Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3

musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni

Philippe Artias. L'indomito, a cura di G. Masetti e R. Rava, Fusignano (Ravenna), Grafiche Morandi, 2010.
L'indomito Artias

Enzo Vignoli
[collaboratore della rivista "OLFA. Osservatorio letterario Ferrara e l'Altrove"]

La proficua collaborazione artistica fra Cervia e Bagnacavallo viene consolidata, nel 2010, dalla duplice iniziativa "Philippe Artias. L'indomito", dedicata al pittore francese nato a Feurs nel 1912 e morto a Numana nel 2002. Se l'ambientazione dei Magazzini del Sale a Cervia (dal 4 luglio al 29 agosto) ha garantito un'atmosfera senza pari, l'antico Convento di San Francesco a Bagnacavallo (dal 12 settembre al 10 ottobre) consente un raffronto fra passato e presente, fra tradizione e rinnovamento.

La natura dell'opera di Artias, a un tempo fremente e controllata, ci mantiene in sospeso, ammirati e incerti fra le capacità tecniche acquisite negli anni dell'apprendistato giovanile nella Scuola di belle arti di Saint-Etienne e la forza dirompente della sua creatività, che si manifesta soprattutto nel sentire erotico, nel nudo, nell'uso delle masse di colore in funzione non decorativa, ma espressiva: blocchi che formano la materia. Artias non riempie dei vuoti con i suoi pennelli, ma estrapola forme dalla sintesi di ciò che ha visto e che ha immaginato in movimento, come ricorda Jean-Luc Chalumeau nel catalogo curato da Giuseppe Masetti e Rita Rava. Crea direttamente col colore, quasi che riviva in lui, tesa allo spasimo e trasfigurata dalla sua visione panerotica della vita, come pure dal suo vigore, la lezione dei Macchiaioli.

Osserviamo Spiaggia Adriatica, 12 pannelli legati insieme a costituire un olio su tela lungo 12 metri: Artias si sfianca in una sorta di variazione perpetua nell'utopico tentativo di estrarre la totalità della vita dalle immagini che cadono sotto i suoi occhi. L'artista riesce a dare dignità al banale nudo di spiaggia, restituendogli quella sensualità persa nell'offrirsi allo sguardo in una rappresentazione di finta libertà. Dopo la serie delle tele dell'Adriatico ha iniziato i Géothèmes, "che mettevano in tensione ragione e sensualità": l'acrilico, afferma egli stesso, gli ha permesso di rendere gli elementi della sua pittura "più leggibili, con più spazi liberi".

Ogni tratto, ogni elemento pittorico rivela sinuosità erotiche, oscillazioni infinite su un tema visto e immaginato, che le modelle, in un vorticoso movimento all'interno del suo studio, sapevano evocargli: in questo modo Artias riesce anche a eludere il pericolo di un pur sofisticato voyeurismo. Nella conversazione che apre il catalogo, la moglie dell'artista dialoga con Giuseppe Masetti introducendo temi che sono poi ampliati nel saggio Niente arte senza erotismo, in cui Lydia Artias, anche grazie al profondo legame che le sue parole fanno intuire, si dilunga a descrivere la poetica del pittore, confermandone l'essenza nella pulsione amorosa senza compromessi o reticenze.

Jean-Luc Chalumeau, con La Famiglia reale, volge il suo sguardo verso altre direzioni e vede la chiave per interpretare l'opera di Artias nel rapporto misto di devozione e discontinuità che il pittore francese aveva sia con Goya sia con Picasso (di cui è "l'amico, ma non il discepolo"). È tenendo conto dell'affermazione di quest'ultimo, secondo il quale "un pittore lascia sempre una porta socchiusa, perché, più tardi, un altro pittore possa andare un po' più lontano nella stessa direzione e regolare il conto con lui", che Artias ritorna sul tema della Famiglia di Carlo IV, affrontato alla fine del Settecento da Goya. Senza la presunzione di superare il maestro, Artias riprende l'argomento per rendere giustizia alle possibilità a lui concesse, e a suo tempo tarpate, ipotizzando che, per ragioni politiche, Goya non abbia potuto rappresentare La Famiglia reale con la forza dissacrante desiderata.

Lo sguardo attonito e severo con cui rappresenta Goya, sé stesso e Lydia nell'acrilico su tela del 1983 è perso nel vuoto di una riprovazione fiera e dolorosa, ma non moralistica: tre spettatori fuori del palcoscenico della storia, che rivivono uno scempio. L'importanza dell'artista francese, secondo Chalumeau, sta nel riconoscere i suoi debiti con quanti hanno seminato prima di lui, ma anche nel suo bisogno di distaccarsene, nel suo convincimento che la storia e il potere rappresentano barriere difficilmente sormontabili dai contemporanei di ogni periodo, che sono dunque sempre degli "inattuali". Confidando nella forza trasgressiva "degli indisciplinati dell'arte, senza i quali, sicuramente, non ci sarebbe nessuna arte", Chalumeau lo mette fra questi ultimi.


Philippe Artias. L'indomito, a cura di G. Masetti e R. Rava, Fusignano (Ravenna), Grafiche Morandi, 2010, 168 pagine, 25,00 euro.

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