Rivista "IBC" XVIII, 2010, 1

territorio e beni architettonici-ambientali / inchieste e interviste, progetti e realizzazioni, storie e personaggi

L'Olmo di Campagnola Emilia, nel Reggiano, è stato avvelenato. Da qualcuno che ancora non crede al valore storico e culturale di un albero che ha più di tre secoli.
Il veleno alle radici

Giovanni Morelli
[responsabile dello Studio 'Progetto Verde', Ferrara]

Sul sito web dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) sta per essere ripresentata la nuova versione, più accessibile e ampliata, della banca dati degli alberi monumentali dell'Emilia-Romagna (www.ibc.regione.emilia-romagna.it/wcm/ibc/menu/dx/04bd/db/alberi.htm). Questo articolo racconta il tentato avvelenamento di uno di questi alberi secolari, l'investigazione che ha portato a scoprirne le cause e le cure che il gigante sta ricevendo.


L'Olmo monumentale di Campagnola (Reggio Emilia), "l'Olma" nel linguaggio popolare, appartiene alla specie Ulmus minor. Si tratta di un esemplare vetusto e di imponenti dimensioni, con un diametro del fusto di quasi 2 metri, un'altezza originaria prossima ai 30 metri e una proiezione della chioma al suolo che, pur se ovviamente irregolare, fino al 2008 superava i 20 metri di diametro. Tuttavia, la maestosità di questo esemplare non deriva solo dalle sue dimensioni, ma soprattutto dalle sue indiscutibili peculiarità morfologiche.

In effetti, l'albero è caratterizzato da un ampio e superficiale apparato radicale che, grazie alla reciproca fusione degli elementi più prossimi al colletto, ha dato origine a una sorta di ampio "piedistallo" legnoso che avvolge l'inserzione al suolo e dal quale emergono dei massicci contrafforti che si saldano armoniosamente sul fusto. Quest'ultimo, breve, lineare e leggermente inclinato verso est, appare percorso longitudinalmente da robuste costolature che si prolungano fino all'ampia e simmetrica corona, caratterizzata dal concorso di tre possenti stipiti principali, da cui si sviluppano altrettante branche primarie, poste più o meno simmetricamente intorno al tronco, a comporre la struttura portante della chioma. A loro volta, queste branche primarie, dopo un breve tratto inclinato rispetto all'asse del fusto, si suddividono più o meno rapidamente, originando così le ramificazioni permanenti che, tendendo perlopiù a ripristinare la loro verticalità, con poche e ulteriori biforcazioni raggiungono la porzione sommitale della chioma, dove si aprono ulteriormente, a comporre la massa fogliare dell'albero.

L'insieme delle caratteristiche morfologiche dell'Olmo di Campagnola, le sue dimensioni e il suo contesto paesaggistico ne facevano, e ne fanno ancora oggi, un esemplare pressoché unico nel suo genere. Proprio grazie al riconoscimento di questa unicità, rafforzata dall'indiscutibile valore biologico e testimoniale dell'esemplare e dalla sua specie di appartenenza, nei primi anni Ottanta del secolo scorso la Regione Emilia-Romagna ha ritenuto di sottoporlo a specifica tutela ai sensi della Legge regionale n. 2 del 1977, tutela oggi di competenza dell'IBC.

Già prima del deperimento apoplettico intervenuto nel 2008 (di cui si racconterà più avanti) l'albero aveva da tempo concluso la sua fase di estensione volumetrica, per intraprendere il lento e fisiologico processo regressivo della porzione aerea, caratteristico della fase senile degli alberi. Analogamente, anche il sistema radicale profondo è ormai scomparso, sostituito da radici essenzialmente sviluppate nei primi decimetri di profondità del suolo. Inoltre l'Olmo presentava una netta suddivisione architettonica della chioma in tre gruppi di branche principali, le cui condizioni di senescenza erano evidentemente difformi.

Nello specifico, il gruppo di branche a sud-ovest, rivolto verso la strada, si presentava in buone condizioni vegetative e, dal punto di vista morfofisiologico, poteva essere ricondotto a una condizione di avanzata maturità. Il gruppo di branche a settentrione, caratterizzato da un incipiente diradamento del fogliame e dalla morte di alcune ramificazioni, era invece attribuibile a una fase di iniziale senescenza, tipicamente caratterizzata dall'autoriduzione della chioma. Infine, il gruppo di branche rivolto a sud-est poteva dirsi a uno stadio di senescenza ormai assai progredita.

Per quanto apparentemente incongrua, questa scalarità di condizioni nelle diverse porzioni anatomiche di uno stesso individuo risulta abbastanza comune in esemplari arborei caratterizzati da una notevole complessità architettonica e, nel caso specifico dell'Olmo di Campagnola, trovava giustificazione in un'ampia lesione basale di natura meccanica, che ormai da molti anni aveva privato l'albero di un contrafforte in direzione est. Di fatto, tale trauma aveva parzialmente interrotto il collegamento tra l'apparato radicale dell'esemplare e la sua porzione aerea, portando a un'accelerazione nel deperimento di quest'ultima zona.

In termini generali, quindi, già prima del 2008 l'Olmo si trovava in una condizione di spiccata fragilità biologica nei confronti di diverse situazioni di stress naturali: come la distruzione della massa fogliare a opera di insetti, la siccità prolungata, il compattamento superficiale del suolo, il cedimento strutturale delle lunghe e pesanti branche primarie, l'aggressione da parte di funghi lignivori e, soprattutto, di funghi vascolari (tra cui gli agenti della grafiosi dell'olmo). Nel caso della specie Ulmus minor, quest'ultima eventualità, responsabile dello sterminio dei grandi olmi europei nei decenni passati, è sicuramente la più temuta: mancano, infatti, strumenti di prevenzione e di cura efficaci.


Nel 2008, all'inizio del mese di agosto, si è improvvisamente manifestato un deperimento acuto, che nel giro di pochi giorni ha interessato oltre un terzo della chioma, lasciando così temere per la stessa sopravvivenza dell'albero. Un episodio apoplettico di tale portata e rapidità, in assenza di una specifica sintomatologia premonitrice e su un esemplare dell'età e delle dimensioni dell'Olmo, risultava giustificabile solo ipotizzando l'intervento di un fattore esterno. L'esatta natura di questa causa, tuttavia, sfuggiva completamente al semplice esame superficiale.

Per affrontare scientificamente il problema, in accordo con il Servizio fitosanitario regionale, è stato approntato tempestivamente uno studio, consistito nella descrizione preliminare dell'albero, nell'analisi critica delle vicende che l'avevano interessato prima dell'evento apoplettico, nella definizione dei sintomi osservati nell'agosto 2008 e, infine, nella ricostruzione del processo di deperimento in atto. L'apparato metodologico con cui è stato affrontato lo studio (condotto da Pierre Raimbault, da Stefania Gasperini e da chi scrive) è stato quello proprio dell'analisi morfofisiologica, che consiste nel confronto tra lo stato dell'esemplare arboreo in esame e il quadro teorico dell'evolutività esteriore propria degli individui della specie di appartenenza. L'IBC, attraverso il programma di finanziamento degli interventi conservativi e di salvaguardia degli esemplari monumentali tutelati, ha sostenuto l'intera ricerca.

Il 27 agosto 2008, pochi giorni dopo che erano stati scoperti i segni del brusco deperimento, l'Olmo è stato oggetto di un esame approfondito. Il sintomo più evidente, peraltro unico indicatore della sofferenza in atto, era un marcato arrossamento del fogliame, irregolarmente distribuito nella chioma. In modo abbastanza sorprendente, proprio il gruppo di branche che storicamente presentava le condizioni fisiologiche migliori era stato quello colpito più severamente dal disseccamento apoplettico. E in modo analogo, per ogni gruppo di branche, quelle più vigorose presentavano i seccumi più progrediti.

Sospettando che, vista la specie di appartenenza dell'albero, l'episodio occorso fosse riconducibile a un'infezione vascolare, furono immediatamente prelevati alcuni campioni di tessuto, successivamente sottoposti a più riprese ad analisi microbiologiche. L'intento era isolare eventuali patogeni in grado di giustificare la sintomatologia osservata. Le analisi, tuttavia, diedero esito negativo, escludendo immediatamente la più ovvia e temuta spiegazione dell'evento.

Inaspettatamente, a un anno di distanza dall'episodio, l'albero era sopravvissuto, anche se segnato in modo evidente dalla perdita di alcune grosse branche che all'inizio del 2009 apparivano ormai devitalizzate. Rimaneva tuttavia una profonda incertezza intorno alle cause del fenomeno accaduto, sulla sua possibile evoluzione e sule modalità di intervento per il possibile recupero dell'esemplare. In particolare, le branche poco o per niente interessate dal deperimento apparivano nelle medesime condizioni registrate prima dell'evento apoplettico, mentre, tra le branche il cui fogliame appariva totalmente necrotico già nell'agosto 2008, quattro erano morte (tre di queste, prima del deperimento improvviso, avevano una massa fogliare in buone condizioni), due elementi, invece, parevano avere completamente recuperato lo stato fisiologico precedente all'episodio. Infine, anche le branche interessate solo parzialmente dal deperimento avevano recuperato lo stato antecedente all'agosto "incriminato".

Alla luce di questi dati, se da un lato appariva logica la consequenzialità tra la necrosi totale del fogliame e la successiva morte delle branche a un anno di distanza, dall'altro lato risultava più arduo giustificare la completa o parziale remissione vegetativa di alcuni elementi rameali precedentemente colpiti in modo assai severo. Anche le radici dell'albero risultavano in buone condizioni. In effetti, una delicata scarificatura del terreno ha permesso di mettere a nudo un denso feltro radicale, costituito sia da radici assorbenti sia da piccole radici di conduzione lignificate, regolarmente distribuito a colonizzare tutto il substrato, senza che si evidenziassero tracce di necrosi anormali o diffuse, riconducibili a quanto accaduto l'anno precedente.

In altre parole, l'Olmo sembrava avere completamente superato il trauma, conservando come unica conseguenza del deperimento pregresso la devitalizzazione delle parti aeree originariamente più vigorose.


I sintomi associabili al deperimento di un grande e vecchio albero, segnatamente di un olmo, possono essere ricondotti a cinque cause principali: senescenza, siccità, interventi manutentivi scorretti, insorgenza di patologie vascolari e, infine, eventuale assorbimento di prodotti tossici. Ognuna di queste cause, tuttavia, si presenta con modalità, tempi e sintomi esteriori caratteristici, che ne permettono un'agevole identificazione.

Nel caso specifico dell'Olmo di Campagnola, proprio il raffronto tra i sintomi attesi per ognuno dei fattori elencati e le effettive condizioni dell'albero si è rivelato determinante. Questo confronto ha infatti permesso di accertare che gli elementi diagnostici riscontrati risultavano inconciliabili con l'intervento di agenti biologici o climatici, ma erano molto vicini a quelli attesi per un'intossicazione acuta legata all'assimilazione di sostanze tossiche.

In effetti, le branche più colpite erano state quelle meglio raggiunte dalla linfa di origine radicale; viceversa, i gruppi di branche che mostravano sintomi di senescenza come chiaro segnale di disfunzioni vascolari non avevano praticamente subìto alcun danno. Inoltre, il recupero primaverile di una buona crescita vegetativa, da parte di branche che solo pochi mesi prima avevano perso del tutto le foglie, indicava una causa del deperimento effimera, che aveva rapidamente cessato la propria azione.

L'arresto immediato di ogni accrescimento nelle branche più colpite, osservato nell'agosto 2008 e probabilmente verificatosi nel giro di poche ore, indicava l'azione fulminante e generalizzata di un fattore di tossicità veicolato in modo rapido e massiccio ma puntuale, secondo uno schema che ricalca quantità e qualità del flusso linfatico. Il contatto tra l'Olmo e l'agente del deperimento si è verificato in un unico episodio limitato nel tempo; il fattore di tossicità è quindi stato rapidamente traslocato all'interno della pianta, ma non in quantità sufficiente per invadere l'intero albero.

In conclusione, la sola causa che possa giustificare il deperimento del monumentale Olmo di Campagnola è un avvelenamento dovuto all'esposizione a un agente tossico, somministrato volontariamente o involontariamente dall'uomo e quindi rapidamente veicolato dal sistema vascolare dell'albero. Per risalire con precisione alle modalità di azione dell'agente tossico, e quindi alla sua specifica natura chimica, sarebbe stato necessario seguire giornalmente l'evoluzione dello stato dell'albero nelle settimane successive alla sua somministrazione. In ogni caso, si può affermare con certezza che si trattava di un prodotto trasportato dalla linfa e tuttavia non in grado di uccidere completamente i tessuti conduttori attraversati: una modalità di azione comune a diversi erbicidi di sintesi, ampiamente diffusi in ambito agrario.


Un esemplare come l'Olmo di Campagnola, ovvero un albero gigantesco, evolve con estrema lentezza, reagendo con intervalli di tempo almeno decennali. Per usare una metafora, è come se ci trovassimo a pilotare una nave da duecentomila tonnellate che per modificare di soli 45 gradi il suo assetto e la sua traiettoria richiede lo spazio di un chilometro. Dal punto di vista metabolico, il deperimento apoplettico dell'agosto 2008 ha indotto nell'Olmo una sorta di riequilibrio in senso peggiorativo, con l'indebolimento del gruppo di branche originariamente più vigoroso. Si può quindi prevedere che, nei prossimi anni, si manifesteranno alcuni sintomi supplementari di deperimento e senescenza e di conseguenza l'attività cambiale dell'alberone risulterà ridotta.

Questo processo evolutivo sarà comunque lento, vista la considerevole massa di legno sano dell'albero e le sue cospicue riserve energetiche. D'altra parte, proprio queste riserve sono già state e saranno ancora mobilizzate proprio per porre rimedio ai danni conseguenti all'intossicazione. Il processo riparativo sarà soprattutto orientato alla ricostruzione della porzione aerea, cioè della massa fotosintetizzante, mentre l'apparato radicale, in un primo tempo, ne risulterà indebolito.

Sarà quindi opportuno contrastare la fisiologica tendenza dell'albero a trascurare le radici, ritenute non prioritarie nel suo prevedibile percorso di recupero. Occorrerà attuare un programma di miglioramento del suolo sia attraverso interventi agronomici mirati, sia con il divieto di accesso integrale all'area recintata. Sarà utile, in particolare, l'apporto di sostanza organica per stimolare l'attività radicale superficiale, anche prolungandone la funzionalità stagionale (in modo da mantenere l'umidità superficiale in estate e disporre di un tampone termico contro il calore estivo e i primi freddi autunnali).

Sarebbe poi utile incrementare l'attività cambiale nelle regioni del fusto storicamente più carenti da questo punto di vista (quelle in direzione est), in corrispondenza della vecchia lesione necrotica al colletto. Si tratterebbe di raccordare con il sistema radicale le colonne cambiali afferenti ai gruppi di branche a sud-est, attraverso la realizzazione di innesti "a ponte" o "per approssimazione", secondo una tecnica già adottata con successo negli interventi di recupero dei vecchi alberi. Più in generale, nei prossimi anni, sarà comunque indispensabile vegliare sulla corretta funzionalità cambiale a livello del fusto e delle branche basse.

Un albero delle dimensioni dell'Olmo, è bene ribadirlo ancora, evolve secondo una scala temporale non commensurabile con quella umana. In questo senso, è lecito attendersi che la risposta all'evento traumatico del 2008 si distribuirà su un intervallo temporale di due o tre decadi. Un dato che può preoccupare, ma che, se ben compreso, può anche rivelarsi rassicurante: avremo ancora diverse occasioni di intervento per migliorare lo stato complessivo dell'albero, così da permettergli di esprimere compiutamente le potenzialità del suo eccezionale patrimonio genetico.

Duemila anni di sfruttamento antropico delle risorse forestali hanno lentamente ma inesorabilmente depauperato il patrimonio genetico delle specie arboree. In effetti i nostri antenati hanno agito selettivamente per fini utilitaristici, eliminando gli individui migliori per lasciarci in eredità solo gli scarti genetici delle diverse popolazioni arboree. Tuttavia, qualche esemplare appartenente a quelle ormai lontane popolazioni è riuscito a giungere fino a noi per testimoniarci di caratteristiche che al nostro sguardo appaiono eccezionali, ma che in effetti, in passato, dovevano essere del tutto comuni.

A questi alberi sopravvissuti, oggi, attribuiamo l'appellativo di "monumentali" proprio per sottolinearne l'enorme valore documentario e testimoniale. La loro rigorosa tutela è dunque innanzitutto un compito scientifico, che purtroppo, spesso, non si accompagna a un analogo impegno per la propagazione. In altre parole: proteggiamo gli individui ma non l'assortimento genetico di cui questi individui sono la compiuta espressione. Pur essendo un sopravvissuto, l'Olmo di Campagnola non è quindi solo un albero che ha avuto la fortuna di attraversare indenne diversi secoli: con ogni probabilità è proprio uno di quegli antichi alberi geneticamente eccezionali, l'eco lontana di un mondo scomparso. Chi può negare che la sua salvaguardia è un dovere?

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