Rivista "IBC" XIX, 2011, 4

musei e beni culturali, biblioteche e archivi / itinerari, storie e personaggi

Fra don Giovanni Verità e Pellegrino Artusi: nelle vicende di due statue modellate nei primi anni del Novecento, si può leggere la storia dell'artista che le creò.
Le sembianze della storia

Silvia Bartoli
[storica dell'arte]

Vi è un sottile fil rouge che, impercettibilmente, lega Firenze a Modigliana e a Forlimpopoli: è dato dalla creatività e laboriosità di un artista che a suo tempo ha goduto di chiara fama e che, a un secolo di distanza, si tenta di restituire alla conoscenza dei più. L'occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia sta infatti restituendo la giusta dignità a una folta teoria di monumenti e, di conseguenza, a quella nutrita schiera di artisti/artigiani che, fra gli ultimi decenni dell'Ottocento e i primi del Novecento, li hanno disegnati e plasmati, spesso con grande sapienza. Monumenti che si ispirano e traggono la loro ragion d'essere da eventi dell'epopea risorgimentale e postunitaria e da personaggi elevati, in questo modo, al rango di eroi e consegnati a una memoria imperitura.

Italo Vagnetti è, senza tema di smentita, da annoverare nel novero di questi artisti "dimenticati"; figlio del più noto medaglista Giovanni, nasce a Firenze il 19 luglio 1864. Le scarne e frammentarie notizie disponibili non consentono a oggi di delinearne in modo organico ed esaustivo né il percorso formativo né, tanto meno, quello professionale. Iscrittosi all'Accademia di Belle Arti di Firenze, presumibilmente sotto la guida dello scultore Ulisse Cambi, Vagnetti va a completare la sua formazione a Roma, come allievo della prestigiosa Accademia di San Luca. Proprio a Roma lascia testimonianza di uno dei suoi primi lavori: il busto di Bettino Ricasoli per il Palazzo del Senato (1892). Fin dall'inizio egli alterna la sua attività di scultore a quella di abile medaglista, dimostrando grande versatilità e perizia: il ritratto - sia che si tratti di quello delineato sulla superficie di una medaglia, sia di quello plasmato a tutto tondo - può ritenersi il genere a lui più congeniale; la fusione dei nobili metalli, la tecnica da lui privilegiata.

Nel 1898 espone alla mostra della Società Promotrice di Belle Arti di Torino presentando la scultura Il pescatore; seguono l'esecuzione del busto dell'antiquario e collezionista francese Luigi Carrand (per il Museo del Bargello) e il ritratto dello statista Ubaldino Peruzzi (al cimitero dell'Antella) a Firenze. In quegli stessi anni partecipa a concorsi per la realizzazione di medaglie commemorative; fra i tanti, si citano quello istituito dalla Società Italiana per l'Arte Pubblica per le medaglie del IV centenario della nascita di Benvenuto Cellini e quello celebrativo del regno di Umberto I, entrambi del 1901.

La prima importante commissione pubblica gli viene affidata dal Comune di Vicchio del Mugello. Qui il comitato promotore, presieduto da Giosuè Carducci, istituisce un concorso per la realizzazione di una statua in bronzo dedicata a Giotto, da collocare nella piazza principale della cittadina toscana; lo stesso comitato, fra i numerosissimi progetti pervenuti, presceglie proprio quello di Vagnetti, e allo scultore fiorentino affida l'esecuzione della statua che viene solennemente inaugurata il 24 giugno 1901: "la figura ben modellata, mossa, piena di sentimento", come si evince dal favorevole giudizio espresso sulle pagine della rivista "Arte e Storia", è "giustamente lodata dagli intelligenti" che rivolgono "al giovane artista gli encomi più meritati".


È, presumibilmente, sull'onda della fama acquisita con il monumento al "gran riformatore dell'arte italiana" che, pochi anni più tardi, il Comune di Modigliana affida a Vagnetti la commissione di una memoria pubblica dedicata a don Giovanni Verità. Fin dalla morte del "prete ribelle", avvenuta il 26 novembre 1885, la città natale aveva espresso la volontà di erigere un monumento a memoria del patriota, ma il tentativo di un primo comitato era miseramente fallito. La copiosa documentazione ancora oggi conservata presso l'Archivio storico del Comune di Modigliana consente di ripercorrere, con certa precisione, le varie fasi del progetto.

Il 22 dicembre 1901, presso la sala della Fratellanza Artigiana di Modigliana, viene indetta l'assemblea in cui si decreta l'istituzione di un "Comitato esecutivo per un monumento a don Giovanni Verità", presieduto dall'onorevole Numa Campi, medico e deputato al Parlamento nazionale, e costituito da 25 rappresentanti delle associazioni democratiche locali; viene, altresì, nominato un comitato d'onore di cui sono chiamati a fare parte il generale Menotti Garibaldi, figlio primogenito di Giuseppe e di Anita (a Menotti, scomparso il 22 agosto 1903, succederà alla presidenza il fratello Ricciotti), e l'onorevole Paolo Taroni, sindaco di Modigliana, anch'egli deputato al parlamento nazionale. Il nuovo comitato enuncia i propri intenti in un manifesto pubblico, dichiarando di essere deciso a "tradurre in opera il compito assunto, colla fede che mai non vacilla, colla coscienza di chi compie un dovere" per onorare "questa nobile figura, che fu una delle più fulgide e popolari dell'ultimo periodo delle cospirazioni di Toscana e di Romagna; [...] che salvò nel 1849 la vita di Giuseppe Garibaldi ai futuri destini d'Italia e da Garibaldi ebbe nel 1860 la missione di guadagnare all'impresa di Sicilia l'aiuto dell'Italia centrale; [...] che, morendo povero, riaffermò solennemente la sua fede di sacerdote di Cristo e di italiano, e il cui nome, dopo quasi un ventennio dalla morte, vive tutt'ora nel cuore dei nepoti, circondato dall'aureola della gloria e, dalla leggenda, idealizzato nella fantasia popolare".

Fin dalla sua istituzione, il comitato si prodiga nel reperimento di fondi attivando una sottoscrizione popolare a livello nazionale e ricorrendo, persino, all'organizzazione di una lotteria a premi; nell'ottobre 1903 si possono deliberare tempi e modalità per l'erezione del monumento: questo dovrà sorgere "in un pubblico giardino, circondato da alberi, posto in posizione elevata, all'estremo di una via lunga trecento metri circa"; il sindaco, da parte sua, si impegna a concedere l'autorizzazione e a provvedere ai "lavori di restauro e di abbellimento necessari a rendere [il luogo] atto a ricevere degnamente il monumento". Otto scultori partecipano al concorso: i fiorentini Odo Franceschi, Giuseppe Grandi, Romeo Pazzini, Raffaello Romanelli, Fosco Tricca e Italo Vagnetti, il ravennate Attilio Maltoni e il romano Mauro Benini.

Vagnetti invia tempestivamente il suo progetto dichiarandosi disponibile ad accettare consigli e modifiche su indicazione dello stesso comitato: "Il monumento verrebbe così composto: 1) Statua di don G. Verità alta metri 2,60 minimo. Fusa in bronzo in un solo pezzo; a cera perduta secondo le migliori regole dell'arte. 2) Basamento di elegante architettura armonizzante con la statua. Eseguito in granito di Baveno, o di altra materia di eguale ricchezza, da stabilire d'accordo col Comitato. 3) Decorazione in bronzo di detto basamento, composto in parte ornamentale; oppure bassorilievo rappresentante episodi principali della vita di don Verità. Questi verrebbero scelti di comune accordo coi sigg. del Comitato. 4) Parte finale del basamento; gradinata a due o più gradini secondo quanto richiederebbe l'armonia della linea per il giusto effetto dell'insieme".

Il progetto di Vagnetti viene scelto "a maggioranza assoluta di voti". Nel luglio 1904 una delegazione si reca a Firenze, presso lo studio dell'artista in piazza Donatello, per visionare il bozzetto in gesso dell'intero monumento. Il 5 settembre, acquisito il parere favorevole del professor Ugo Supino, direttore dei Musei di Firenze, viene sottoscritto dalle parti il contratto, ben definito in tutti i suoi punti: lo scultore, dal canto suo, si impegna a consegnare l'opera entro il 20 settembre 1905. La statua viene realizzata presso la fonderia Galli di Firenze, nel pieno rispetto delle clausole contrattuali, e trasferita a Modigliana nel luglio 1906, in modo da consentire il montaggio dell'intero monumento sotto la vigile direzione dello stesso Vagnetti, in tempo per l'inaugurazione fissata per il 26 agosto.

Sul fronte del basamento, scartato "per ragioni artistiche e tecniche" il testo dettato da Pio Squadrani, viene apposta la semplice dedica "A don Giovanni Verità - La Democrazia - 1906". Sul lato destro, invece, il comitato delibera di trascrivere l'appello lanciato al sacerdote modiglianese da Giuseppe Garibaldi a Genova, il 3 maggio 1860: "Apostolo della libertà fate udire la vostra voce potente ai giovani dell'Italia centrale. Dite che non ci lascino combattere soli contro i papali ed i borbonici"; mentre, sul lato sinistro, è riportato quello che viene riconosciuto dai più come il testamento politico dettato da don Giovanni Verità sul letto di morte: "Credo nella vera religione di Cristo non in quella che è stata deturpata dal mondo e da' suoi ministri - 19 novembre 1885".


A distanza di qualche anno, una diversa circostanza porterà Vagnetti a collaborare con un'amministrazione pubblica in terra di Romagna. Se a Modigliana si era trattato di erigere un monumento alla memoria di un personaggio già all'epoca riconosciuto come eroe del Risorgimento nazionale - "il prete garibaldino" -, a Forlimpopoli lo scultore viene chiamato a commemorare la figura di un munifico concittadino. Il 30 marzo 1911, infatti, era scomparso a Firenze il celebre gastronomo Pellegrino Artusi. Nato nel 1820 da famiglia benestante di commercianti e piccoli possidenti, Artusi era stato costretto a lasciare la cittadina romagnola nel 1851, in seguito alla drammatica incursione della banda del Passatore nell'abitazione di famiglia durante la notte del 25 gennaio di quell'anno. Firenze diviene così la sua seconda patria, la città di elezione in cui egli trasferisce le sue attività e continua a trattare affari, e in cui, pur ritiratosi a vita privata, continua a risiedere.

A Firenze Artusi può soddisfare anche le sue ambizioni letterarie, dando alle stampe una Vita di Ugo Foscolo (1878) e le Osservazioni in appendice a trenta lettere di Giuseppe Giusti (1881) per l'editore Barbera, senza alcun successo. La fama, invece, giunge inattesa con il manuale La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, pubblicato nel 1891: alla prima edizione ne seguono altre quattordici, sempre aggiornate e rinnovate, fino all'ultima data alle stampe, postuma, nel 1911. Artusi ha sempre mantenuto, però, stretti legami con la città natale e, alla morte, lascia disposizioni ben precise nel suo testamento: Forlimpopoli riceve un "vistoso patrimonio per l'istituzione di un ospizio di mendicità e per doti a zitelle povere"; da subito il Consiglio comunale si impegna a farsi promotore "in massima [di] varie onoranze da tributarsi in memoria dell'uomo benemerito"; fra queste, il trasferimento della "salma da Firenze per deporla in apposito loculo del nuovo cimitero urbano".

Tutti i propositi vengono puntualmente disattesi o, meglio, in gran parte disattesi, in virtù delle numerose "opposizioni" che il Comune incontra "per assicurarsi quell'eredità" e delle evidenti ristrettezze economiche in cui versano le pubbliche casse. Tant'è che l'amministrazione è costretta a mutare indirizzo e il Consiglio comunale, riunitosi in seduta il 17 novembre 1914, accoglie l'istanza del sindaco professor Raffaele Righi: "Ora la Giunta ha considerato che anche a risparmio di spesa sarebbe più conveniente che la salma rimanesse nel cimitero monumentale di Firenze e piuttosto si erigesse colà sulla tomba di lui un degno ricordo marmoreo". La Giunta ha già preso contatto "con uno scultore di buon nome" (il Vagnetti non viene citato esplicitamente), il quale "con una spesa di circa Lire 2000" si è impegnato a eseguire l'opera - "previa presentazione di un bozzetto" - consistente in un "busto dell'estinto collocato su basamento di marmo con iscrizioni ricordanti l'atto munifico compiuto dall'Artusi".

Il Consiglio, "considerando che nel modo proposto si onora grandemente il benemerito cittadino", delibera all'unanimità a favore del provvedimento, raccomandando che la spesa non superi le duemila lire stabilite, e affida alla Giunta l'incarico di formalizzare gli accordi intercorsi con lo scultore e di dare avvio ai lavori. "All'indicata spesa di Lire 2000" - si legge nel verbale della seduta consiliare - "si farà fronte coi fondi del patrimonio Artusi, riconoscendosi giusto che chi riceve il beneficio delle disposizioni testamentarie dell'Artusi debba provvedere alle onoranze a esso dovute". Quest'ultima decisione provoca, forse fra gli stessi consiglieri, qualche perplessità (o qualche malumore), tant'è che il Consiglio è costretto a riunirsi in seduta straordinaria il 13 dicembre per deliberare "con votazione unanime" la variante secondo cui spetta al Comune di farsi interamente carico della spesa occorrente per il ricordo marmoreo.

Nella minuta di una lettera indirizzata al professor Italo Vagnetti presso lo studio di piazza Donatello (datata 24 aprile 1915), il sindaco Righi conferma allo scultore la deliberazione assunta dal Consiglio comunale in merito alla "memoria Artusi" e precisa: "Per l'effigie dell'Artusi ella favorirà rivolgersi alla sig.ra Maria Sabatini, residente a Firenze, via Niccolini 7, la quale, essendo stata famigliare dell'Artusi fino al momento della morte, avrà modo di offrirle fotografie dell'estinto e opportune notizie". La risposta dell'artista è immediata: egli si dichiara "altamente onorato da tale attestato di stima" e ben volentieri accetta l'incarico affidatogli, precisando che "nell'eseguire il lavoro [porrà] tutto l'impegno per far cosa degna della nobilissima città di Forlimpopoli". Per quanto riguarda il compenso, lo scultore si rimette alla somma e alle condizioni di pagamento stabilite dalla Municipalità.

Nel dicembre 1915 il bozzetto in gesso è ultimato: il ritratto di Artusi raccoglie il plauso del sindaco Righi, della fedele Maria Sabatini e "di quante persone lo hanno veduto; sia dal lato somiglianza che dal lato artistico". Il Vagnetti ora è impegnato al disegno "in grande" del basamento. Dal verbale del Consiglio comunale del 20 maggio 1917 si ricavano le informazioni relative all'esito della vicenda. A quella data il monumento ad Artusi risulta compiuto, collaudato e inaugurato: esso "è riuscito di soddisfazione del Municipio e del pubblico [...] opera degna di ammirazione sotto ogni riguardo". Sul basamento verrà successivamente apposta la dedica: "La dottrina e la bontà congiunse Pellegrino Artusi legando il ricco patrimonio coi poveri del paese natìo - il Comune di Forlimpopoli riconoscente - 4 giugno 1920". Con Artusi, oggi celebrato come "padre" indiscusso della cucina italiana e codificatore, attraverso il celeberrimo manuale, della lingua del nuovo stato unitario, la città di Forlimpopoli aveva, in parte, riscattato il suo debito, accordandogli il suo tributo di riconoscenza e innalzandolo fra i "grandi" della "piccola patria".


Bibliografia

Su Italo Vagnetti:

· A. Panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell'Ottocento e del primo Novecento: da Antonio Canova ad Arturo Martini, 2 volumi, Torino, AdArte, 2003.

Sul monumento a don Giovanni Verità:

· Archivio storico del Comune di Modigliana, anno 1904, busta Don Giovanni Verità.

· Il Pensiero Romagnolo, 22 Luglio 1906.

· A Don Giovanni Verità l'omaggio dei liberi Pensatori Italiani, Modigliana, Tipografia Sociale, 1906.

· F. Aulizio, Il monumento a Don Giovanni Verità, Modigliana, Tipolitografia Fabbri, 2006.

Sul busto/ritratto di Pellegrino Artusi:

· Archivio di Stato di Forlì, Prefettura (1913-1921), busta 204, f. 7.

· Archivio storico del Comune di Forlimpopoli, anno 1915, cat. VI, f. 6, Lascito Artusi; anno 1917, cat. VI, f. 7, Lascito Artusi.

· R. Balzani, Tra Romagna e Toscana: Artusi e la società di fine Ottocento, in Pellegrino Artusi e la società del suo tempo. Atti del Convegno scientifico della prima edizione della Festa Artusiana, 28 Giugno 1997, a cura dell'Amministrazione comunale di Forlimpopoli, dattiloscritto, pp. 9-19.

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