ceto borghese. I plebisciti del marzo 1860 sancirono l'annessione delle nuove otto province al Regno sardo. Le prime elezioni generali di quello che sarebbe divenuto il Regno d'Italia si ebbero nel gennaio del 1860: i più illustri patrioti e molte personalità della regione entrarono a far parte del nuovo parlamento. Tra questi, il bolognese Marco Minghetti sostenne la funzione del decentramento come necessario contrappeso all'unità delle province ed elaborò un modello di regionalismo che incontrò forti resistenze da parte della nuova classe dirigente.

Nel mezzo secolo che trascorse tra l'annessione e lo scoppio della Prima guerra mondiale, la secolare divisione del Paese fra legislazioni diverse, le situazioni economiche contrastanti e le risorgenti rivalità municipalistiche resero molto difficile l'assimilazione delle province emiliano-romagnole all'Italia unita. Nonostante ciò, il periodo fra il 1870 e il 1914 fu caratterizzato da un grande sviluppo economico, col progresso dell'agricoltura, l'inizio di grandi opere di bonifica, la formazione di industrie moderne, l'attivazione del commercio. L'Emilia e la Romagna furono teatro di una forte spinta all'associazionismo, con i mazziniani e con i socialisti guidati da Andrea Costa. Si formarono le prime cooperative agricole per affittanze collettive e le prime cooperative di braccianti. Le lotte sociali e la questione rurale furono a lungo protagoniste della cronaca politica interna: nel 1897 ci furono gli scioperi delle mondine nel Ferrarese e delle mietitrici a Molinella; nel 1901, a Bologna, si tenne il primo congresso della Federazione dei lavoratori della terra; scioperi agrari di particolare asprezza si ebbero nel 1907 e nel 1908 nelle province di Ferrara, Bologna, Parma.

Alla fine della Grande Guerra, in Emilia-Romagna i problemi dei lavoratori della terra si ripresentarono più gravi che mai. Il tenore di vita nelle campagne, migliorato con anni di dure lotte, portò a un aumento considerevole della popolazione rurale e a un'eccedenza di manodopera, dovuta anche alla scarsa espansione industriale della regione. In tutta Italia le lotte delle organizzazioni socialiste ripresero forza nelle città e nelle campagne, anche sull'onda della rivoluzione russa: scioperi e agitazioni coinvolsero milioni di operai, contadini e disoccupati, con l'Emilia all'avanguardia. E proprio qui la reazione dei proprietari agrari fu più violenta: a Bologna l'attacco a palazzo d'Accursio del 21 novembre 1920 diede inizio a un crescendo di violenze, aggressioni e distruzioni a opera delle squadre fasciste da questi sovvenzionate. Migliaia di lavoratori emiliani, per sfuggire alle persecuzioni, dovettero espatriare, animando in molti casi, anche dall'estero, la lotta contro la dittatura di Mussolini. Fra il 1936 e il 1939 dai comuni dell'Emilia accorsero in Spagna e combatterono contro il franchismo numerosi volontari.

Ma nuove vicende belliche, di una asprezza non più conosciuta fin dal lontano Medioevo, raggiunsero la regione negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. Dalla fine di luglio del 1943 le diverse anime dell'antifascismo emiliano-romagnolo si impegnarono sempre più intensamente nelle azioni di disturbo e di resistenza contro l'esercito occupante nazista. In quel frangente seppero collaborare forze sociali e politiche diverse e il coinvolgimento di tanta parte della popolazione, sia nelle campagne sia nelle città, diede alla Resistenza quel carattere popolare che non ebbe eguali nel contesto italiano. Risalgono all'autunno del '43 le prime azioni di guerriglia partigiana, che si moltiplicarono nel corso dei due anni successivi lungo tutta la dorsale appenninica tagliata dalla Linea Gotica, allestita dai tedeschi lungo più di 300 chilometri da Rimini a La Spezia. La repressione tedesca colpì con ferocia partigiani, popolazione civile e clero locale per l'appoggio che davano alla Resistenza: 3.500 furono i civili fucilati o massacrati nella regione, 6.000 i partigiani caduti. Una ferita di cui la regione intera porta ancora i segni e che in molti luoghi non si è ancora rimarginata, come nel caso delle stragi di donne, anziani e bambini compiute dalle SS nella Valle del Reno.

Gli alleati entrarono a Rimini nel settembre del '44 e in novembre a Ravenna. Dopo la lunga sospensione invernale dell'avanzata, in aprile gli alleati diedero inizio all'offensiva finale, iniziando lo sfondamento di ciò che restava della Linea Gotica, in direzione di Bologna. L'insurrezione nelle città costrinse alla fuga i fascisti, abbandonati dai tedeschi. Tra il 14 e il 28 di aprile 1945 furono liberate Imola, Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Parma e Piacenza: in due settimane il fronte nazifascista cedette dal Senio al Po. Aveva così inizio una nuova fase della storia dell'Emilia-Romagna: quella del consolidamento, della difesa e dello sviluppo della democrazia. Molte altre lotte seguirono, nel contrasto profondo tra rinnovamento e conservazione, mantenendo a lungo vitali le idee della Resistenza.


Nel 1970 per attuare l'ordinamento previsto dalla Costituzione, che dopo la Seconda guerra mondiale segnò la fine della monarchia e la nascita della Repubblica italiana, venne istituita la Regione Emilia-Romagna. Dagli anni Settanta alla fine del Novecento la Regione ha gestito e sviluppato una struttura territoriale già caratterizzata, sin dal dopoguerra, dal policentrismo: città forti, capaci di coniugare e far interagire crescita economica, sviluppo sociale ed efficienza amministrativa. Un modello organizzativo che ha permesso alle comunità locali di esprimere, nel tempo, esempi di originalità culturale e civica. I territori dell'Emilia-Romagna non hanno tutti le stesse caratteristiche economiche e sociali, ma questa è la regione italiana in cui è minore la distanza fra la provincia più debole e quella più forte, e ogni distretto, secondo le proprie peculiarità, è stato protagonista di processi di crescita. L'asse della via Emilia si è consolidato da Bologna a Rimini; la fascia costiera si è sviluppata sia a sud, nella parte a maggiore densità insediativa, che a nord, nella parte a maggiore valore naturalistico. Si è rafforzato l'asse pedemontano da Parma a Bologna e nuove correnti produttive attraversano la bassa pianura: il triangolo Imola-Faenza-Lugo, l'area di Mirandola, la direttrice Bologna-Ferrara, l'entroterra riminese. Le aree appenniniche, che rappresentano quasi la metà del territorio regionale, hanno visto riconosciuto il valore delle differenti specificità locali e ciascuna ha trovato un proprio percorso di sviluppo.

Oggi l'Emilia-Romagna è una grande regione europea, un nodo strategico tra le aree forti dell'Europa centrosettentrionale, il bacino del Mediterraneo e l'area adriatico-danubiana. Se il comparto dell'agricoltura sconta ancora gli effetti di una crisi strutturale, il settore delle produzioni industriali specializzate è molto ampio e competitivo, in particolare nella meccanica. Il terziario più dinamico, quello dei servizi alle imprese, ha una presenza diffusa sul territorio e, in rapporto alla popolazione, colloca molte province fra le prime a livello nazionale (Bologna, Parma, Modena e Reggio). Il turismo continua a rappresentare un segmento importante dell'economia regionale. Il valore degli investimenti e il numero degli addetti alla ricerca scientifica e tecnologica sono fra i più alti in Italia e il sistema degli atenei regionali si colloca nettamente al primo posto per quanto riguarda l'attrazione di studenti dall'esterno. I servizi sociali, la sanità, il patrimonio e l'attività culturale, le imprese di servizi, nel loro insieme rappresentano tuttora esperienze all'avanguardia.

Lo stemma adottato dalla Regione Emilia-Romagna rappresenta in modo stilizzato i due tratti essenziali della lunga storia di questo territorio: la linea ondulata del fiume Po e quella obliqua della via Emilia. L'elemento naturale dell'acqua che conduce al mare, e quello umano della strada che collega gli uomini, con il loro lavoro, le loro passioni e le loro storie.


Nota

(1) La sezione "Storia e cultura in Emilia-Romagna" è all'indirizzo: www.emilianoromagnolinelmondo.it/wcm/emilianoromagnolinelmondo/storia_cultura/storia_cultura.htm. Il gruppo di lavoro, coordinato da Gina Pietrantonio (Ufficio per le relazioni con il pubblico), Valeria Cicala e Vittorio Ferorelli (Istituto per i beni artistici culturali e naturali), è composto da: Paolo Degli Esposti, Silvia Mazzoli (Direzione generale centrale organizzazione, personale, sistemi informativi e telematica - Servizio comunicazione, educazione alla sostenibilità); Sante Zavattini (Direzione generale programmazione territoriale e negoziata, intese, relazioni europee e relazioni internazionali - Servizio affari generali, giuridici e programmazione finanziaria); Stefania Sani (Direzione generale attività produttive commercio e turismo - Servizio turismo e qualità aree turistiche); Tiziana Gardini, Cinzia Leoni (Agenzia informazione e ufficio stampa della Giunta); Morena Grandi, Cristina Turchi (Direzione generale cultura, formazione e lavoro - Servizio cultura, sport e progetto giovani); Laura Grossi (Direzione generale cultura, formazione e lavoro - Servizio lavoro); Claudio Bacilieri, Katia Guizzardi, Rita Tagliati (Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo).

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